Il Teatro dell’Oppresso antidoto alla società della stanchezza
Intervista a Jordi Forcadas, erede di Augusto Boal
di Nicola Arrigoni
È una delle scuole di pensiero e azione del teatro sociale e politico della seconda metà del Novecento, è il Teatro dell’Oppresso, creato dal brasiliano Augusto Boal (1931-2009). A questa pratica laboratoriale saranno dedicate le giornate del 16 e 17 novembre presso il Centro Culturale Next di via Cadolini 20. L’associazione QU.EM. quintelemento, nell’ambito della stagione teatrale 2024/25, organizza un laboratorio con Jordi Forcadas del Forn de teatre Pa’tothom di Barcellona, esponente ed erede del TdO di Augusto Boal. Il workshop sarà co-organizzato con la UILT Lombardia, Unione Italiana Libero Teatro. A spiegare l’eredità di Augusto Boal è lo stesso Forcadas in una conversazione a distanza che ha permesso di aggiornare e riportare alla ribalta le attività seminariali e non solo del Teatro dell’Oppresso nelle cui coordinate di pensiero si crede possa esprimersi un’urgenza di ribellione e armonia con gli altri da ricostruire di cui il nostr presente ha grande bisogno.
Augusto Boal
«L’eredità di Augusto Boal, al di là del suo innovativo approccio teatrale - che ha coinvolto il pubblico in un dibattito su ciò che vedeva sul palco - è stata anche profondamente ideologica, diventando un appello all'azione attraverso il teatro, il che rappresenta ciò che io considero il suo contributo più importante. Sia il teatrante che lo spettatore smettono di essere semplici partecipanti ad un’opera d’arte e tirano fuori la loro capacità critica per consegnarla alla loro comunità, con l’obiettivo di mettere fine a situazioni che la influenzano negativamente».
In che cosa consiste la metodologia del Teatro dell'Oppresso e come lei ne continua la lezione?
«Innanzitutto, voglio chiarire che preferisco non definire il Teatro degli Oppressi una ‘metodologia’, ma piuttosto una corrente teatrale, che ha trasformato il modo di fare e concepire il teatro a livello internazionale. Chiamarlo ‘metodologia’ lo riduce ad un semplice manuale d'istruzioni, come l'uso di un trapano, e toglie la sua carica ideologica. È qualcosa che accade spesso: le persone frequentano i workshop di TdO solo per ‘imparare esercizi’, e questo è molto scoraggiante. Il vero obiettivo del TdO è di aiutarci a scoprire noi stessi come società, a capire il nostro ruolo all'interno di essa e a identificare le lotte di potere che sostengono le strutture dell’ingiustizia».
Laboratorio Teatro dell'Oppresso
Il TdO nasce in un contesto politico e geografico ben preciso: il Brasile della dittatura. Come cambia il concetto di oppressione dalle origini a oggi?
«Il Teatro dell’Oppresso è praticato in quasi tutto il mondo e, oltre ad essere una tecnica, rappresenta una forma di organizzazione popolare e democratica. Ha accompagnato molte lotte, come il Movimento Senza Terra in Brasile, gli indignados o le donne delle pulizie in Spagna e gli studenti in Portogallo, consolidandosi come strumento di resistenza e rivolta contro gli oppressori. Oggi rimane fondamentale per combattere le ideologie totalitarie che stanno riguadagnando un grande slancio (persino governando, da qualche parte). Dobbiamo usare il teatro per decostruire ciò che le sostiene e che contribuisce a creare una realtà che legittima, per esempio, l'annientamento di interi popoli. In questo senso, trovo somiglianze tra i regimi del Brasile negli anni '70 e l'Europa che si intravede. In Italia, nello specifico, credo che il TdO sia rifiorito, negli ultimi anni. Ho notato il carattere profondamente umano di molti dei partecipanti ai workshop. La precarietà etica a cui ci conduce il capitalismo, ci riempie di vuoti esistenziali che, a volte, per esempio, cerchiamo di colmare con un consumismo vorace. Tuttavia, i più irrequieti trovano nel TdO uno spazio per la riflessione e la creatività».
Che cosa differenza l’esperienza laboratoriale del TdO?
«La qualità umana che si trova in questi laboratori permette, in primo luogo, di decostruire quell'umanesimo paternalistico e patetico che ci ha inculcato la religione, tra le altre influenze. Siamo umanisti inclini a cadere in stati di shock provocati dai media, che ci sottomettono costantemente. Questo tipo di umanesimo è pieno di paura e di contraddizioni, e finisce per diventare un sostegno ad ideologie totalitarie. L'umanesimo del TdO è belligerante e combattivo; è anticapitalista perchè parte dal riconoscere che certi gruppi esaltano la disuguaglianza, la discriminazione e l'annientamento come forme di commercio. Un teatro umanista permette di denormalizzare ciò che si considera abituale, ci dà la possibilità di intervenire in una realtà concreta per modificarla, ci invita a provare a cambiare ed a non rassegnarci alla barbarie etica attuale. Il TdO deve spingerci all'azione, portarci fuori dalle nostre case con la determinazione di non accettare l'oppressione e combattere l'ingiustizia».
Che tipo di lavoro farà a Cremona?
«Come sempre, la formazione si costruisce a partire dalle inquietudini sociali dei partecipanti. L'ascolto attivo, da parte mia e del gruppo nel suo insieme, è fondamentale. Questi workshop sono un punto di incontro per un’ampia varietà di persone, come assistenti sociali, pedagoghi, attivisti e studenti, tutti alla ricerca di nuovi modelli di intervento sociale che aiutino i cittadini a sviluppare le strategie per trasformare le strutture, le istituzioni e le persone che generano disuguaglianza sociale. Un esempio lo troviamo in Piemonte, dove con la partecipazione di pedagoghi, famiglie e artista, è sorta la preoccupazione di come affrontare il tema della guerra in contesti educativi, senza essere censurati o percepiti come portatori di ideologie 'sospette'. Quale ruolo deve assumere l'educatore quando riemerge la censura del pensiero unico?».
Singolo e gruppo si raccordano nel TdO. Come è cambiato il modo di agire in questi anni?
«Non dobbiamo cadere nello scoraggiamento; possiamo e dobbiamo immaginare nuove forme di società. È vero che le lotte sono molto frammentate, sia tra partiti politici, movimenti femministi, antirazzisti o sociali. Tuttavia, la cosa importante è che queste lotte esistono, sono presenti e piene di energia. Il TdO può essere un altro ponte di unione che ci rafforza e ci permette di andare avanti insieme, immaginare insieme, lavorare insieme, diventare più attivi e sviluppare un pensiero critico, senza scontrarci fra di noi. Possiamo sbagliare, cadere e rialzarci, ma sempre per andare avanti».
Il TdO può essere uno strumento in grado di sconfiggere l'individualismo narcisitico a cui sembriamo tutti condannati?
«In La società della stanchezza, Byung-Chul Han parla di come l'individualismo abbia trionfato nella società contemporanea, ma non necessariamente come un passo avanti verso la libertà e il benessere personale, ma piuttosto come un fenomeno che genera nuove forme di oppressione e di sfinimento. Byung-Chul Han descrive come siamo passati da una società disciplinare – ben descritta da Michel Foucault, nella quale gli individui erano controllati da regole esterne (come la sorveglianza o la repressione) – ad una società del ‘rendimento’, dove il controllo viene da noi stessi, dove ci imponiamo la necessità di essere produttivi e di avere successo. Questa pressione interna si traduce in un imperativo di rendimento individuale che porta all'esaurimento ed alla "stanchezza". Il trionfo dell'individualismo è legato alla logica neoliberista, che promuove l'autosfruttamento: gli individui non sono più sfruttati dagli altri (come nell'era industriale), ma sfruttano sé stessi nella loro brama di migliorare, competere e distinguersi. Questo si riflette in frasi come "puoi farcela se ti impegni abbastanza", che trasformano il fallimento in una colpa personale. Byung-Chul Han sottolinea anche che questa estrema individualizzazione frammenta le relazioni sociali e favorisce la solitudine, poichè ogni persona si vede come un "imprenditore di sé stesso", in costante competizione con gli altri. Invece di essere solidali, ci rinchiudiamo nella nostra ricerca del successo, che aumenta lo stress e la stanchezza emotiva. Per dirla in un altro modo, il narcisismo che mi chiedi è una grande trappola. In breve, il trionfo dell'individualismo nella società contemporanea non ha portato più libertà, ma nuove forme di autosfruttamento, isolamento e fática, che finiscono per esaurire gli individui nella loro incessante ricerca del successo personale».