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Segnali 2012 di Claudio Facchinelli

Voglio la luna del Teatro Pirata Voglio la luna del Teatro Pirata Fabio Spadoni

 Anche quest'anno, a dispetto della mancanza di contributi della Regione Lombardia, ma grazie alla lodevole, cocciuta determinazione del Teatro del Buratto e di Elsinor, il 10 e l'11 maggio si è tenuta la XXIII edizione di Segnali, il Festival di teatro ragazzi, realizzata in economia, confinata a Milano con una breve incursione alla Fabbrica del gioco e delle Arti di Cormano. Ma, come ormai da alcun anni, ha offerto l'occasione per la consegna degli Eolo Awards, che la rivista omonima ha istituito in memoria di Manuela Fralleone, la compianta operatrice dell'Eti. Fra questi, da citare almeno il premio alla carriera consegnato a Giovanni Moretti, maestro dell'animazione teatrale, del teatro ragazzi, del teatro tout court (ricordo con emozione di aver assistito, da adolescente, a un suo Aspettando Godot, al Teatro delle Dieci di Torino).
Non tutti gli undici spettacoli proposti sono apparsi ugualmente convincenti. Un sapiente e fascinoso utilizzo delle bolle di sapone non era sostenuto da una drammaturgia adeguata (L'omino della pioggia, di Michele Cafaggi); un surreale, inquietante pezzo di teatro dell'assurdo, ben realizzato sul piano attorale e registico, era tuttavia fuori dalla portata della fascia d'età indicata (Anselmo e Greta, degli Eccentrici Dadarò); un progetto accurato, anche nell'invenzione degli oggetti, non è sembrato catturare i bambini (Seme di Mela, del Teatro del Buratto); opinabile l'operazione di ripescaggio di Salgàri (Il Corsaro Nero, di Elsinor); un po' semplicistico il didascalismo de L'acqua invisibile; accattivante il segno grafico di Michele Eynard in Pam. Parole a matita, di Luna e Gnac ma, anche qui, una drammaturgia più articolata, pur mirata ai piccoli spettatori, non avrebbe guastato.

Secondo Pinocchio

Non sono mancate, tuttavia, anche le piacevoli sorprese. Inizierei da Help, una coproduzione estone ed ungherese, ove due sorprendenti giovani attori, originari delle due nazioni, restituiscono con accenti di verità il miscuglio di attrazione e diffidenza fra sessi, proprio dell'adolescenza, in una scenografia scarna, integrata da sobrie proiezioni che suggeriscono con efficacia l'inverno finlandese: una sorta di parabola, esente da tentazioni retoriche edificanti, sulla convivenza fra diversi.
Amleto di Quelli di Grock, e Romeo e Giulietta– Grandi storie, piccoli spettatori, di Residenza Torrerotonda / Cooperativa Attivamente, forniscono due esempi, diversi ma ugualmente efficaci, di come si possano presentare i classici alle giovani generazioni. In Romeo e Giulietta il meccanismo del teatro viene smontato, svelandone i trucchi, con un occhio alla Commedia dell'arte: i tre attori ricoprono tutti i ruoli, con sapidi giochi di teatro nel teatro, che disperdono quell'alone serioso che, nell'immaginario dei ragazzi, spesso circonda il Bardo. Anche Quelli di Grock propongono un'edizione della tragedia in leggerezza, secondo la loro consolidata poetica fatta di energia, ironia e agitazione ipercinetica, tagliando coraggiosamente o lasciando in understatement alcuni dei topoi basilari, esaltando il movimento, il registro comico, in un vortice di scambi a vista fra attori e personaggi: una lettura certo adatta ad un pubblico adolescente, ma non priva di interesse e godimento per chiunque sia abituato ad edizioni shakespeariane diversamente ingessate e declamatorie.
Un plauso tocca ad Eolo per aver dato riconoscimento e visibilità a Burambò, compagnia vincitrice di Eolo Awards 2012 per il teatro di figura che, con Secondo Pinocchio, dimostra l'intramontabile fascino – e anche un'inaspettata capacità di rinnovarsi – del teatro dei burattini: qui pupazzi con i piedi, animati a vista, che interagiscono col loro demiurgo: uno spettacolo accattivante, intelligente, godibile da ogni ordine di età (seconda giovinezza compresa).
Infine, Voglio la luna, del Teatro Pirata in collaborazione con Gruppo Baku. Devo premettere che coltivo un'inveterata diffidenza verso il teatro con disabili: il ricatto emotivo, l'esibizione da baraccone o, al contrario, la pretesa omologazione del disabile, sono elementi che troppo spesso falsano lo sguardo – e il giudizio – dello spettatore. E ciò, a mio parere, vale anche per molte realtà riconosciute e premiate. Qui invece, fin dalle prime battute, sono stato risucchiato nel mondo, sospeso fra realtà e fantasia, soffuso di comica tenerezza, in cui Fabio Spadoni, giovane Down, ci introduceva dolcemente, senza alcuna captatio benevolentiae, raccontandoci la sua giornata e i suoi sogni, comunicandoci una singolare, aerea poesia che solo lui – certo, sostenuto da una drammaturgia e una regia intelligente, attenta a coglierne e tradurne teatralmente la bellezza – poteva donarci.
Un esempio da manuale di come il teatro possa muoversi, scansandone i pericoli, sull'arduo, intricato terreno della diversità.

Ultima modifica il Domenica, 17 Marzo 2013 09:49
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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