Coreografie di Alexei Ratmansky. Assistente coreografo: Tatiana Ratmansky.
"Russian Seasons" – Musica di Leonid Desyatnikov. Costumi di Galina Solovyeva; Luci di Mark Stanley. Produzione del Teatro Bolshoi di Mosca.
"Concerto DSCH" – Musica di Dmitrij Šostakovič. Costumi di Holly Hynes; Luci di Mark Stanley. Produzione Teatro alla Scala.
"Opera" – Musica di Leonid Desyatnikov. Testi di Pietro Metastasio e Carlo Goldoni scelti da Carla Muschio. Costumi di Colleen Atwood; Luci di Mark Stanley; Video designer: Wendall Harrington. Nuova produzione Teatro alla Scala. Prima esecuzione assoluta. Commissione del Teatro alla Scala.
Con: Svetlana Zakharova, Andrei Merkuriev, Roberto Bolle, Massimo Murru e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala.
Orchestra del Teatro alla Scala. Direttore: Mikhail Tatarnikov.
MILANO, Teatro alla Scala, dal 17 dicembre 2013 al 16 gennaio 2014.
Astrazione e narrazione inaugurano la nuova stagione di balletto
Il primo titolo della nuova stagione di balletto del Teatro alla Scala è la realizzazione di un sogno per il direttore del Corpo di Ballo: una serata interamente dedicata ad uno dei più contesi coreografi attuali e già direttore artistico del Balletto del Bolshoi, Alexei Ratmansky. Una serata che avvicina tre creazioni del coreografo russo nell'obiettivo di dare origine ad un triplice spettacolo che richiede il massimo lavoro della compagnia rivelandosi, nel contempo, un'occasione preziosa per la comune crescita professionale.
Ad aprire la serata è Russian Seasons, balletto mai interpretato prima alla Scala e creato da Ratmansky nel 2006 per il New York City Ballet; compagnia, questa, che poté contare sulla cardinale presenza di un altro coreografo russo che affidò alle pagine della storia della danza creazioni di rilievo: l'indimenticato George Balanchine.
Oggi è Ratmansky a tracciare nuove espressività russe in quella dialogicità fra narrazione e astrazione che si delinea quale atto fondativo della sua creazione.
Il tessuto narrativo evocato in Russian Seasons è offerto dalla partitura di Leonid Desyatnikov; essa è intessuta dell'avvicendamento stagionale del calendario russo ortodosso. Sono sprazzi di vita, per l'appunto, quelli proposti dai canti che articolano la struttura del balletto.
In esso trovano spazio, nella lontananza dal mero descrittivismo didascalico, temi che impongono rilevanti discorsi antropologici: uno dei canti della stagione autunnale accenna, ad esempio, al proficuo ma lacerante dualismo corpo-anima con echi speculativi; il canto finale dell'inverno russo è, di converso, occasione per sfiorare rapide riflessioni sulla prossimità e lontananza che contraddistingue la relazione tra finitezza e realtà infinita.
È da evidenziare, tuttavia, che questi rilievi sono lievemente palesati; a riprova di ciò il compositore, in una lettera a Tat'jana Frumkis riportata nel programma di sala, sottolinea limpidamente che egli "non teorizza mai la propria musica, non arriva mai a pensare (verbalmente) in modo compiuto". Sotto questo rispetto la coreografia si allinea ai medesimi assetti.
A misurarsi con questi profili di spessore nelle sei coppie che strutturano il balletto sono alcuni artisti della compagnia scaligera che governano in vario modo il lavoro coreografico di Ratmansky e le umane esistenze in esso proposte. Una coppia d'eccezione è quella che nella prima rappresentazione ha visto impegnati Svetlana Zakharova e Andrei Merkuriev: nell'oscillazione fra allontanamento e recupero del filo narrativo concedono validi andamenti alla coreografia.
L'unica ripresa della serata riguardava, invece, Concerto DSCH: lavoro presentato in prima europea lo scorso anno alla Scala. Anch'esso realizzato per il New York City Ballet, questo balletto conferma la vicinanza di Ratmansky alla musica di Dmitrij Šostakovič. Il titolo del balletto avvalora questa prossimità dal momento che esso rimanda al Secondo Concerto per pianoforte e orchestra del compositore russo, mentre le quattro lettere seguenti richiamano in primo luogo il suo nome.
Di tempra musicale e coreografica molto diversa da quella di Russian Seasons, questo lavoro mostra il ridente volto russo di una piccola comunità che qui è abile ad assecondare la briosa struttura coreografica. Come già avvenuto lo scorso anno anche in questa ripresa colpiscono i brillanti ritmi di Antonino Sutera e Federico Fresi, valenti ballerini della compagnia scaligera. Nel soddisfacente gioco coreografico ritroviamo anche Svetlana Zakharova, questa volta affiancata da Carlo Di Lanno: nei centrali andamenti del balletto l'étoile ucraina svela quelle regali linee che le sono proprie e che i ballettomani scaligeri conoscono perfettamente.
Chiude il trittico la nuova creazione richiesta a Ratmansky dal Teatro alla Scala con musica appositamente scritta da Leonid Desyatnikov. Una commissione che è anche la prima creazione di Ratmansky per il Corpo di Ballo del teatro milanese.
Opera – questo il titolo del balletto – abbandona i tessuti narrativi lievemente palesati nei precedenti esiti coreografici della serata, sposando l'intento di omaggiare l'opera nel luogo che è eccellenza italiana del melodramma. Alcuni testi di Metastasio e Goldoni strutturano il libretto di questo balletto in un atto; testi che sotto diversi rispetti contribuiscono a rammentare archetipiche definizioni dell'opera.
Sebbene lo sguardo sia rivolto in primo luogo al barocco, è altresì vero che, in una ideale divaricazione cronologica, l'ampiezza drammaturgica consente di percepire nel contempo lievi affrancamenti da questo riferimento storico. L'ossatura coreografica palesa questa osservazione dal momento che essa concede spazio a molteplici variazioni di linguaggio.
Se le immagini di Wendall Harrington incorniciano la creazione raccogliendo la complessità di una nuova frontiera scenica della danza, i costumi di Colleen Atwood abbracciano l'idea di riproporre l'elaborata ricchezza barocca che si manifesta principalmente nella duplice scelta cromatica delle due coppie principali. Le impegnative coreografie pensate per loro erano qui affidate a quattro artisti diplomatisi tutti nel 1994 alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala: Beatrice Carbone e Roberto Bolle, Emanuela Montanari e Mick Zeni; con pari estrinsecazioni essi dispiegano destramente i toni virtuosistici della coreografia.
Lavori di grande impegno che nella diversità offrono un incontro fecondo con nuove modulazioni coreografiche. In questa triplice serata riceviamo, dunque, gli sguardi di un artista capace di originare poliedriche e cosmopolite creazioni che richiamano velati discorsi antropologici.
Vito Lentini