Musica di Christoph Willibald Gluck
Tragédie Opéra in tre atti
Libretto di Marius-François-Louis Gand Lebland, Bailli du Roullet
da Ranieri de’ Calzabigi (versione parigina 1776)
Tratto dall’Alcesti di Euripide
DIRETTORE Gianluca Capuano
REGIA E COREOGRAFIA Sidi Larbi Cherkaoui
MAESTRO DEL CORO ROBERTO GABBIANI
ASSISTENTE ALLA REGIA ACACIA SCHACHTE
REGISTA ASSISTENTE GIULIA GIAMMONA
ASSISTENTE DIRETTORE D’ORCHESTRA BENEDIKT SAUER
SCENE HENRIK AHR
COSTUMI JAN-JAN VAN ESSCHE
LUCI MICHAEL BAUER
DRAMMATURGIA BENEDIKT STAMPFLI
Principali interpreti
ALCESTE MARINA VIOTTI
ADMÈTE JUAN FRANCISCO GATELL
EVANDRE PATRIK REITER
LE GRAND PRÊTRE / HERCULE LUCA TITTOTO
APOLLON / UN HÉRAULT D’ARMES PIETRO DI BIANCO
UN DIEU INFERNAL / L’ORACLE ROBERTO LORENZI
CORYPHÉES CAROLINA VARELA, ANGELA NICOLI, MICHAEL ALFONSI, LEO PAUL CHIAROT
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
EASTMAN, ANVERSA
con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma da una produzione Bayerische Staatsoper
In lingua francese
con sovratitoli in italiano e inglese
Stagione 2021/2022 Roma – Teatro dell’Opera 9 ottobre 2022
“Altezza reale! Quando presi a far la musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi, che introdotti o dalla mal intesa vanità de’ Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano la Opera Italiana, e del più pomposo, e più bello di tutti gli spettacoli, ne fanno il più ridicolo, e il più noioso. Pensai di restringer la Musica al suo vero ufficio di servire alla Poesia per l’espressione, … senza interromper l’Azione, o raffreddarla con degl’inutili superflui ornamenti”. Così Gluck nel suo Manifesto del 1769.
Nel vedere l’edizione in scena all’Opera di Roma di questo lavoro sublime, si può dire che la regia di Sidi Larbi Cherkaoui non abbia tenuto gran conto delle parole del compositore.
La scena: una serie di pannelli semoventi, è essenziale, intonata sul bianco, con giochi di luci ed ombre che stanno a sottolineare gli ambienti che cambiano. In questo contesto diafano, si svolge la vicenda di Alcesti e Admeto, dell’amore che va oltre la morte ed oltre un giuramento fatto ad Apollo. Ma il tutto è condito da una serie di coreografie che vorrebbero arricchire l’interpretazione dei vari personaggi da parte dei cantanti. E qui sta, a nostro avviso, il tradimento di Gluck. Ma più che dell’autore, dei suoi intenti estetici.
Perché contaminare due generi che, insieme, non possono coesistere: l’opera col balletto moderno? Gli esperimenti vanno benissimo, ma è necessario capire laddove si rischia di andare oltre un certo limite di lettura da parte del regista. Che potrebbe accadere se nel finale della Bohème assistessimo a un passo a due, magari ben danzato? Verremmo certamente distratti dall’azione principale: la morte di Mimì.
In questa Alceste è accaduto che i movimenti coreografici d’invenzione dello stesso Cherkaoui abbiano assopito l’eventuale carica interpretativa dei personaggi. Al di là dell’aspetto tecnico, Marina Viotti nei panni della protagonista non ha dato il meglio di sé in termini di personalità, passionalità, determinazione e capacità di decisione. E sì che Alceste è un personaggio dal carattere forte, sicuro di sé.
L’Admète di Juan Francisco Gatell è stato poco incisivo tanto sul piano vocale che su quello interpretativo. Anche quando si arrabbia con sua moglie dopo aver scoperto che sarà lei a sacrificarsi affinché egli viva, non ha sottolineato questi momenti in modo da essere credibile. È un po’ come se fosse passato sopra il suo personaggio, le cui sfumature dell’anima hanno lasciato l’interprete del tutto indifferente.
La direzione di Gianluca Capuano è stata buona. Egli ha tenuto conto dei principi voluti da Gluck ma senza subirne la supremazia estetica. Ne è emersa una musicalità essenziale, lineare, ben temperata, che metteva i cantanti nella condizione di poter diventare tutt’uno con la musica, senza che gli uni prevalessero sull’altra e viceversa.
Un’Alceste discreta, infine, sebbene non eccezionale e non propriamente affine a quanto Gluck intese nel suo celeberrimo Manifesto.
Pierluigi Pietricola