La Valse
Coreografie di Stefania Ballone, Matteo Gavazzi, Marco Messina. Musica di Maurice Ravel
Costumi di Irene Monti. Luci di Valerio Tiberi. Nuova Produzione Teatro alla Scala
Symphony in C
Coreografia di George Balanchine ripresa da Colleen Neary. Musica di Georges Bizet.
Costumi di Karinska. Luci di Andrea Giretti. Produzione Teatro alla Scala.
Shéhérazade
Coreografia di Eugenio Scigliano. Musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov.
Scene e luci di Carlo Cerri. Costumi di Kristopher Millar e Lois Swandale. Nuova Produzione Teatro alla Scala.
Con: Roberto Bolle, Nicoletta Manni, Timofej Andrijashenko, Martina Arduino, Claudio Coviello, Virna Toppi, Vittoria Valerio, Marco Agostino e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri.
Orchestra del Teatro alla Scala. Direttore: Paavo Järvi.
MILANO, Teatro alla Scala, dal 19 aprile al 13 maggio 2017
La creatività coreutica scaligera e la pura espressività balanchiniana
Il terzo titolo della stagione di balletto del Teatro alla Scala offre l'opportunità di aprire nuove pagine nel molteplice corso storico della creatività coreutica. Ampio spazio è concesso, infatti, alla compagine artistica del teatro milanese che, con i danzatori Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina, palesa lo stimolante tentativo di donare al pubblico scaligero una nuova veste coreografica alla Valse di Maurice Ravel. Un brano che, com'è noto, negli intenti omaggia Johann Strauss ma che nel contempo tratteggia, in controluce, l'apertura ad un pensiero sull'uomo dopo i nefasti eventi del primo conflitto mondiale, epoca di composizione della pièce musicale. Reminiscenza tematica, questa, che non si può eludere e che trova terreno d'espressione in quei frammenti di dissonante dialettica capaci di fornire l'intelaiatura del linguaggio musicale scelto per questo "poema coreografico". Un impegno considerevole nei due poli della tragicità esistenziale - sebbene non espressamente manifestata da Ravel - e della relativa scrittura musicale cui si aggiunge il riferimento coreutico pennellato dal compositore mediante l'appropriato ricorso ai tratti parossistici di una danza che diviene scissione dinamica. Sotto questo profilo si ritrovano i medesimi rilievi nella coreografia di Ballone, Gavazzi e Messina: creazione che ripercorre la multivocità della composizione, dal preludio affidato a sezioni coreografiche in divergenza al vigore guadagnato in successione e che attinge al contemporaneo ma non dimentico del retroterra classico tipico della compagnia. In questa peculiare struttura coreografica si inscrive l'ambientazione storica che vide nascere il brano e qui rispolverata da Irene Monti di concerto con l'efficace gioco di luci di Valerio Tiberi. "La sensazione d'un turbinio fantastico e fatale" che Ravel figurava nella propria mente rivive, quindi, sul palco scaligero grazie ai dodici ballerini coinvolti nelle imperanti e multiformi modulazioni coreografiche.
Alla pura creatività scaligera segue il ritorno al Piermarini, dopo trent'anni dall'ultima ripresa, di Symphony in C: breve balletto firmato da George Balanchine nel 1947 con il titolo Le Palais de cristal e presentato per la prima volta alla Scala nel 1955. Basata sulla giovanile Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet l'opera di Balanchine, com'è noto, non palesa alcun intento narrativo ma è omaggio alla pura espressività tersicorea.
Nei quattro movimenti di cui si compone la sinfonia le ossature coreografiche, com'è noto, sono affidate a quattro diverse coppie di danzatori attorniati dal corpo di ballo. Nel cast della prima Martina Arduino e Timofej Andrijashenko consegnano con risolutezza le plastiche e definite linee dell'Allegro vivo, eloquente e nitido l'Adagio di Nicoletta Manni e dell'étoile Roberto Bolle, partnership consolidata abile nel disegnare quell'autorevole purezza classica riletta nel linguaggio balanchiniano. L'Allegro vivace con Virna Toppi e Claudio Coviello recupera vivacemente il tratto specifico che lo caratterizza: un movimento da Quirino Principe definito, in assonanza con Nietzsche, "dal tono agreste e dall'energia danzante davvero mediterranea". La frenesia conclusiva dell'ultimo movimento si rinnova efficacemente con Vittoria Valerio e Marco Agostino. La chiusa diviene luogo specifico dei virtuosismi delle coppie e dell'intero organico impegnato ad intessere la trama di un balletto ascrivibile nello "stile concertante" del genio russo-americano.
L'epilogo della serata recupera un titolo che alla Scala visse stringatissimi movimenti nel tempo e, per di più, segnati da tormentati albori. Shéhérazade torna per la prima volta nella nuova veste coreografica firmata da Eugenio Scigliano. Una rilettura, questa, che guadagna spazio nel recupero dei quattro movimenti del poema sinfonico di Rimskij-Korsakov e delle sfumature orientali che segnarono il balletto di Michail Fokin. Permangono, in questa prima scaligera, i personaggi riletti nello sconcertante e dilagante baratro esistenziale del femminicidio. Violenze, sopraffazioni e crudezza empirica definiscono la struttura coreografica tesa a trovare estensione nell'essenzialità e in quei momenti di stasi che aprono squarci di riflessione e ripensamento dell'umana condizione. Un rilievo, questo, mostrato con evidenza in quel lungo passo a due di Zobeide e dello Schiavo d'oro qui consegnato nei seducenti giochi coreutici di Virna Toppi e nei voluttuosi gesti di Nicola Del Freo come pure nella metallica ombra di Shéhérazade affidata a Beatrice Carbone. Da segnalare la possanza di Gioacchino Starace e Marco Agostino nei ruoli di Shariar e Zahman.
La creatività coreografica applicata all'opera del compositore russo giova in questa sede di una prospettiva tematica definita che si avvale, inoltre, dei costumi di Kristopher Millar e Lois Swandale, delle scene e luci di Carlo Cerri.
Sul podio, in debutto in un balletto alla Scala, Paavo Järvi impegnato destramente a gestire un proficuo movimento dialettico fra molteplici venature musicali e coreografiche nel raffinato intento di consegnare i poliedrici domini dell'umana creatività.
Vito Lentini