LIBERO DI VOLARE
Racconto allegorico di Yannis Hott
Prima di aprire con le chiavi la porta, Felice si pulì le scarpe sullo zerbinotto. Voleva entrare in casa senza sporcare, visto che era da poco piovuto e la strada risultava fangosa. Era quasi l’ora del tramonto. Aveva lasciato l’ufficio innanzi tempo. Aveva preso una decisione indicibile. Voleva spiccare il volo, uscire di scena, perché stanco di tutte le sofferenze che lo stavano assalendo: debiti accumulati, acciacchi di salute, incomprensioni in ufficio, solitudine di vita, prospettive del futuro nebbiose, vista anche l’età già avanzata sulle spalle, e una depressione che lo attanagliava ogni giorno, proprio nel momento in cui doveva rientrare a casa, dove solo gli oggetti a lui cari, e il suo canarino rinchiuso nella gabbia colorata a forma di cupola, lo attendevano. Ma non si capisce bene il suo piano.
Girò di tre mandate la serratura vecchio stampo, poi passò la chiave sotto alla serratura più moderna che aveva fatto installare contro i furti, e girò ben otto mandate. Aprì la porta, in silenzio. Ascoltò il cinguettio del canarino, che lo salutava come faceva ogni giorno al suo rientro. Posò la sua borsa sulla sedia vicino al tavolo. Estrasse i suoi incartamenti: li divise con cura: le bollette da una parte, l’agenda sull’altro lato, le cartellette al centro e le matite sotto le cartelle di lavoro dell’ufficio che si portava sempre appresso. Con metodo quasi certosino, le dispose formando quasi una grande maschera dove l’agenda e le bollette formavano gli occhi, le cartelle un naso largo largo, e le matite una sorta di bocca ghignosa.
Spense la luce e accese una candela al centro del tavolo. Ma cosa aveva in mente? Sembrava che preparasse uno strano rito.
Si tolse l’impermeabile, la giacca e indossò la vestaglia, quella nuova, presa per l’occasione dal cassetto del comò. Andò in bagno, si fece la barba, si pettinò con cura.
Poi tirò fuori una lunga corda da un sacchetto di plastica che si trovava in un angolo del bagno.
Raggiunse la tavola al centro della sala: vi pose sopra una sedia, salì sopra il tavolo e quindi sulla sedia, e, allungando le braccia, riuscì a far passare la corda nel gancio che sosteneva il lampadario. Ora si capiva quali fossero le sue intenzioni: voleva farla finita, impiccandosi.
Mentre annodava la corda al gancio, il suo sguardo di posò sul disordine che regnava nella stanza. Scese e con cura aggiustò i cuscini sopra il divano, pulì e mise le scarpe sotto il termosifone vicino alla porta d’ingresso, ben ordinate, raccolse dalla cucina ciò che c’era nel secchio dell’umido e lo mise fuori dalla porta: insomma, volle fare ordine in ogni angolo e appena terminata questa operazione fatta con precisione maniacale, risalì sul tavolo e quindi sulla sedia. Stava per fare il cappio alla corda, quando squillò il telefono, discese alzò la cornetta e non rispose. Dall’altro capo del telefono una voce gridava: “Felice dove hai messo le pratiche che sai, non riusciamo a trovarle, Felice, rispondi, che ti prende?”. Una frase che fu ripetuta più volte. Felice, non curante, risalì sul tavolo, e poi sulla sedia, ma in quel momento si sentì suonare il campanello di casa. Scese non per aprire ma vedere dallo spioncino chi fosse. Era un venditore di sicuro, tanto che vide uscire da sotto la porta dei volantini pubblicitari. Li raccolse, e li gettò nel cestino della sala. Riprese il suo rito: salì sul tavolo, poi sulla sedia. Mentre stava facendo il cappio fu raggiunto dalle voci del televisore del vicino ti casa. Ne fu sorpreso e ne fu disturbato. Scese di nuovo da tavolo, raggiunse la camera dove dal comodino prese due “tappaorecchi” che era solito mettersi durante la notte per non sentire né i rumori dei vicini né quelli delle auto di strada. Con cura se li stava mentendo dentro gli orecchi, quando proprio in quel momento il canarino cominciò a cinguettare. Lo guardò con attenzione, lasciò cadere i due tappi, prese la gabbia, aprì la finestra. Fuori c’era una luce ambra: il sole stava ritirandosi a dormire e tingeva le poche nuvole rimaste in cielo di rosso vivo. Aprì lo sportello della gabbia, e rimase in attesa di vederlo uscire. Il canarino, dopo aver fatto un paio di saltelli tra un’asta e l’altra, cinguettando con forza, con felicità, prese il volo.
Felice ripose la gabbia sul pavimento, e con la mano lo salutava, felice di vederlo volare: libero!
Poi, appoggiò i gomiti sul davanzale, tenendosi il volto tra le mani, guardando il canarino disperdersi nell’aria del tramonto.
E lì rimase per lungo tempo.