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(LONDRA) "The Kid Stays in the Picture", regia di Simon McBurney - Anche McBurney abbraccia la cinepresa. -a cura di Beatrice Tavecchio

Clint Dyer, Madeleine Potter, Christian Camargo, Heather Burns, Thomas A rnold, Danny Huston e Max Casella in “The Kid Stays in the Picture”, regia Simon McBurney. Foto Johan Persson Clint Dyer, Madeleine Potter, Christian Camargo, Heather Burns, Thomas A rnold, Danny Huston e Max Casella in “The Kid Stays in the Picture”, regia Simon McBurney. Foto Johan Persson

The Kid Stays in the Picture
basato sulla vita di Robert Evans
adattamento di Simon McBurney e James Yeatman
Regia di Simon McBurney, scenografie di Anna Freischle
ingegnere video Simon Wainwright, ingegnere audio Pete Malkin
Con Heather Burns, Christian Camargo, Clint Dyer, Danny Huston,
Thomas Arnold, Max Casella, Ajay Naidu, Madeleine Potter
Londra, Royal Court Theatre, 17marzo - 8 aprile 2017

Anche McBurney abbraccia la cinepresa.

Quel giovane rimane nel film è l'autobiografia del 1994 del produttore cinematografico americano Robert Evans (1930-). Una versione film documentario della stessa esce nel 2002 ed ora Simon McBurney, l'autorevole innovativo fondatore di Complicité ne dà una versione teatrale.

Che cosa ha attirato McBurney? "The script is the star", cioè 'Il copione è il protagonista" è quanto asserisce Robert Evans a proposito dei suoi film, scegliendo i testi di The Detective del 1968 e Mafia di Mario Puzo che diventerà The Godfather nel 1972. La frase riverbera sul palcoscenico del Royal Court e risuona come vera e adatta a descrivere il lavoro e la direzione degli esperimenti in campo teatrale che McBurney sta portando avanti.

Perché prima di tutto questo spettacolo racconta una storia. Quella di un giovane che notato dall'attrice Norma Shearer per interpretare il ruolo del suo defunto marito in Man of a Thousand Faces, entra nel mondo della produzione di film a Hollywood nel 1962, e diventa capo della Paramount Pictures dal 1967 al 1974, portando la casa cinematografica dal nono al primo posto per produzione con film come Rosemary Baby e Chinatown diretti da Roman Polanski, Love Story, e Il Padrino con Marlon Brando. La storia è interspersa da referenze a registi, ad attori, ma anche a Henry Kissinger, amico di Evans, e attraverso un dipanarsi quasi lineare degli avvenimenti, segue Evans nel suo tramonto, dagli anni ottanta, con una condanna per uso di cocaina, il suo coinvolgimento nel processo per l'uccisione nel 1983 di Roy Radin, l'impresario teatrale con cui voleva produrre il film The Cotton Club, fino ai vari ictus che lo hanno colpito dal 1998. La storia dal palco è fedele all'autobiografia, ma con rimandi a una sola delle sette mogli di Evans, Ali MacGraw, la smentita di traffico di cocaina, ed il suo rifiuto a testimoniare nel 1989 nel processo di Radin.
Abbiamo un teatro di narrazione allora?
Si, se si pensa ad una vita che si vuole raccontare come cronistoria, rilevando eventi e principali personaggi, con un narratore presente sul fondo della scena, semi oscurato da una quinta trasparente, ad impersonare l'attuale Evans che si racconta.
No, perché gli otto attori in scena rappresentano la storia. Quindi la versione teatrale gioca su entrambi i livelli.
Ma se la storia è interessante, ancor di più lo è per come è raccontata.
McBurney investe The Kid Stays in the Picture di tutti i contrassegni delle sue sperimentazioni, dilatandoli ulteriormente. A parte l'interprete principale di Richard Evans (l'attore Christian Camargo), gli attori giocano ruoli molteplici, interscambiabili. Non ci sono barriere di razza, abbattute da attori di ogni provenienza, senza distinzione. La narrazione e l'interpretazione magistrale sono giocate su una sinfonia di voci, da sole o in stretto susseguirsi, fino a sovrapporsi. Alla polifonia vien dato un ulteriore livello attraverso l'uso di un vasto numero di microfoni su aste che aggiungono sonorità, profondità o eco o diffusione o sussurrio alle voci. A queste caratteristiche, già rilevate in Beware of Pity si aggiunge qui l'uso della telecamera dal vivo sul palco. Questa permette proiezioni multiple dei personaggi e sul grande schermo di fondo e su quello più ridotto a destra della scena, fin sulla porta del piccolo frigorifero posto sulla ribalta ed anche sulla parete di mattoni rossi che costituisce il muro perimetrico dietro la scena. Le proiezioni, dati gli schermi plurimi e di varie dimensioni, risultano spezzate, come in un puzzle tridimensionale. Per di più, a volte le proiezioni degli attori in scena si sovrappongono a quelle di filmati d'epoca o a video della casa hollywoodiana di Evans o della costa californiana o dei grattacieli di Manhattan, così che la scenografia è costruita virtualmente. Non più quinte o oggetti di scena, a parte la selva dei microfoni ed il frigorifero c'è solo una sedia sul palco, tutto il resto è cyber, filmato. Con una grande differenza rispetto all'esperienza cinematografica, cioè che il teatro possiede e ritiene una triplice, quadrupla, quintupla...quanto si vuole, pluri-dimensione integrale alla scena, derivata cioè dalla forma del palcoscenico. Il suo spazio e la sua proiezione volumetrica, 'cubista', sono quanto differenziano il mezzo teatrale da quello cinematografico.
Come si vede, anche McBurney abbracciando il mondo del cinema: oltre alla storia, ha fatto suo anche il mezzo proprio del cinema nel creare immagini, la cinepresa dal vivo, ed insieme a Ivo van Hove (Roman tragedies) sta trasportando il teatro in una nuova dimensione.

Beatrice Tavecchio

Ultima modifica il Domenica, 30 Aprile 2017 12:31

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