diretto e coreografato da Daniel Ezralow
scritto da Daniel Ezralow e Arabella Holzbog
Costumi: American Apparel
Regia: Daniel Ezralow
Produzione: Bags Entertainment
Interpreti: Chelsey Arce, Dalila Frassanito, Santo Giuliano, Stephen Hernandez, Kelsey Landers, Re'Sean Pates, Marlon Pelayo, Anthea Young
Teatro degli Arcimboldi, Milano dal 18 al 20 gennaio 2013
C'è voglia di conferme e leggerezza, c'è voglia di 'tradizione' e disimpegno al tempo stesso, c'è voglia di ritrovarsi per un'ora e mezza a guardare un gruppo di danzatori che colorano di fantasia e di déjà vu lo spazio scenico con video e videoclip e qualche concessione alla sensibilità ecologista. Open di Daniel Ezralow è il nostalgico centone di quella danza visiva e ottimista che ebbe alla fine degli anni Ottanta i suoi capofila nei Momix e negli Iso – non è un caso che in entrambi i gruppi abbia militato Daniel Ezralow -, per quanto riguarda la danza visuale, e in Alan Parsons Dance per una coreografia di tipo atletico/contemporanea. Tutto ciò confluisce in Open di Daniel Ezralow uno show multicolore che strizza l'occhio allo spettatore, frequenta un linguaggio coreografico neoclassico, senza per questo rinunciare ad una modern dance che alla fine esce prepotente nei saluti finali e nelle prove solistiche dei singoli Chelsey Arce, Dalila Frassanito, Santo Giuliano, Stephen Hernandez, Kelsey Landers, Re'Sean Pates, Marlon Pelayo, Anthea Young. I quadri si costruiscono su un'antologica di pezzi ipercelebri della tradizione classica dai Notturni di Chopin, al Romeo e Giulietta di Prokovief, da Ponchielli a Beethoven, ad una Carmen giocata con pupazzini e ballerino en travesti. La colonna sonora preclara che fa da sostegno a una serie di situazioni: dalla palestra, alla vita frenetica di una sorta di commesso viaggiatore, dalla sfida pugilistica di due promessi sposi, all'ecologica condanna dello spreco di energie e materie prime, in nome di un rispetto dell'ambiente. C'è di tutto in Open, ma soprattutto c'è la nostalgia di una vitalità che pare un po' raggelata nello stile anni Ottanta, che come dire è puro svago, senza poesia ed emozione. Si avverte in Open un gioco stanco, a tratti ripetitivo che non scatta, non emoziona e quando va bene fa apprezzare un pizzico di atletismo dei danzatori in scena. In realtà il pubblico risponde, vi si ritrova, è ululante nel seguire quei danzatori il cui corpo non fatica a metamoforsizzarsi nella proiezione video, perché la loro fisicità, la loro plasticità è alla fin fine bidimensionale, ologramma di sudore e corpo prestato ad un danzare dell'occhio che Daniel Ezralow ha costruito e affinato in favore di telecamera, gestendo le coreografie di grandi show dello sport universale. In tutto ciò l'occhio dello spettatore riposa e si accasa, in tutto ciò c'è l'anestetico di una bellezza colorata e che vuole stupire con effetti speciali che sanno del tempo che fu, che a tratti fanno tenerezza e non possono che essere premiati dal bisogno presente di sicurezza e conferme, sicurezza e conferme che si possono recuperare negli anni in cui eravamo spensierati, giovani e carini....
Nicola Arrigoni
Ezralow è, infatti, un nome di richiamo non solo nel circuito dei ballettomani, avendo lavorato anche per il teatro, il cinema, la musica, la moda, la pubblicità, la televisione e lo sport. Questa sua formazione poliedrica è ben evidente nella sua ultima realizzazione: Open è infatti composto da una serie di brevi quadri e fulminanti vignette con colpo di scena finale che spiazza lo spettatore. Ecco due gruppi di ballerini, i bianchi ed i neri, che si fronteggiano nella lotta tra Capuleti e Montecchi sulle note di Romeo e Giulietta di Prokofiev. Ecco che la Danza delle ore di Ponchielli è la colonna sonora della storia di una coppia di sposi che, invece di scambiarsi gli anelli, arriva a fronteggiarsi sul ring con accanimento crescente fino al millecinquecentesimo round. Ecco che, accompagnati da un valzer di Strauss, i ballerini si rincorrono sul palcoscenico con abiti sgargianti, ma totalmente spaiati nei colori e nei modelli. Per ricomporre un capo d'abbigliamento di un unico colore e di un foggia sensata, si scambiano vorticosamente gli indumenti, calzoncini, magliette, giacche, comparendo e scomparendo con perfetta sincronia dietro a dei pannelli mobili sui quali viene proiettata la loro immagine ripresa in un video.
Insomma, di tutto e di più in un'ora e mezza di spettacolo che, per la sua intensità, ha la densità di un'intera giornata, il tutto eseguito da un cast di otto formidabili danzatori e danzatrici che, in linea con l'impostazione del loro coreografo, vantano a loro volta esperienze varie e diversificate, spaziando dalla danza classica a quella moderna, dalla ginnastica alla street dance e lasciano l'audience senza fiato per quanto sono bravi, belli e infaticabili.
Myriam Mantegazza