domenica, 15 settembre, 2024
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IL FESTIVAL D'AVIGNON AL SUO 78° APPUNTAMENTO. - di Maria Pia Tolu

"Hécube par Hécube", di Tiago Rodrigez "Hécube par Hécube", di Tiago Rodrigez

Il festival d’Avignon al suo 78° appuntamento con il pubblico è incominciato un po’ prima
per via delle Olimpiadi che si svolgeranno a Parigi. 

Tiago Rodriguez, il direttore, ha a scelto come lingua straniera lo spagnolo (il prossimo anno sarà l’arabo) e si propone di operare sulle tracce di Jean Vilar di estendere la visibilità degli spettacoli agendo su un territorio avignonese e dintorni avendo come artista complice il giovane, geniale coreografo Boris Charmatz. Tiago Rodrigez all'origine è un attore portoghese, incrocia la compagnia belga Tg Stan, all'interno della quale affina le sue doti di recitazione, la sua scrittura e il gusto del collettivo. Attore e regista fonda la compagnia Magda Bizzaro nel 2023 prima di prendere la direzione del teatro Nacion e Donna  Maria II a Lisbona da 2015 al 2021 mescolando storie reali e fiction e intrecciando intimo e politico. Ci è stato chiaro che il suo scopo anche e soprattutto in questo Festival di unire, raccogliere artisti e spettacoli per interrogare il nostro mondo, grazie alla potenza delle parole, dei corpi e dell’ immaginazione del publico

Hécube par Hécube 
Hécube par Hécube è uno spettacolo il cui testo, scritto da Tiago Rodrigez, prende spunto dalla tragedia di Euripide. Recitato con virtuoso estro dalla troupe della Comédie française la tragedia di Hécube si mescola in un'abile azione drammaturgica di teatro nel teatro, quel genere di metateatro che può riecheggiare le opere di Pirandello. Infatti la vita di Nadia, attrice che ricopre il ruolo di Hécube che sta facendo le prove è mescolata alla tragedia stessa di Hecuba. Nadia conduce un'altra battaglia su un altro fronte. Impegnata in una procedura giuridica dove deve dimostrare che il figlio autista è stato maltrattato nello stabilimento medico in cui era stato ricoverato. Il coro di Euripide è impersonato da attori formidabili che ricoprono via via funzionari, infermieri che vengono interrogati da Danys Podalydes nel doppio ruolo del giudice e del regista (l'attore Denys Podalydes pieno di sfaccettature e sottilmente ambiguo) - Colloquiando intensamente anche con Nadia-Hécube a volte con la misteriosa stupita presenza propria dell'enigmatica e a volte decisiva funzione del coro a volte ricoprendo il ruolo che devono ricoprire i funzionari messi in gioco. Il tutto in una scenografia misteriosa, resa ancora più enigmatica dall'abbraccio mutevole della Carrière de Boulbon che può veramente cambiare il tono dello spettacolo con la sua attonita presenza, con le sue rocce rosa luminescenti e cangianti. Al centro è posata una scultura che verso la fine dello spettacolo sarà scoperta. È una cagna. Questa cagna dice Nadia, corre velocissima, entra nella città, annusa guata diffidente, paurosa viene scansata e derisa. Cade. si rialza e continua, continua a camminare, correre sempre annusando. È un bel monologo in cui sembra che Nadia parli di se stessa. Elsa Le Poivre è regale, bellissima con la sua capigliatura ondulata che pare vibrare, raggiante. Il corpo agile che conosce con naturale sapienza la scena e il cui volto riceve la luce maestosamente. Alla fine ritroverà il suo cucciolo, privato di una zampa. Lo abbraccia. È felice? Non lo sappiamo ma crediamo che questo spettacolo apra, con la sua complessa proposta scenica, un intelligente e salutare sguardo di apertura verso l'umanità e il teatro. 

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Damon di Angelica Liddell

Damon 
Alla Cour d’Honneur, grande première mondiale, Damon della talentuosa Angelica Liddell che ha sempre suscitato stupori, ammirazione, critiche severe, plaudenti o indignate.
Questo spettacolo Damon ha in particolare ha suscitato molte polemiche e anche la denuncia di un critico francese che è stato attaccato duramente e dileggiato durante lo spettacolo. 
Tiago Rodrigez ha cercato di placare gli animi sottolineando fermamente l'importanza dagli artisti e altresì della critica. Incoraggiando a un dialogo vero, autentico e  tenendo in considerazione il contesto storico in cui stiamo vivendo attualmente. 
Ed eccoci alla Cour d’Honneur. Gli antichi muri sono in parte drappeggiati di rosso. La sala è colma. 
Lo spettacolo comincia con l'apparizione sul palco di un Papa che da sinistra entra, percorre la scena, guardando dubbioso il suolo e le sue calzature di velluto rosso.
Fuori scena: voci minacciose, allarmate che parlano della spaventosa e sanguinosa Tour Glaciére, pietra di dolore e di presenze fantasmatiche.
Entra un piccolo uomo vestito di bianco e di nero con una cerea maschera bianca. Soffia il Mistral e lui rimane imperterrito, fermo per una buona decina di minuti, dando con la sua presenza un tono funebre, severo e un po' grottesco allo spettacolo. Poi ecco Angelica, la scandalosa, proterva, bellissima Angelica Liddel coi suoi lunghi capelli corvini al vento, abito bianco velato.
Si pone di spalle e fa un bidè. Getta poi l'acqua  sui muri della Cour. 
Notiamo sulla scena un urinoir, un water e un lavandino nonché uno stendardo rosso listato d'oro. 
Ed ecco che Angelica Liddel incomincia ad attaccare in modo virulento celebri giornalisti francesi che l'hanno criticata duramente o hanno scritto recensioni normalmente critiche. 
Le parole di questi articoli sono state proiettate sui muri della Corte. E lei li legge gridando innumerevoli improperi in maniera provocatoria, li chiama per nome. 
Poi eccoci a Bergmann che è il centro di riferimento di questo spettacolo. Infatti la Liddel si paragona a lui anche nella reprobazione che il Maestro danese aveva nei confronti dei giornalisti. 
Ciò che la lega a lui in verità sono gli interrogatori estenuanti sulla morte, il rapporto con i genitori. 
Dopo la tirata contro i giornalisti, ecco sfilare barelle in girotondo, barellieri che circolano e vanno avanti e indietro sul palco. Con lei stessa che li rincorre e sullo sfondo, musiche fragorose. Tema della malattia, del decadimento. 
E per l’appunto ecco comparire persone anziane che finiscono per denudarsi. Seduti su queste carrozzelle a rotelle. 
Con linguaggio crudo e violento la Liddel parla della morte, della vecchiaia, del decadimento fisico, del ridicolo che può comportare il disfacimento fisico e mentale. 
Tutto questo mescolato alla voglia di avvilire, di avvilirsi, evocando i fantasmi dell’aldilà. Vengono alla mente i paesaggi apocalittici di Breugel che ritraeva nelle sue pitture corpi non perfetti e li faceva brulicare nelle sue tele con senso di mistero e di smarrimento. 
Angelica Liddel continua ad evocare l’afflizione, lo sconforto, la disumanizzazione del mondo.  Compiangendo le persone che vogliono imporre silenzio e parole. 
Il palco vibra di sentimenti estremi, del compiacimento della morte, di rimproveri tremanti o  urlati nel sottofondo di una colonna sonora tonitruante dove la regista spagnola grida che l'isteria è preferita ai sentimenti. 
Innocenza, colpevolezza? 
Ecco una piccola bambina che entra sul palco e chiede cos'è la vita, cos'è la morte. Sogna e interroga. È Angelica da bambina probabilmente. 
Poi scorrono temi scatologici, merda, sangue che peraltro sono presenti in numerosi spettacoli di Romeo Castellucci e in anche in ambito artistico già nel 1960 nell'opera di Piero Manzoni che addirittura mise in scatola ben novanta scatole ricolme di cacca e le sigillò. E ci applicò su l'etichetta "Merda d'artista".
La guerra, la morte e la distruzione che essa comporta, del non sapere distinguere il reale dall'irreale e della demenza che minaccia tutti. 
Vengono evocati campi di concentramento e il rigor mortis. 
Poi ci saranno scene segnatamente belle e riuscite che colpiscono in maniera sorprendente. 
A un certo punto sulla sinistra tre  attori scendono con una fune dall'alto dell'antico muro, rapidamente. 
Si pensa a Inferno di Romeo Castellucci dove viceversa un giovane uomo si arrampicava sontuosamente agile e semplice, risalendo con le sue mani e i suoi piedi il muro della Cour d’Honneur nel 2008. 
E sulla destra contemporaneamente giovani attrici angelicamente belle, vestite di bianco, compaiono solenni e inquietanti dietro le alte vetrate illuminate. 
Alle grida altisonanti, si alternano musiche solennemente funebri. 
E si ritorna alla figura tutelare di Bergmann che verso la fine della suoi anni perse la voce. Angelica introduce anche il tema della numerologia e della sua importanza simbolica e visiva. Simbologia cara anche a Castellucci. 
Poi eccoci al funerale di Giovanni Paolo e di Bergmann che lo guarda alla televisione e vuole una bara come la sua. 
Dall'evocazione del funerale del Papa si passa al funerale di Bergman. La bara viene portata al centro da attori vestiti di nero, una sacerdotessa bionda, alta, giovane, bella, imponente e leggera. Canta un inno funebre in modo sereno e importante. 
Sullo sfondo, suoni di drammatiche sirene d'allarme che a volte sovrastano il canto corale. Poi il suono si allontana e ritorna, l'eco di guerra che si alterna al rombo continuo, spaventoso delle pale di elicotteri invisibili che si allontanano, si avvicinano  e si dileguano. 
Suono di violini, gli attori si abbracciano silenziosi ed ecco Angelica che depone dolcemente una rosa rossa sulla tomba e resta lì a contemplare la rosa e la tomba. Frastuono apocalittico. Indi musica leggera da film brillante anni 40 .
Poi? "Amen" dice la sacerdotessa "che riposi in pace, signor Bergman”.
Infine in stampatello sul muro della Cour si vedrà proiettata la frase "Prends  garde à toi connard, on se reverra à la prochaine pièce” (frase di Strindberg).
Così termina questo spettacolo anche sonoramente impegnativo. Una vasta tavolozza di tematiche trattate: religione, morte, vecchiaia, ma anche resurrezione.
Con l'appuntamento al prossimo spettacolo. 

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Lacrima di Caroline Guiela Nguyen

Lacrima 
Al Théâtre Aubanel, Lacrima, spettacolo scritto e diretto da Caroline Guiela Nguyen, eletta da poco direttrice del Théâtre National de Strasbourg. 
L'artista è già nota e apprezzata per altri vari spettacoli di successo come Saigon. 
La regista si propone con la sua opera di realizzare forme di teatro comunicabili a vasto raggio, continuando la sua ricerca artistica estetica personale. 
Con il fermo proposito di dare valore alla “parola". La parola che teme sparisca. E crede che con la disparizione della parola, si perda il reale. Da qui il suo interesse per gli umani, di cosa dicono, di come parlano, delle parole che usano e dei loro sentimenti. Cercando i soggetti che la potevano ispirare e interessare, ha incominciato ad osservare il mondo della couture e si è detta che la moda interessa tutti e che poteva essere un soggetto su cui riflettere. È andata a Alençon ed è stata subito stata affascinata dal tema del segreto che uno dei perni antichi della cucitura dell'abito da sposa e sull'infinita pazienza, il savoir faire a volte non riconosciuto delle cucitrici. Della loro fatica e della velocità con cui devono realizzare i loro ricami che amano e apprezzano. 
Da qui è scattata l'idea di ripensare al matrimonio celebre, sfortunato e trendy della principessa Diana su cui sono colati fiumi di inchiostro. Da lì si è sviluppato uno sgranarsi di riflessioni tutte concatenate sui rapporti di dominazione. 
Attraverso il prisma che si precisa nella scena in un'inquadratura scenica sul palco del Théâtre Aubanel: un bell'atelier sobrio, chic di haute couture, con abiti da sposa bianchi e rosa da cerimonia. 
La prima scena è il the end della storia. 
Marion, la direttrice responsabile della realizzazione dell'abito, della restaurazione del velo da sposa di Diana, esaurita, esausta si siede al suo tavolo, telefona alla sua dottoressa che appare in un video dietro di lei e le racconta con voce sempre più lontana, emozionata e emozionante che non è riuscita a cucire “la piega” nell'abito da sposa della principessa Diana. Piega che secondo antiche credenze dovrebbe portare fortuna alla sposa. 
Marion ha ingurgitato dei forti sonniferi e nonostante l'intervento dei medici, si accascia, muore. 
Si ha subito la sensazione, vista la premessa, che il destino di Marion si sovrapponga in maniera malinconicamente tragica alla triste vicenda della principessa Diana in una sorta di involontaria identificazione. Dopo questo flashback, ecco tutte queste scene dove si alternano le scene di cucito delle famose "petites mains", laboriose, infaticabili. 
Marion che le sorveglia, tocca i tessuti, li accarezza. Si percepisce il valore del tatto e della sua sapienza in questo lavoro. Seguono scene di vita familiare non sempre felici: la figlia che le rimprovera la sua assenza. La gelosia malata, possessiva del marito in una scena che ci inchioda sulla poltrona, tale è l'animosità delle domande malate di gelosia tirannica del marito. No Marion non ha una vita facile, né in famiglia né nell'ambiente lavorativo. Il business con le sue crudeli leggi di realizzare il più velocemente possibile questo famoso abito: inquadratura su un vecchio esperimentato cucitore che finisce per divenire cieco. Poi si sente la voce di Diana che si decide per optare per un modello da sposa anni quaranta col punto di vita sui fianchi. Poi di nuovo il protocollo maniacale che esige il segreto su questo abito. Infiniti codicilli, pretese che vengono dettate dall'alto .
Tutto ciò si intreccia e si concatena in vari frammenti. Dai mondi evocati si sviluppano  via via altri universi come in una scatola cinese. Siamo usciti e il pubblico era colpito e scosso. Una  vertiginosa, dolorosa, tesa Odissea, da cui si evince e trionfa tuttavia l'amore della regista per i suoi personaggi e per il genere umano e per il valore della parola. 

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Qui - Som di Baro d'Evel. Foto Christophe RAYNAUD DE LAGE

Qui - Som 
Alla Cour Saint -Joseph, dell'artista catalano Baro d'Evel.
Qui - Som? È il titolo della pièce che si interroga su chi siamo. 
La compagnia è formata da attori, attrici, danzatrici, danzatori, musicisti e musiciste, acrobati, clowns e ceramisti. Appena entriamo nella Cour du Lycée - Saint Joseph, avanziamo scoprendo sui lati sculture di ceramica o di coccio, con accanto gli attori immobili, un po' custodi, un po' padroni di casa misteriosi, dallo sguardo impenetrabile. 
Prendiamo posto e lo spettacolo incomincia. 
Entrano artisti diversi, vestiti di nero, sono come infarinati o spruzzati di gesso. 
Incomincia questa singolare performance, iniziano a scivolare, ad arrotolarsi per terra. 
Poi pattinano, sembrano proprio pattinare su un lago gelato, ghiacciato.Movimenti disarticolati, buffi, volutamente impacciati e si calano sulla testa quei copricapi che sono in realtà vasi di creta rosa che si modellano sul viso, disegnando occhi, bocca e naso. Mentre sul suolo la chiazza bianca trascolora in rosa pallido e assume striature violette. Gli artisti cominciano a muoversi al rallentatore, si osservano, si cercano e accennano irrigiditi passi di danza. Si prendono fraternamente per mano, si colorano di rosso. 
Poi arriva il momento festoso. Qualcuno porta un vaso pieno di cibarie e bicchierini rosa che posano sulla testa. 
A tratti ricordano il lavoro della coreografa Maguy Marin. Un ballerino si srotola sul palco spruzzato di gesso bianco poi si erge, calandosi sulla testa un copricapo di piume che svettano irraggianti colorate, avanza animato mentre le luci si oscurano e poi retrocede. A partire da questo momento iniziano scene di particolare, smagliante bellezza formale e dense di significato.
Si erge un sipario color marroncino, poi verdiccio che incomincia a oscillare lentamente  a muoversi, le pieghe gonfie con  striature cinerine. Che sia un paesaggio distrutto o una montagna che si sta sgretolarsi? La montagna avanza, spuntano scaglie. Ondeggia nel vento. Due performer con la una lunga barba imbiancata si annusano, giocano alla guerra. Sembrano sopravvissuti da uno scoppio atomico, da un disastro guerresco. Si abbracciano, si portano in braccio. Poi il sipario comincia a trascolorare in verde, diventa foresta, continua a muoversi col sottofondo della musica, diventa vela verde, squassata dal vento. Si ritrae scomposta, vibra, ondeggia ritmicamente come una marea oscura, una cupa risacca tempestosa. Si ritrae e mostra il corpo di qualcuno sdraiato sul palco. 
Poi la risacca diventa marrone, ecco spuntare un corpo sospinto da ghiacci bianchi  lentamente arrivare in una spiaggia che si rivela essere un insieme di bottiglie, detriti elegantemente verdi e bianchi. Sempre più numerosi. Bottiglie di plastica, poi rombi di tuoni, rombo del mare. La massa di detriti é sempre più grossa. Il mare sembra aver espulso detriti e spazzatura drammaticamente elegante. 
Corpi che emergono da detriti, lontano per uscire dalla spazzatura che sembra ora schiuma luccicante. Poi emergono giocosi fanno rumore maldestri sui ghiacci.
Arriva bimba con fox-terrier, probabilmente simbolo di vita rinnovata, innocente. Pianola che suona. Poi tutto lo spettacolo si articola e si muove sopra e intorno e su questo marasma elegante di ghiacci, bottiglie, drammaticamente elegante e eloquente. Si canta con il microfono, si inciampa, si gioca scangliando ghiacci. Arditi giocolieri. Spettacolo che evoca disastri ecologici, ma anche il desiderio di recuperare la memoria e di promettersi vicendevolmente di vivere. Tamburi, tromboni, aria circense, banda da paese mimata.
Spettacolo filosoficamente indirizzato verso la speranza non sciocca di chi, emerso dai detriti di una storia che è passata, che si vede e che si lascia. Di  una nuova coscienza che è emersa. 

Maria Pia Tolu

Ultima modifica il Mercoledì, 31 Luglio 2024 08:25

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