Mnemonic di Simon McBurney: intellettualmente e spettacolarmente superbo
Prodotta dalla originale compagnia, in una nuova edizione 2024
Con Khalid Abdalla, Eileen Walsh, Richard Katz, Tim McMullan, Kostas Philippoglou
Concepita e diretta da Simon McBurney
scene di Michael Levine, luci di Paul Anderson
suono di Christopher Shutt, video di Roland Horvath per rocafilm
Al National Theatre di Londra fino al 10 agosto 2024
Non c’è al giorno d’oggi un drammaturgo e regista teatrale che abbia messo in scena una teoria neurocognitiva, quella della memoria, e l’abbia investita di così tanto afflato teatrale da farla diventare uno spettacolo, lo spettacolo degli ultimi venticinque anni, che tutti vogliono vedere.
II parallelo più consono, quello in cui la teoria diventa spettacolo, è con il teatro di Luigi Pirandello. I quesiti di McBurney sono diversi, riguardano il funzionamento della memoria, il farsi del passato e del futuro ed il legame con l’immaginazione, ma con Luigi Pirandello McBurney condivide le domande sul chi siamo, poste con la stessa profondità di ricerca e di conoscenza. Certo non si possono omettere i lavori di Samuel Beckett, fra tutti Aspettando Godot del 1953, sulla rappresentazione teatrale del come e del perché della nostra esistenza. Ma, come detto, in Mnemonic teoria e domande riguardano altri temi.
Lo spettacolo inizia come teatro di narrazione. Khalid Abdalla, che ha preso il posto del personaggio che McBurney stesso impersonava nelle edizioni precedenti, introduce, solo con microfono sul vasto rettangolare spazio scenico, il tema principale sul ruolo della memoria, che insita nelle regioni celebrali dell’Ippocampo, pone i problemi ancora insoluti dai neuroscienziati. Come funziona? perché alcune memorie persistono ed altre svaniscono?
L’intersecarsi di frammenti di memorie, l’inconsistenza di un loro percorso lineare ed addizionabile come per un computer, l’imprevedibilità, la loro competizione, la loro importanza per la costruzione di un nostro passato e senza questo l’impossibilità di una pianificazione per il nostro futuro, rendono le memorie comparabili ad una ‘turbolenza’ come nel cosmo o come nei cambiamenti climatici. La ‘lezione’ é interspersa di riferimenti personali che introducono un secondo connesso tema sul bisogno di avere una propria ‘storia’: “ Ho bisogno della mia storia”. Sulla necessità di sapere chi siamo. “Perché abbiamo bisogno di saperlo?”. “Non posso tornare a casa senza saperlo” dice l’eroina,- la brava attrice irlandese Eileen Walsh- che partita alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto, telefona al compagno che disperatamente la cerca.
La sua ricerca del passato, seguendo persone e memorabilia, attraverso l’Europa si rivela e lo rivela precario e inconsistente: le rubano i soldi, segue persone e suggerimenti ambigui.
Ed è con questo secondo tema che la scena si anima. I sette attori rimbalzano sulla scena entrando da tutti i lati, portando le loro battute, in varie lingue - in inglese, in americano, in irlandese, in greco, in tedesco, in francese, in un canto yiddish, con richiamo alla lingua originale degli attori della compagnia di McBurney: Complicité -, seguendo il percorso della donna ed incarnando i vari personaggi che incontra, mentre punto fermo di riferimento resta il suo compagno a cui telefona relazionando gli avvenimenti. Questi, sempre il bravissimo Khalid Abdalla, che ha solo un letto di ferro come oggetto di scena, si veste e si sveste, si siede sul letto o se ne alza, cammina e interferisce con l’azione della donna che avviene accanto o in un altro angolo della scena. Le loro due azioni si mischiano e turbinano, ora l’una ora l’altra sul davanti della scena a dominare.
La nudità dell’attore e la ricerca di identificazione introducono e poi si svolgono in concomitanza al terzo tema: il ritrovamento nel 1991 del corpo congelato sulle Alpi di Ötzi, l’uomo preistorico di 5000 anni, ora nel museo di Bolzano. Chi era? Da dove veniva? Come viveva? raccontata e agita attraverso esami DNA e reperti che la scienza analizzava.
Khalid Abdalla e il cast di Mnemonic al National Theatre. Londra. Foto Johan Persson
Ora i tre temi dello spettacolo sono coinvolti in una sola spirale, sovrapponendosi e ruotando in una ‘turbolenza’ magica che fa emergere la nudità dell’Iceman come legame con la nudità dell’uomo che vuol sentire la storia della sua donna, fino al punto in cui tutti gli attori prendono la posizione orizzontale irrigidita dell’uomo preistorico e si distendono sul letto e se ne alzano in un flusso di corpi via via più rapido a indicare la comunanza del nostro essere umano, espressa dal comune corpo nudo.
Il sentimento di meraviglia e di magia, che allarga spazio, significati e tempo a comprendere, sembra, tutto l’universo, è palpabile. L’uso delle luci, anche in silhouette a taglio sugli attori nel finale, luci che risolvono a volte in una nebbia l’inconsistenza delle memorie, o il sipario di plastica che le rende opache, un cielo stellato o innevato; i suoni ritmici, o quelli del cello o il canto yiddish, che accompagnano l’azione; i video che proiettano e ingrandiscono o ripropongono un viso; il suono delle diverse lingue ritmicamente differenti e colorate del loro luogo d’origine. Il tutto si compenetra nel darci non tanto il fatto, ma la sensazione fisica di un luogo, di un’azione e soprattutto in ultima istanza la percezione di un pensiero non solo scientifico, ma anche filosofico: una mescolanza di memorie, di ricordi che si affollano e turbinano dentro di noi, che costruiscono il nostro passato ed il nostro futuro non si sa come, se non che siamo tutti accomunati dal nostro simile corpo.
Non mancano momenti ilari e di leggera satira come per gli americani che girano tutta l’Europa in dieci giorni o quella esilarante degli scienziati che analizzando l’Ötzi, riportano tutto alla loro area di stretto interesse specialistico. Il padre di McBurney era archeologo. Ancora una volta, come sempre in Complicité, corpi, voci, suoni, luci, creano attraverso il movimento un universo che ci fa immaginare.
Questa produzione di Mnemonic, è la quarta in ordine temporale, dopo quella originale del 1999, ripresa nel 2001 e poi nel 2002-3. Della produzione originale rimangono oltre a McBurney, Richard Katz, Tim McMullan, Kostas Philippoglou e i programmatori tecnici Michael Levine per scenografie, Paul Anderson per le luci, Christopher Shutt per il suono, e Christine Cunningham per i costumi, a cui si affianca in questa produzione Roland Horvath della rocafilm come video designer.
Beatrice Tavecchio