Musiche di Georges Bizet, Manuel de Falla, Isaac Albéniz, Mario Castelnuovo-Tedesco, Gabriele Bonolis
Elaborazioni e orchestrazioni Gabriele Bonolis
Balletto in due atti da Prosper Mérimée
Direttore Louis Lohraseb
Coreografia Jiří Bubeníček
Scene e Luci Gianni Carluccio
Costumi Anna Biagiotti
Carmen Rebecca Bianchi / Susanna Salvi
Don José Amar Ramasar / Giacomo Castellana
Picador Alessio Rezza / Michele Satriano
Orchestra, Étoile, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma
Prima rappresentazione assoluta
Nuovo allestimento
Teatro dell'Opera di Roma dal 2 al 10 febbraio 2019
Come Don Giovanni, Carmen è un'immagine primordiale, un archetipo. Come è nata? Per quali ragioni s'è trasformata nel modo in cui la conosciamo? Essa appartiene a quel novero di personaggi che nelle mani di un autore tramutano a dispetto dei tratti loro impressi. Una magia. Un incanto che affascina. Non esiste persona al mondo che non abbia fatto esperienza di questo personaggio, o tramite l'opera di Bizet o leggendo Mérimée.
Jiří Bubeníček, ballerino e coreografo apprezzato in tutto il mondo, ha voluto sottrarre Carmen al mito. Lo ha fatto con un allestimento nuovo, in scena in questi giorni all'Opera di Roma. Vi sono le note immancabili di Bizet, ma anche quelle di Manuel de Falla, Albéniz, Castelnuovo-Tedesco e Gabriele Bonolis (che, per l'occasione, ha curato anche l'orchestrazione delle musiche).
Chi è la Carmen di Bubeníček? Una donna indipendente, libera, che risponde solo a se stessa. Attorno vi è la società – con le sue convinzioni, le sue consuetudini e le sue leggi – a farle da controcanto. È l'opera di Mérimée il costante faro di Bubeníček. Lo rammenta la presenza dello scrittore in scena che, carta e penna alla mano, prende nota delle vicende che gli vengono raccontate e si svolgono sotto i suoi occhi.
L'esatto opposto di Carmen è Don José, colui che è nato per essere schiavo. Poco importa se di una passione o di un ruolo. Egli non è mai libero. Le varie vicende che lo condurranno al suicidio dopo il secco rifiuto di Carmen – che egli ama – nel voler condividere la vita insieme con lui, non sono che il frutto di un'assenza di libertà. È per questa stessa mancanza che José uccide Carmen. Non è solo gelosia. È soprattutto per non riuscire a sopportare ciò che lui non potrà mai essere, di non riuscire a cambiare se stesso e di non rendere gli altri simili a lui.
Rebecca Bianchi (Carmen) è agile, flessuosa, istrionica, passionale. Le sue movenze – come quelle di Amar Ramasar (Don José) non prevedono allungamenti. Sono, al contrario, molto raccolte. Comunicano intimità, sentimenti tenuti segreti o mai espressi del tutto. Nessuno danza sulle punte, se non in poche occasioni. Ciò perché non v'è personaggio in grado di poter esprimere un vero senso di liberazione così spiccando – idealmente – il volo. Carmen stessa, nella sua disinvoltura, è schiava del ruolo interpretato per tutta una vita.
Questo continuo stare a terra con i piedi, con coreografie che prevedono prese vigorose ma delicate, restituiscono una vitalità tipicamente spagnola: schietta e priva di affettazioni.
Le musiche sono risultate poco convincenti. Nonostante l'impegno di Bonolis nel rendere unitario un pot-pourri di autori e stili armonici diversi gli uni dagli altri, ne è emerso un accompagnamento che, a tratti, non ha sottolineato i momenti di maggior pathos espressi dalle coreografie.
Certamente questa nuova versione di Carmen farà parlare di sé. Chissà, però, se farebbe esclamare a Nietzsche. "Come rende perfetti tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un capolavoro".
Pierluigi Pietricola