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Progetto Ligabue. Terza e ultima parte: Bassa Continua- Toni sul Po di Mario Perrotta.-di Gigi Giacobbe

Progetto Ligabue di Mario Perrotta. Foto Luigi Burroni Progetto Ligabue di Mario Perrotta. Foto Luigi Burroni

Progetto Ligabue. Terza e ultima parte: Bassa Continua- Toni sul Po di Mario Perrotta. 21-24 maggio 2015 a Gualtieri, Guastalla e Reggio Emila

Ci s'innamora, come la Compagnia Fanny & Alexander sta facendo da anni, di quel progetto sul Discorso ai cui colori grigio-giallo-celeste-viola-rosa-viola-rosso fa interfacciare vari ambienti sociali che sono quelli politici-pedagogici-sportivi-religiosi-sindacali-giuridici-sociali, e ci si può innamorare come ha fatto Mario Perrotta dei colori e della vita del singolare pittore Antonio Ligabue, erroneamente considerato un naif, meglio inquadrarlo come un primitivo, un fauve, il cui progetto triennale iniziato al Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari con Un bès (Un bacio) e Pitur (Pittore), ha avuto il suo epilogo in questo fine maggio, dal 21 al 24, con l'evento Bassa Continua-Toni sul Po, svoltosi a Gualtieri, Guastalla, Reggio Emilia. I tre luoghi dell'anima in cui Ligabue dopo la parentesi svizzera durata 19 anni - ricordiamo che è nato a Zurigo nel 1899 trascorrendo un'infanzia non augurabile a nessun bambino ed è morto a Gualtieri nel 1965 quando aveva 66 anni - ha vissuto come un clochard, tra follia e emarginazione, la sua diversità e asocialità, preferendo passare i suoi giorni e le sue notti come un animale solitario e selvaggio nella golena ( i boschi che lambiscono il fiume Po), nell'Ospizio di mendicità Carri di Gualtieri e nei fienili delle case contadine della Bassa Padana. Tre luoghi, tre differenti spettacoli, tre percorsi itineranti che partivano dalle tre località accennate prima, il cui primo Percorso aveva come location l'ex-manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia, di cui si utilizzavano cameroni e stanzette del padiglione Lombroso, dentro il quale Ligabue fu ricoverato tre volte: le prime due nel '37 e nel '41 per pochi mesi, la terza volta nel 1945 per più di tre anni, per aver spaccato una bottiglia in testa ad un nazista e "salvato" dalla fucilazione da un medico del nosocomio dichiarando al comandante tedesco che era solo un povero pazzo da ricoverare. Raffaele Latagliata, dall'aplomb d'uno psichiatra in lungo camice bianco, riferisce ai visitatori-spettatori lo status mentale del paziente-Ligabue che appare depresso, confuso, con barba ispida e una ferita sul naso, forse procurata da lui stesso, per affilarselo come il becco di un'aquila: dice bestemmie e frasi irriguardose, chiede di fare passeggiate all'aperto imitando il verso degli uccelli e manifestando episodi di onanismo e disturbi sessuali. Intanto un manipolo di giovani attori e attrici cercano d'imitare gesti smorfie e manie dei devianti, quindi gli interpreti di sesso maschile, moltiplicandosi in tanti Ligabue, invitano gli spettatori ad entrare a piccoli gruppi dentro le piccole celle, alcune con apparecchi e strumenti scientifici di quell'epoca in bella mostra, che, come in una sorta di "confessione" in stile Walter Manfrè, raccontano alcune ossessioni di Toni il pitur. Sul pullman poi verso Gualtieri un televisore proietta alcuni filmati realizzati nei primi anni '60 per la Tv di Stato da Raffaele Andreassi in cui appare un giovane Romolo Valli nei panni veri d'un giornalista della Gazzetta di Reggio Emilia e si vede un Ligabue indossare biancheria intima di donna, forse per feticismo forse per carenza d'amore, e in un'altra scena al tavolo di un'osteria l'artista baratta un disegno di un setter col bacio di una donna: una comparsa assoldata giusto per girare la sequenza che a Ligabue doveva sembrare vera e reale. « Ma non era poi così stupido il Toni - a detta di Sergio Negri, gallerista di Gualtieri che l'ha conosciuto sin da bambino e che possiede un'ampia collezione dei suoi dipinti - perché nel 1961 dopo il successo che riscuote una sua mostra personale organizzata da Marino Mazzacurati alla Barcaccia di Roma, tanto da fare scoppiare il Caso Ligabue e fare acquisire ai dipinti un'ottima quotazione, Toni ironicamente mi dice: "perché Arnaldo Bartoli - anche lui pittore quotato del periodo e possessore d'una sfilza di sue opere - "vende i miei quadri e non i suoi? ». Il regista di questo Percorso Manicomio era Andrea Paolucci, mentre gli altri due Percorsi, Città e Fiume, erano firmati da Alessandro Migliucci e Donatella Allegro, sintonizzati in modo che tutti e tre gli spettacoli si svolgessero in contemporanea, finiti i quali gli spettatori salivano sui pullman, scendevano nelle prossimità di Gualtieri, venivano fatti incolonnare in processione dietro tre bande musicali intonanti le note più celebri di Nino Rota create per l'Amarcord di Fellini. Infine queste tre piccole folle convogliavano nella bella e ampia Piazza Bentivoglio, al centro della quale subito dopo sopraggiungeva un corteo funebre formato per lo più da figuranti del luogo, la cui testa era capitanata da una dozzina di giovani attori che portavano a spalla una bara, sulla quale stava seduto lo stesso Mario Perrotta con cappottone nero nei panni di Ligabue che, una volta smessa la marcia funebre composta da tale Montanari, sbraitava a destra e a manca del come e perché molti dei presenti, segnandoli a dito, s'erano arricchiti alle sue spalle comprando per un pugno di lenticchie le sue opere. Nel secondo Percorso il Ligabue, impersonato da Lorenzo Anzaloni, arriva con una valigia in mano su una piazza di Guastalla accanto ad un bronzeo monumento lì dove un folto gruppo di ballerini intreccia danze astratte, proseguite poi all'interno d'uno stabile con ampio cortile e tetto di vetro mentre tutt'intorno alcune attrici intonano canzoncine del periodo fascista come Maramau perchè sei morto e si sprecano slogan inneggianti a Mussolini di cui si udrà pure un suo farneticante comizio, riempiendosi l'aria di sirene, bombe, colpi di fucili e cannoneggiamenti vari. Si risale sui pullman con l'invito di alcune figure femminili d'oscurare i finestrini con le tendine poste di lato, di stare zitti, mentre loro si agitano con le torce accese in mano. Evidentemente Migliucci ha voluto ri-creare le atmosfere vissute dal delirante artista in quel ventennio fascista culminante con la fine della seconda guerra mondiale e con il Ligabue che esternava in uno stanzone le sue difficoltà esistenziali. Non tralasciando la regia, quasi come in un piano-sequenza, di farci ricordare, passando da un bar, l'era del Lascia e Raddoppia in bianco e nero di Mike Bongiorno e le atmosfere dell'avanspettacolo sul palcoscenico del rinato Teatro Sociale ad opera di tre colorite e ironiche soubrette, quelle di Paola Roscioli, Lara Puglia, Alessia Martegiani. Uno spazio che a quel tempo era pure un cinematografo dentro il quale Ligabue andava a sedersi sull'alto loggione e assistere estasiato ai film di Tarzan interpretati da Johnny Weismuller col suo grido inconfondibile a lottare con delle tigri feroci. Quei felini che Ligabue ha dipinto chissà quante volte, inserendovi animali d'ogni genere e riproducendo centinaia di volte il suo autoritratto dalla faccia scavata, gli occhi allucinati rivolti sempre verso il lato sinistro per chi guarda, il naso adunco con una visibile crosta, le orecchie a sventola, il gozzo e il cranio spelato.

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Il terzo Percorso sulla golena del fiume Po è stato forse quello più suggestivo, che pur insidioso per il fango creato dalle piogge cadute in quei giorni, è stato vissuto dal pubblico come una magia. Non solo per le migliaia di lucciole che brillavano fra le macchie verdi e il fitto bosco di pioppi, ma anche per i vari luoghi vivacizzati da percussionisti e danzatori, per una piccola balera popolata da tre splendide donnine (Micaela Casalboni, Alice Melloni e Silvia Lamboglia) che cercavano di fare avvicinare il Ligabue di Marco Cavalcoli, colto più volte a raccontare tranches di vita dell'artista su un romantico barcone, che rifiutava quel luogo odorante di sesso, lui che in vita sua mai ha fatto l'amore con una donna, forse per paura o perché preferiva la compagnia dei cani, mentre si respiravano momenti di sublime quiete per il suono astratto d'un violino che sopraggiungeva da quelle acque stagnanti e fumanti.

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Un mega spettacolo visibile in tre giorni, cui hanno preso parte 180 protagonisti fra musicisti, danzatori, cantanti, figuranti, maestranze varie e attori, di cui almeno vanno citati i vari Emmanuele Aita, Lorenzo Ansaloni, Giacomo Armaroli, Simone Baldassari, Andrea Bellacicco, Nicola Borghesi, Marco Briatti, Federico Caiazzo, Chiara de Pascalis, Gabriele Genovese, Gilberto Giuliani, Roberto Marinelli, Valentina Maselli, Claudia Mosconi, Anais Nicolas, Davide Paciolla, Michele Pagliai, Alice Pavan, Livio Remuzzi, Vincenzo Romano, Eleonora Zappetti e Federica Restani, pure novello Cicerone quest'ultima, di bordeaux vestita per piccoli gruppi di curiosi, guidati a conoscere i meandri del Teatro Ruggero Ruggeri di Guastalla, all'interno del quale sino a pochi anni fa viveva, con balconcino sulla scena (adesso murato), tale Spino con la sua famiglia che poteva godere degli spettacoli mentre se ne stavano beatamente seduti a cenare. Una trilogia teatrale dipanatasi in tre anni che per Perrotta e compagni è stata un vero e grande successo e che ha fatto riscoprire un grande artista di cui quest'anno si celebra il 50° anniversario della sua scomparsa.-

Ultima modifica il Giovedì, 11 Giugno 2015 18:07

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