mercoledì, 04 dicembre, 2024
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INTERVISTA A SERENA SINIGAGLIA - di Francesco Bettin

Serena Sinigaglia. Foto Serena Serrani Serena Sinigaglia. Foto Serena Serrani

Milanese, dal 2021 dirige insieme a Lella Costa il teatro Carcano della sua città, ed è una delle registe più attive del panorama teatrale italiano. Ha iniziato con Gabriele Vacis e Gigi Dall’Aglio, ed è presidente e direttore artistico dell’A.T.I.R, Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca. Ha diretto per anni la gestione e la programmazione del teatro Ringhiera, realtà molto interessante a Milano, ora chiuso ma con in programma una ristrutturazione e, forse, nuovi orizzonti. Oltre a numerose regie di spettacoli di prosa (Romeo e Giulietta, Baccanti, La cimice, Il nodo, La peste) recentemente ha messo in scena al teatro Verdi di Padova, al teatro Romano di Verona e all’Olimpico di Vicenza, Elettra di Hugo Von Hofmannsthal, con il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Federica Rosellini protagonista, con Arianna Scommegna come Clitennestra, e ha diretto diversi spettacoli di lirica (Carmen, Don Pasquale, Pagliacci, tra gli altri).  Diversi anche i premi ricevuti. Ecco la sua visione sul teatro e i suoi prossimi progetti. 

Com’è andata, Serena, al Teatro Olimpico con Elettra? Questo spettacolo girerà l’Italia o ha terminato il suo percorso?
Molto bene, grazie. Per il fatto se girerà lo speriamo vivamente, credo che il Teatro Stabile del Veneto si stia organizzando per riuscire a riprenderlo e portarlo in tournée per la prossima stagione, naturalmente, visto che è una produzione a cavallo tra l’estate e l’autunno di quest’anno. Io personalmente credo sia necessario e anche doveroso riprendere Elettra, e ne valga la pena perché mettere in piedi uno spettacolo teatrale è sempre un gran dispendio di energie, forze, creatività. Per sua natura stessa dunque dovrebbe vivere nella durata, e non nella logica dell’evento. Soprattutto se ha una sua sostenibilità economica, una sua agilità scenica, un’efficacia comprovata. Il teatro si fonda proprio sulla ripetizione, non sul morire nell’istante stesso in cui lo si fa una o poche volte. 

E qui entra in ballo il sistema teatrale, sbaglio?
Non sbagli. Per come sta andando, questa cosa del provare a portare in giro uno spettacolo è in uno stato squilibrato,  ha una logica che porta all’ipertrofia produttiva che appunto corrisponde all’evento quasi singolo che ha una durata molto limitata, e questa cosa secondo me ammazza uno degli aspetti fondamentali del teatro. Purtroppo è come se il sistema dal punto di vista politico si fosse adeguato sempre più allo spirito del tempo, come direbbe Hegel, che è quello dell’ipercapitalismo che si fonda sul consumo veloce di ogni cosa, cultura compresa. Con una manifesta volontà di adeguarsi al trend economico generale. Non si capisce che il teatro è antico, lento, ed è il suo bello, l’assoluta diversità che ha rispetto a tutti gli altri strumenti di comunicazione, e questa sua peculiarità si deve proteggere e difendere. Il teatro non sarà mai digitale, lo fa e lo farà sempre l’uomo. 

Forse è un po’ la storia dei grandi numeri che lo penalizza? Che non è come il cinema, o la tv? 
Ma questo aspetto può certamente proliferare, appunto, nella ripetizione, ed essendo uno strumento resiliente, il più grande dell’umanesimo, dovrebbe avere una sua legislazione adeguata, visto che le tasse sulla cultura le paghiamo tutti, ed è un aspetto, questo, fondamentale. Basta immaginarselo un po’. Si lavora mesi e mesi, si spendono soldi , c’è un gran lavoro di tutti e poi lo spettacolo non si distribuisce. In questo modo non c’è un sistema che agevola. Ci si ferma a pochissime repliche e non è giusto. Insomma, il teatro dovrebbe essere a statuto speciale. 

A proposito di Elettra, cosa ci dice quel personaggio, invece?
Come ben si sa il suo mito parte dall’Orestea, di Eschilo, probabilmente l’opera trilogica più antica che è rimasta, e lì lei ha un ruolo marginale. Ma è interessante vedere come gli altri drammaturghi greci, Sofocle, Euripide, si siano interessati così fortemente a Elettra, considerazione che ha portato a scrivere poi altre edizioni oltre all’originale. E come è stato per l’antichità, Elettra ha affascinato anche autori moderni, tra cui Marguerite Yourcenar, oltre a Von Hofmannsthal

Ma cosa di lei attira così tanto?
La risposta che mi sono data è che incarna con forza alcuni aspetti: è donna però difende in maniera quasi ossessiva il padre, l’ordine costituito secondo il principio maschile, che anche Athena sancisce alla fine, nelle Eumenidi, di fronte al tribunale dando il suo voto per la salvezza di Oreste. Elettra è il soldato più in alto in carica in questa vicenda,  è una donna e come tale dovrebbe sentire più di altri le ragioni per cui sua madre, Clitennestra, ha eliminato Agamennone, suo padre. La cosa in sè è tragica e affascinante, sappiamo che i grandi autori si misurano sulle grandi contraddizioni dell’umano, non per risolverle ma per cercare di portarle alla luce, scuotere fortemente la coscienza del pubblico su qualsiasi forma di perbenismo, di semplificazione del problema legato alla legge, alla violenza, ai generi. 

E Von Hofmannsthal come la rilegge nel suo testo?
Siamo nella Vienna di fine Ottocento, periodo storico nel quale lui era immerso. Stava emergendo l’espressionismo, una nuova vera rivoluzione culturale, che soppiantava il tentativo della riproduzione della realtà proponendo una lettura psicoanalitica, intima, dava voce alle anime, ai mostri, all’inconscio. Un periodo dove la scelta estetica e poetica degli autori era molto forte, e imprimeva una nuova visione. E l’Elettra di Hofmannsthal è quasi un manifesto di questo tipo di estetica. L’autore scrivendolo compie una scelta straordinariamente contemporanea, la stessa a cui io mi sono di più incollata nell’adattamento, che è quella di farla morire, un’assoluta novità. Anche se compie la vendetta, come nel mito originale, Elettra vive una consunzione fisica nutrendosi di un bisogno ossessivo e malato, la vendetta, e senza più forze, muore. Una scelta drammaturgica e teatrale di una potenza incredibile. Dicendoci molte cose, che la vendetta consuma chi si nutre di essa, che un sistema di violenza che si reitera non porta da nessuna parte, genera ancora morte, e che il suo sacrificio non ha senso. Un diverso significato che apre la strada ai nuovi autori del Novecento, Beckett e il teatro dell’assurdo ad esempio, dove non puoi più nemmeno raccontarla la violenza, ma è talmente necessaria all’animo umano che la puoi solo rappresentare come un assurdo inspiegabile. E violare così tanto il mito è stata da parte di Von Hofmannsthal una scelta forte, coraggiosa. 

Nel tuo adattamento drammaturgico, con Angela Demattè, su cosa hai puntato di più?
Abbiamo voluto dare più corpo e continuità alla presenza del Coro, dando restituzione di quell’atmosfera allucinata che riempie la reggia, un luogo ammalato dove tutto è pregno dell’ossessione della protagonista e della disperazione di Clitennestra. Poi ho voluto dare più spazio a un personaggio, il vecchio servitore, l’unica persona che sembra sensata in tutta la vicenda. Gli ho affidato la narrazione di ciò che accade prima di quello che si vede,  i cenni su Ifigenia, che è fondamentale, e anche il futuro con la sentenza di Athena. Credo infatti che non bisogna dare per scontato che tutto il pubblico che viene a vederti conosca il mito degli Atridi, e se non conosci l’origine difficilmente comprendi la vicenda che l’autore racconta.

E Clitennestra?
Un pochino è stata allargata anche lei come personaggio. Le sono state restituite tutte le ragioni che l’hanno portata a compiere l’assassinio di Agamennone. Sono decisamente in disaccordo a rappresentare quella donna come una matta, una strega. Clitennestra è straordinaria, è il primo personaggio della storia che si autodetermina non con un gesto autolesionista, come quello di Medea, ad esempio, ma uccidendo il marito, che ne aveva fatte di tutti i colori. Ovvio che non si deve mai uccidere, ma le ragioni di quell’assassinio sono molto importanti da porre sul piano del giudizio. E il suo è un gesto fortemente rivoluzionario. 

Parliamo di te, del teatro Ringhiera, dell’Atir, belle realtà della cintura milanese, e della cultura italiana.
Andiamo verso gli otto anni da quando è stato chiuso, ma pare che sia stata fatta la delibera per i lavori di ristrutturazione che dovrebbero partire a gennaio 2025. E’ previsto un anno circa di lavori, poi dovrebbe riaprire i battenti. Ci sarà un bando comunale per la gestione, e noi da quando ci hanno sbattuto fuori abbiamo continuato a presidiare, collaborare con le associazioni presenti, e anche quel luogo senza dèi ha tante persone di buona volontà che cercano di fare in modo che non cada nel disastro. Il teatro Ringhiera ha dimostrato che un presidio culturale che accende una luce si riverbera nel benessere sociale, e che la vera politica di territorio è quella di creare luoghi come questi e a maggior ragione un teatro. E già dopo un anno che era chiuso la socialità stava andando in malora, dopo che era stata riconquistata in modo importante in quel territorio. 

Fondamentale dunque è rimaner attenti e vigili, non far morire mai queste realtà.
Assolutamente. Noi come Atir ci siamo sempre battuti tutti questi anni, pensare che come compagnia indipendente poi ci siam trovati senza una sede non è stato semplice. Saremo sempre lì uniti a collaborare con chi c’è finchè non sarà restituito alla cittadinanza, assieme ai cittadini che con noi condividono la causa, per quello non siamo soli. 

L’Atir dunque è un progetto nel tempo?
Sì, credo che oggi il teatro non sia solo lo spettacolo serale, che eventualmente è solo la punta dell’iceberg, la festa finale, e questa è una convinzione, una poetica della nostra compagnia. Quello che caratterizza il teatro è di essere una realtà viva, carnale, come ho detto prima non digitale. Questo fa sì che oggi possiamo essere accanto ad altre realtà come la medicina, all’istruzione, a occuparci del benessere della persona, della cura e della qualità di relazione tra gli esseri umani.  Il teatro rimane unico di fronte alle numerose possibilità di raccontare storie, e si distingue perché lo si fa dal vivo, è una palestra di educazione all’ umanesimo. Si sta insieme, è polis. Diventa fondamentale in quest’era moderna, per far fronte a malattie come il burnout, alla depressione che imperano, insieme all’ipertrofia digitale, al capitalismo sempre più escludente, violento. Il teatro è qualcosa di molto prezioso che ci ricorda che siamo esseri sociali, umani, che hanno bisogno delle relazioni carnali, dirette. 

I tuoi prossimi impegni, Serena?
Intanto, come co-direttrice artistica del teatro Carcano il mio impegno è quello di riuscire ad arricchire quel luogo di vita, portando il senso di una città che pulsa, diversificare, aumentare il pubblico, renderlo un posto sempre più vivo. Secondariamente, come regista, riallestirò a Bologna Pagliacci, di Leoncavallo, che debutterà il 15 dicembre, e contemporaneamente farò El nost Milan terza parte, quello di Carlo Bertolazzi. Ascolteremo così la fonte che ci ha ispirato questo lungo viaggio triennale attraverso la cittadinanza. Quest’ingaggio del territorio e dei cittadini attraverso l’uso delle pratiche teatrali fa sì che si creino spettatori nuovi. Quando un cittadino fa un’esperienza teatrale e conosce fisicamente quale beneficio può dare diventa uno spettatore consapevole che lo amerà e lo proteggerà, oltre a frequentarlo. 

Vittorie personali, di tutti gli interessati?
Certo, al di là di massiccie campagne pubblicitarie e promozionali io credo in una rieducazione al teatro dal basso: facendo laboratori, incontrando le persone, coinvolgendole in processi che le coinvolgano anche sulla programmazione serale. Il pubblico si rieduca, e credo sia estremamente necessario oggi. Oggi le persone sono troppo abituate, ripeto, agli schermi digitali, alla velocità, alla comodità, all’individualità relazionale. E El nost Milan va proprio nella direzione contraria: partecipazione e consapevolezza, gioia di far parte di un progetto, vederlo dal di dentro, il teatro. Scoprirlo nella sua interezza.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Venerdì, 15 Novembre 2024 12:39

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