Un rappresentante di articoli religiosi, non si capisce se dalla galera, dall'aldilà o da un manicomio, con in mano una statua di gesso della Madonna saldata in vari punti, racconta solipsisticamente perché si trovi in quella condizione. Inizia così Un uomo a metà, un testo minuzioso nei particolari, scritto da Giampaolo G. Rugo, interpretato magnificamente da Gianluca Cesale e diretto in modo eccellente da Roberto Bonaventura, che dopo il successo riscosso con Mamma di Annibale Ruccello con lo stesso attore originario di Salerno, si pone fra i registi giovani più promettenti in campo nazionale. Dopo il debutto al Castel Sant'Elmo nella sala del Fringe Napoli Festival, lo spettacolo è andato in scena nella Sala Laudamo di Messina e certamente verrà riproposto in altre città italiane. Il personaggio del monologo si chiama Giuseppe, zoppica per aver subito un colpo al ginocchio durante una partita di pallone e soffre della stessa malattia del Bell'Antonio di Brancati. Ovvero quella di non riuscire ad avere rapporti sessuali, in particolare con la ricca fidanzata Maria che crede d'amare ricambiato, perché ogni qual volta è lì pronto per fare l'amore gli appare la statua del sacro cuore di Maria a braccia larghe e mani aperte come se volesse abbracciarlo. Un'immagine devastante per il poverino tale da farlo sentire impotente, un uomo a metà tout court. Una sera, durante l'addio al celibato in un locale con donne nude pieno di fumo di alcol, succede il miracolo. Giuseppe nudo sul piccolo palcoscenico riesce davanti a tutti gli amici calciatori ad avere un rapporto sessuale con una pornostar thailandese, soddisfacente quanto liberatorio, al punto da ritornare nottetempo nello stesso luogo e passare una notte d'amore nell'appartamentino della donna asiatica. Il problema si ripresenterà anche dopo che Giuseppe e Maria si saranno sposati e qui è molto bravo Cesale a raccontare inzuppato di acqua alcuni particolari della cerimonia nuziale e del ricevimento, e dopo un ennesimo tentativo andato a vuoto con la moglie, pure in cinta del cugino, eccolo prendere fra le mani quella madonnina di gesso bianco, spaccargliela in testa e certamente mandandola all'altro mondo. Amen.
Il punto triplo ad opera di Pierluigi Tedeschi e Cinzia Pietribasi pure regista, è un lavoro infarcito di chimica, fisica e matematica in cui tre personaggi, Tommaso Monza, Davide Tagliavini e lo stesso Tedeschi, spesso in tuta bianca, come degli scienziati che hanno a che fare con materiali radioattivi, si muovono sulla scena del ridotto del Mercadante come degli automi, aldilà d'un velatino che proietta immagini di ascisse e ordinate e di formule incomprensibili ai più. Una colonna musicale di stampo elettronico fa da supporto ad una voce fuori campo che cerca di spiegare che il punto triplo non esiste, è solo sfuggente e precario e i tre personaggi in scena, quasi due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, cercano di formare la molecola dell'acqua. Che può subire dei cambiamenti passando dallo stato solido a quello liquido a quello gassoso, soltanto attraverso un processo d'idratazione o disidratazione. Un pensiero scientifico che nella sua accezione umanistica possa identificarsi con la giovinezza e con la vecchiaia. Spettacolo noioso e privo d'interesse.-