Ozu Yasujiro SCRITTI SUL CINEMA A cura di Franco Picollo e Hiromi Yagi Donzelli Editore, Roma, € 28.00, pp. 246 (CINEMA - Alberto Pesce)
Di Ozu Yasujiro (1903-1963), il più giapponese dei registi giapponesi, e della sua cine-poesia di una grazia colta e civile, ci restano suoi film, fascinosi quelli dell'ultima stagione, con picco in quel Viaggio a Tokyo (1953), per la rivista "Sight & Sound" il più bel film della storia del cinema, forse quello più amato tanto che Wim Wenders nel 1985 gli rese omaggio con il proprio struggente "Tokyo-Ga". Ora della umanissima sensibilità di Ozu regista, dai tempi del muto di un senso estetico via via raffinatosi, ci viene conferma anche dai suoi "scritti". Sin dagli anni 80, Tanaka Masasumi li aveva raccolti e poi pubblicati in più volumi, da cui, lasciando alla prefazione di Dario Tomasi un inquadramento della "ricerca espressiva" di Ozu, Franco Picollo e Hiromi Yagi ora accortamente scandiscono funzionalità di discorso con un accostamento tematico degli scritti. Magari coscienza registica si insinua di striscio in quell'ampio epistolario dal fronte durante il conflitto con la Cina (1937-39). Ma possono poi essere "Chiacchiere sul mio mestiere" o "Qualche parola sui miei film" o "Un'arte ricca di varietà", ed ecco Ozu, discreto e conversevole ma orgogliosamente determinato, non importa se ripetitivo, fissare proprie esperienze al di fuori di ogni coercitiva convenzione di "grammatica". Ne fanno inimitabile stile di rastremata sottrazione, con preferenza di interni magari in campo lungo, cinepresa bassa ad altezza dei materassini" giapponesi, "composizione" dell'inquadratura a sguardo "fisso" con impercettibili varianti, a stacco senza controcampi, dissolvenze, carrellate, con un frequente gioco di ellissi, quasi per provocare facoltà percettive dello spettatore su stati d'animo colti nella loro dimessa, quasi crepuscolare, quotidianità tra rovelli di famiglia, per un verso o l'altro speculari di esterne stagioni d'agonia.
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