giovedì, 25 aprile, 2024
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PRIMAVERA DEI TEATRI XXII EDIZIONE. -di Gigi Giacobbe

Saverio La Ruina - "V canto inferno". Foto Angelo Maggio Saverio La Ruina - "V canto inferno". Foto Angelo Maggio

A primo acchito il manifesto del canadese Colin Anderson, residente in Australia, raffigurante un uomo seduto su una sedia bianca avvolto da bolle trasparenti utilizzate per gli imballaggi ricorda un po’ quel sorridente omino gommoso della Michelin. Poi invece queste pluriball plastificate che ricoprono per intero il suo corpo somigliano ad una muta gibbosa, ad una corazza utile a respingere le insidie che vengono dal mondo esterno. Una metafora, se si vuole, che ben s’abbina a questa XXII Edizione di Primavera dei Teatri di Castrovillari, che rinnova antichi splendori nonostante una pandemia non del tutto debellata e una guerra in itinere a due passi da noi, diretta sempre con immutata gioia da Settimio Pisano, Saverio La Ruina e Dario De Luca. Con la novità in questo 2022 d’aver allargato gli orizzonti verso la città di Catanzaro dal 27 al 29 settembre con sei proposte: Esercizi per un manifesto poetico del Collettibvo Mine; La Plaza ad opera degli spagnoli di El Conde de de Torrefiel; Love me dell’argentina Marina Otero; Transpophagic Manifest della brasiliana Renata Carvalho; Save the last dance for me di Alessandro Sciarroni; Graces di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti. Più numerosi gli spettacoli a Castrovillari, tre ogni giorno (dal 30 settembre al 6 ottobre), seguendo chi scrive quelli sino al quattro, ruotanti, forse non per caso intorno alla famiglia e al rapporto padri-figli.
In una delle stanze del Castello Aragonese, in un’atmosfera tardo-medievale, Saverio La Ruina con voce greve ha dato vita al V Canto dell’Inferno di Dante dove sono puniti i lussuriosi e le anime dei morti per amore (Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena di Troia, Paride, Tristano) capeggiati da Paolo e Francesca, uniti da un amore ineluttabile uccisi in un sol colpo da Giangiotto, marito di lei e fratello di lui. Nel video di Antonio Romagnoli è visibile un prato incolto e due labrador neri che giochicchiano in mezzo alla neve, mentre Cecilia Foti canta Morire d’amore di Giuni Russo i cui versi sono tratti dalle poesie di San Giovanni della Croce.

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Dei Figli curata da Mario Perrotta. Foto Angelo Maggio

Per ciò che riguarda Dei figli, terza parte della trilogia sulla famiglia curata da Mario Perrotta, (le altre due erano incentrate sulla madre e sul padre) ne ho scritto in precedenza e chi vuole può recuperare gli articoli sfogliando l’alfabeto del giornale.
A seguire, al Teatro Sybaris Francesco Aiello e Mariasilvia Greco autori e registi e pure attori assieme ad Elvira Scorza, davano vita alla loro pièce Dammi un attimo, calandosi nel ruolo d’una coppia che ha paura, in realtà più lei che lui, di mettere al mondo una creatura in una realtà come quella attuale, caratterizzata dalla precarietà in tutti i settori del vivere quotidiano. La scena è occupata da tre contenitori di plastica buoni per infilarvi non solo indumenti, dalla graticcia pende un forno a microonde e sul fondo stazionano altri tre contenitori con lucette tutt’intorno, buoni per imbottigliarvisi dentro, sintesi forse delle loro singole dimore. Più entusiasta la Scorza, sorella di Francesco, che cerca con piglio da sportiva d’incoraggiare la cognata a procreare e ad affrontare la vita così come viene, mentre in più momenti echeggiano almeno tre brani musicali di Leonard Cohen che invitano più alla riflessione che all’azione.
In un pomeriggio freddoso e ventoso assieme ad altri spettatori e colleghi, forniti di cuffie alle orecchie, andiamo in processione per vicoli viuzze e piazzette di Castrovillari dietro a Mauro Lamanna, che tiene in mano un bastone con sventolante bandiera rossa. Trattasi d’una performance itinerante titolata Real Heroes, scritta e diretta oltre che da La Manna anche da Aguilera Justiniano, che racconta due storie di due padri costretti a vivere lontani dai propri figli. La prima si svolge nel Cile di Pinochet dopo il golpe del settembre del 1973 ai danni del governo democratico di Salvador Allende, quando instaurò un regime autoritario e dittatoriale, rendendosi responsabile di crimini contro l'umanità. Ne fa le spese tale Sebastiano quando la polizia segreta rapisce i suoi figli per le sue lotte di attivista e per liberarli decide di spruzzarsi di benzina e paraffina e darsi fuoco nella piazza davanti alla cattedrale della sua città Concezione. Negli auricolari una voce ci dice di guardare i manifestini colorati attaccati sui muri di varie case disabitate, passando poi alla seconda storia che si svolge a Catanzaro e vede come protagonista tale Gianluca, il quale dopo aver perso il lavoro e essersi separato dalla moglie, per garantire al figlio una vita serena e felice, è costretto a vivere nella sua macchina. Quel luogo, la sua macchina, diventa per padre e figlio il luogo più intimo e magico che esista. Il gruppo entra pure all’interno del Cinema Ciminelli e infine seduti sugli scaloni d’una piazzetta adiacente, qualcuno ci infila in testa un visore, un virtual reality, in cui appaiono invero immagini stereotipate un tale che lava la macchina, un vecchio su una spiaggia etc…con un finale che ci dice di avere cura dei nostri padri.

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Serena Balivo e Roberto Latini in Danzando con il mostro di Mariano Dammacco. Foto Angelo Maggio

All’inizio di Danzando con il mostro di Mariano Dammacco, Roberto Latini sembra l’immagine di Mandrake con frak e cilindro, mentre Serena Balivo in elegante abito lungo la sua assistente o la compagna del cuore. Se ne stanno entrambi con benda agli occhi che poi tolgono su una scaletta nera a rotelle a parlare, parodiare, sfottere e ironizzare sulla vita o su ogni cosa li coinvolga. A vestire i panni del mostro è lo stesso Dammacco, con maschera pulcinellesca, che se la gode e se la ride non spaventando per niente quella coppia che rotea al ritmo di tango lungo tutto il palcoscenico del Teatro Vittoria, sul cui bordo del proscenio stazionano una dozzina di flûtes di cristallo, due dei quali ad un tratto utilizzati per bere dello champagne, giocando infine a spuzzarselo vicendevolmente con la bocca, indossando in chiusura quelle bende agli occhi perché non c’è più nulla da vedere.

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Confessioni di sei personaggi di Michelangelo Bellani e Caroline Baglioni

Confessioni di sei personaggi di Michelangelo Bellani e Caroline Baglioni, quest’ultima pure in scena al Sybaris con Stella Piccioni, è un lavoro ispirato ai Sei personaggi di Pirandello dove sono scomparsi del tutto il capocomico e la compagnia degli attori, interessandosi le due protagoniste a sondare scavare e penetrare soltanto l’anima dei sei personaggi, servendosi per 80 minuti di una telecamera che proietta i loro volti e i loro corpi in tempo reale su uno schermo. Certamente l’effetto è straniante, avvolto quasi da una nube purpurea che cerca di annebbiare alcune parti del plot e fare il blow up sul rapporto padre-figliastra, esaltando le didascalie del testo pirandelliano per raccontare il dramma familiare di quella famiglia. Che vede al centro un padre e una madre che hanno un figlio sempre accigliato che li sdegna e che quando la madre s’innamora del segretario del padre, questi accetta di buon grado (molto sportivo il tipo visto che si è nel 1921) che i due possano vivere la loro storia d’amore. La nuova coppia ha tre figli, il nuovo padre muore, il nucleo se la passa male, l’avvenente figliastra cade nelle grinfie d’una certa Madame Pace che nel suo atelier di moda ha creato una casa d’appuntamenti. Qui mentre il vecchio padre è in compagnia della figliastra, sopraggiunge la madre inorridita, lo è chiaramente pure la figliastra che lo accusa senza pietà e nonostante tutto quel padre accoglie tutti in casa sua. Segue la morte della bimba nella vasca del giardino, il colpo di pistola alla tempia del ragazzo e l’amara risata della figliastra che fugge via. Amen.

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Nitropolaroid della Compagnia Crack24. Foto Angelo Maggio

Riccardo Lai e Lorenzo De Iacono per conto della Compagnia Crack24 hanno messo in scena al Teatro Vittoria Nitropolaroid uno spettacolo autobiografico dal sapore antropologico che racconta le vicende di Sebastiano vestito dallo stesso Lai, che partito da Villacidro, paese delle streghe in Sardegna, si reca nel Continente per fare l’attore. Qui tra tante difficoltà riesce ad avere qualche successo anche se la Sardegna gli rimane cucita sulla sua pelle, affiorando padre e madre che si esprimono in sardo (Elia Tapognani e Agnese Mercati), la madonna nera di Sonia Burgarello, pure nei panni dello zio Brujo can parrucca bianca. Rimane impresso quel quadretto delle tre donne avvolte da scialli neri quasi sbucate fuori da La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca e la scena finale di Sebastiano in croce e una donna che lo lava avvolgendogli viso e testa con delle bende bianche.

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I Macbeth di Francesco Niccolini. Foto Angelo Maggio

I Macbeth inventati da Shakespeare sono dei serial killer cui piace imbrattarsi di sangue, dei pazzi criminali come quelli riproposti realisticamente, tipo saga, da Francesco Niccolini che stazionano in una sala docce d’un manicomio, interpretati in modo impeccabile da un quartetto di attori siciliani che vivono fuori dall’isola che rispondono ai nomi di Enzo Vetrano e Stefano Randisi palermitani e di Raffaella D’Avella e Giovanni Moschella messinesi, cui s’aggiunge Mela Dell’Erba anche lei di Palermo che ha curato scene e costumi al Teatro Sybaris. Certamente i fatti che i quattro raccontano sono riconducibili a comuni storie di ordinaria follia che riempiono le pagine di cronaca nera. A differenza però della coppia più sanguinolenta della storia teatrale, dedita solo alla ricerca del potere e su come diventare re e regina di Scozia, I Macbeth di Niccolini non ci stanno con la testa, soddisfano solo i loro neuroni schizzati, non hanno obiettivi da raggiungere, seguono solo la loro mala luna per fare-male-in-nome-del-male e ognuno di loro vive nel proprio sito come se gli altri accanto non esistessero. Randisi ascolta una radiolina, Moschella ha reminiscenze dei suoi delitti, Vetrano dice che tutto è niente e nel contempo indossa i panni di Macbeth con corona in testa avendo accanto la Lady della D’Avella, anch’essa agghindata da regina cui le toccherà recitare uno dei passi più illuminanti del Teatro di Shakespeare: «spengiti, spengiti breve candela! La vita non è che un'ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla».
In una bottega restaurata del corso principale di Castrovillari, Giancarlo Cauteruccio, s’è inventato un piccolo spazio teatrale appellandolo La Divina Calabria, titolo pure d’uno spettacolo condensato in 18 minuti quale primo studio sulle tre cantiche della Divina Commedia di Dante. Cauteruccio ha un background di tutto rispetto e adesso che ha fatto ritorno nella sua Calabria rispolvera antichi fasti beckettiani, ponendosi su una sedia rotelle come un qualunque Hamm di Finale di partita, deformando e amplificando con un microfono versi divini, avendo accanto dietro i leggii la voce di Laura Marchianò, il canto di Anna Giusi Lufrano, i movimenti ginnici di Massimo Bevilacqua, situati tutti in una stanza bianca col pavimento pieno zeppo di lucette bianche, giusto per riveder le stelle che brilleranno ancor di più nella prossima edizione di Primavera dei Teatri.
Sergio Pierattini ha scritto un testo che sembra essere una storia vera titolata Pietra d’inciampo, ripresa dall’opera Pietre d’inciampo dell’artista berlinese Gunter Demnig, ambientata ai giorni nostri in una città toscana dove Paolo, interpretato dallo stesso Pierattini, è un attore di Teatro che lavora poco e che non se la passa bene, mentre il fratello che si chiama Daniele è un ingegnere prossimo alla pensione vestito da Luca Biagini Sono convinti, più il secondo che il primo, a vendere la casa dove abita Paolo, lasciata in eredità dal nonno per poter vivere più agiatamente. Dopo la stima d’un agente immobiliare, l’elegante Emanuele Carucci Viterbi, pare che la vendita possa andare a buon fine. Succede però che gli acquirenti all’ultimo momento diano forfait perché l’appartamento è cupo ma soprattutto perché dinnanzi allo stabile stazionano delle piccole lapidi dorate, 10x10x10cm, come se ne possono vedere in tante città europee e pure italiane, con i nomi e le date di coloro che furono deportati e uccisi nei campi di sterminio nazisti. Lo spettacolo al Teatro Vittoria si svolge all’interno d’un ampio salotto con poltrone e divani diviso al centro da una sorta di cucina-tinello (la scena e i costumi sono di Maria Toesca, mentre la regia con buoni ritmi è di Riccardo Diana) e intriga gli spettatori sino alla fine, quando i due fratelli, entrambi bravi e verosimili nei loro ruoli, troveranno un nuovo acquirente, lasciando poco convinto Paolo che per bocca di Daniele saprà che in quella casa abitava una famiglia di ebrei e che il nonno se n’è potuto impossessare dopo averli denunziati al comando nazista. Una delazione che Paolo non digerisce e che conclude la sua vita sparandosi un colpo di pistola alle tempie.
Una storia al contrario di Francesca De Sanctis, diretta e interpretata da Elena Arvigo, conclude il mio girovagare per Teatri a Castrovillari. Trattasi della storia privata dell’autrice, giornalista dell’Unità sino alla sua chiusura nel 2017 dopo quasi 100 anni di vita, intrecciata a tutto ciò che ha attraversato la sua esistenza: la famiglia, le lotte studentesche, la laurea al Dams di Roma e poi l’impiego al giornale fondato da Gramsci, gli articoli e le interviste a personaggi importanti della politica. La Arvigo parte piano, poi entra meglio nel ruolo, vede i fatti con gli occhi di ragazza di Gianni Morandi, e finisce in un crescendo che entusiasma il pubblico del Sybaris.

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Glorius4 in A 1000all’ora-live. Foto Angelo Maggio

Nottetempo si sono esibite al Castello Aragonese le quattro terribili e talentuose ragazze messinesi dell’ensemble canoro Glorius4 (Federica D’Andrea, Cecilia Foti, Agnese Carrubba, Mariachiara Millimaggi) in uno spettacolo titolato A 1000all’ora-live, spaziando dal jazz al pop ed esaltando il loro modo d’essere siciliane con personalissimi arrangiamenti.
C’è ancora da dire che durante il Festival sono stati presentati i seguenti libri: La performance controversa - Tra vocazione rituale e vocazione teatrale di Dario Tomasello e Piermario Vescovo; Bob Wilson in Italia ad opera di chi scrive; Focus scena Verticale: 30 anni di Teatro di Saverio La Ruina, tutti e tre editi dalla CuePress. Infine Leonardo Mello ha curato e presentato la Summa critica. Il Teatro di Maria Gregori edito dalla Ubulibri, e Rodolfo Di Giammarco ha letto alcuni articoli divertenti del libro di Renato Palazzi, Esotici, Erotici, Psicotici – Il peggio degli anni settanta in 120 film edito dalla CuePress.

Ultima modifica il Domenica, 09 Ottobre 2022 18:31

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