Il Ciclope da Euripide al Festival del Teatro dei due Mari - XVII Ciclo di spettacoli classici al Teatro greco di Tindari, dal 24 maggio al 4 giugno 2017.
di Gigi Giacobbe
Certamente il pubblico greco di 25 secoli fa dopo aver assistito, mettiamo, a tre drammoni quali potevano essere Alcesti, Medea, Elettra aveva bisogno poi di prendere una bella boccata d'aria, assistere a qualcosa di leggero, di comico di divertente, quale poteva essere un dramma satiresco tipo Il Ciclope di Euripide, autore pure dei lavori accennati. Un po'come accadeva, diciamo dalla fine degli anni '30 ai '60 nei nostri cine-teatri italici, nei quali dopo aver assistito ad un film palloso o tristissimo seguiva uno spettacolo di varietà, con sketch, gag, canzoni e soubrette bonazze per risollevare l'animo degli spettatori e farli tornare a casa meno cupi e aggrottati. Se una dozzina d'anni fa per il suo U' Ciclopu a Palazzolo Acreide Vincenzo Pirrotta utilizzò la trasposizione in dialetto girgentino di Pirandello inscenando una sorta di rituale dionisiaco di stampo etnoantropologico, qui al Teatro greco di Tindari, per il Festival dei due Mari, Angelo Campolo attinge alla nitida traduzione di Filippo Amoroso e il suo Ciclope si carica di poesia e di lirismo, lì dove s'innestano i pensieri sempre attuali di Socrate, Platone, Pericle, anche di Shakespeare e alcuni passi de Il libro dell'ospitalità di Edmond Jabés, diventando lo spettacolo una specie di parodia colta e ilare del IX canto dell'Odissea di Omero riguardante appunto l'episodio del terribile Polifemo. Qui pero Il Ciclope, impersonato da un possente e anche divertito e ironico Edoardo Siravo con pellicciona nera sulla spalle, a differenza di quello omerico, è più civilizzato, si nutre esclusivamente di latte e formaggio e ignora cibi più elaborati come pane e vino e pur vivendo ai margini della società non ha nulla di bestiale. Vuole che i satiri gli puliscano bene la grotta, e mentre le sue greggi pascolano nei campi, lui se ne va a caccia, non per procurarsi il cibo, ma solo per divertimento. Mangia carne umana, è vero, ma desidera che sia cotta a puntino. Insomma non rappresenta più la selvaggia bestialità del ciclope dell'Odissea, ma una sua forma più moderna e più metropolitana. Purtroppo alla "prima" gli spettatori, per problemi di agibilità, si sono dovuti accomodare nell'orchestra e non nella cavea - senza poter godere della visione metafisica della penisoletta di Milazzo e delle isole Eolie - a contatto quasi con gli attori e la scena nuda di Giulia Drogo, suoi pure i costumi, che aveva al centro, come unico elemento, un grande bulbo oculare che rimaneva inerte a mezz'aria quando ci si aspettava che potesse illuminarsi o essere infilzato alla fine da Ulisse con quel ramo d'ulivo arroventato. O meglio da quel "Nessuno", interpretato da un efficace Eugenio Papalia, vestito come un parà militare, mandando in bestia i quattro satiri, con funzione di coro, dei bravi Patrizia Ajello, Michele Falica, Francesco Natoli, Tony Scarfì, agghindati con corna e zampe caprine lanose e con scopa in mano, allorquando chiedevano a quell'omone vorace chi l'avesse accecato ricevendo come risposta, appunto, "Nessuno". Lo spettacolo di Campolo è gradevole, divertente ed è davvero autorevole Giovanni Moschella nei panni di Sileno, un satiro anziano, corpulento calvo e peloso dalla natura selvaggia e lasciva, pure saggio, che si chiede amleticamente perché esistiamo noi e non il nulla o se la vita è reale o è solo un'illusione. Un personaggio che raccorda le fila del plot e che tuttavia dovrà, forse, sottomettersi ai desideri sessuali del Ciclope quando verrà invitato nella sua grotta. Da canto loro i quattro satiri, dopo l'accecamento del loro famelico e gaudente carceriere, libereranno le proprie zampe da una corda nera che li teneva prigionieri e seguiranno Ulisse nelle sue avventure. Le musiche originali erano di Marco Betta, i movimenti scenici di Sarah Lanza.