codiretto e interpretato da Juliette Binoche e Akram Khan
scene: Anish Kapoor
luci: Michael Hulls
drammaturgia: Guy Cools
Romaeuropa Festival 2008
Roma, Teatro Olimpico, dal 5 al 8 novembre 2008 (prima nazionale)
e del suo maestro Akram Khan
E', fondamentalmente, una storia d'amore. In-I - in scena all'Olimpico fino a domani per il Festival Romaeuropa e l'Accademia Filarmonica - tratteggia l'incontro fra due esseri fin lì sconosciuti l'uno all'altro e improvvisamente legati da una nuova intimità. Difficile e conflittuale, come capita nelle storie d'amore. Una storia disegnata, agita e colorata con accenti di verità da due artisti - Juliette Binoche e Akram Khan - capaci di mettersi in gioco fino in fondo. E assecondata con geniale semplicità da Anish Kapoor, artista visivo autore della scenografia, che con pochi segni di linea e di colore traduce il senso di ciò che accade in scena con accenti di un'essenzialità da lasciare senza fiato
Non era una scommessa facile. Lasciava perplessi l'idea che un'attrice premio Oscar come la Binoche, si fosse messa in testa di danzare, non avendolo mai fatto prima. E le precedenti prove di Akram - con Sidi Larbi Cherkaoui e Sylvie Guillem - avevano convinto solo fino a un certo punto. Questa terza tappa alla ricerca della partnership ideale appariva un po' come la prova del fuoco per lui: vero talento o abile manipolatore di formule di successo?
L'artista britannico ha superato brillantemente il test offrendoci una composizione variegata e salda, una solida cornice densa di contenuti dal punto di vista coreografico nonché - con il contributo fondamentale della Binoche - intensamente carica di connessioni, innesti e fusioni, decisamente riusciti, con le altre forme di linguaggio - la parola recitata e cantata, l'arte visiva - che concorrono a creare l'insieme della partitura.
La Binoche, dal canto suo, si è dimostrata esemplare discepolo per il suo maestro. Non è una ballerina, né poteva diventarlo. Eppure danza splendidamente. Danza come un essere umano che abbia trovato dentro di sé l'eterno io danzante - quello che nella tradizione indiana, attraverso Shiva, ha generato il mondo.
Totalmente libera da uno stile - per non averne mai praticato uno - ha assorbito quello del maestro, che nel confronto con la tabula rasa rappresentata dall'allieva ha potuto finalmente liberarsi, a sua volta, dello stile preciso che lo aveva fin qui sostenuto, come interprete ma anche, in buona misura, limitato, come autore, entro confini che sembravano insuperabili.
Una storia d'amore a lieto fine.
Donatella Bertozzi