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CENERENTOLA (LA) - regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

"La Cenerentola", regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi. Foto Giacomo Orlando "La Cenerentola", regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi. Foto Giacomo Orlando

Dramma giocoso in due atti di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini
Prima rappresentazione 25 gennaio 1817 Teatro Valle, Roma
Interpreti:

Don Ramiro David Alegret

Dandini Vincenzo Taormina

Don Magnifico Luca Dall’Amico

Clorinda  Manuela Cocuccio
Tisbe  Sonia Fortunato

Angelina (Cenerentola) Laura Polverelli 

Alidoro Marco Bussi
Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini
Direttore José Miguel Pérez-Sierra

Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

Maestro del coro Luigi Petrozziello

Maestro al cembalo Gaetano Costa
Video Patrick Gallenti
Costumi Giovanna Giorgianni
Luci Antonio Alario
Nuovo allestimento scenico
Catania, Teatro Bellini dal 11 al 18 dicembre 2019

www.Sipario.it, 3 gennaio 2020

“Non terminerà il carnevale senza che tutti se ne innamorino”, così Gioacchino Rossini tranquillizzò il librettista Jacopo Ferretti dopo la prima esecuzione - piuttosto burrascosa - de  La Cenerentola al Teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1781. Si dovette attendere la quinta replica perché venisse proclamato il successo e da allora,  in breve tempo, raggiunse quasi la popolarità del Barbiere di Siviglia.
Ferretti per la scrittura di questo libretto si basa sulla celebre novella Cendrillon di Charles Perrault del 1697 - già depurata dalle scene cruente della Zezolla di tradizione napoletana pubblicata nel Cuntu di li cunti di Giambattista Basile nel 1634 - e su due libretti d’opera: Cendrillon di Charles Guillaume Etienne per il compositore Nicolò Isouard  e Agatina o la virtù premiata di Stefano Pavesi per Francesco Fiorini. Il romano Jacopo Ferretti, in accordo con Rossini, decide di esaltare la virtù del perdono e il dono divino della bontà e fa si che il motore degli eventi non sia la magia ma la naturale alchimia dell'amore. La risoluzione dell’intricata vicenda – che si dirama tra travestimenti, scambi di persona, giochi di parole e onomatopee – è dovuta all’astuzia e non ad un incantesimo o a un deus ex machina. Un dramma giocoso tutto italiano composto da un Gioacchino Rossini ancora giovane d’età ma già consapevole dei propri mezzi come un  compositore maturo.
In questa produzione del Teatro Massimo Bellini durante l’Ouverture è stato inevitabile volgere l’attenzione ad un curioso lampeggiare delle luci in sala ed avvertire, al contempo, un senso di stupore nel pubblico che di certo ha temuto che ci fosse qualcosa di anomalo come un falso contatto, per poi notare, poco dopo, che il falso contatto andava perfettamente a tempo di musica e si trattava di una precisa scelta registica per predisporre gli animi degli astanti al senso di ironia di cui le opere di Rossini sono l’emblema. In scena nessun addobbo, le poltrone (mi dicono) sono quelle del foyer del Teatro, l’ambientazione è proiettata sul fondale con immagini in continuo movimento rendendo l’azione continua e animata come al cinema. Special guest la città di Catania, ove in questo caso si svolge l’azione;  le riprese sono state realizzate nelle strade e in alcune dimore storiche cittadine come Palazzo Biscari con i suoi eleganti saloni; piazza Duomo con la Cattedrale e u’Liotru, il celebre elefantino in pietra lavica simbolo della città; la fontana del fiume Amenano; la statua di Vincenzo Bellini di Piazza Stesicoro; la facciata della Chiesa di San Nicolò all’Arena; l’Etna; il pittoresco mercato della Pescheria; alcuni interni dello stesso Teatro Bellini e i panni stesi in una strada dell’antico quartiere della Civita. L’interazione tra scene teatrali e cinematografiche non disturba l’impianto classico della messa in scena operistica. Nel sestetto “Questo è un nodo avviluppato”, uno dei momenti più attesi dell’opera, mentre i cantanti sono in scena sullo schermo passano in rassegna i loro volti con comiche espressioni dettate dai loro diversi stati d’animo. 
Una produzione che “fa di necessità virtù” realizzata in economia e questo è sicuramente un valore aggiunto, dopo le voci – purtroppo non ancora smentite - sul rischio di chiusura del Teatro catanese a causa del taglio dei fondi da parte della Regione Siciliana. 
Buono il cast vocale con Laura Polverelli, mezzosoprano d’agilità avvezza al repertorio rossiniano nei panni di Angelina per quanto sembrasse non voler abbandonare l’atteggiamento di mestizia, nemmeno sul Non più mesta del Rondò finale ove prende coscienza della sua ascesa sociale; il tenore spagnolo David Alegret è stato un Don Ramiro di buona presenza scenica ma con una voce poco brillante specie nel registro acuto e con qualche fiato di troppo che lo ha portato a spezzare le parole; il baritono Vincenzo Taormina è un stato un Dandini di comprovata esperienza, padrone della scena e con una vocalità azzeccata al personaggio; il basso Luca Dall’Amico, Don Magnifico, poco incisivo vocalmente, ha dato prova di grandi doti attoriali da vero caratterista; brave Manuela Cocuccio e Sonia Fortunato, rispettivamente Clorinda e Tisbe; misurato ed efficace l’Alidoro del basso Marco Bussi. Nessuna sbavatura nella performance del coro preparato da Luigi Petrozziello e dell’orchestra diretta da Josè Miguel Pérez-Sierra. 

Eliade Maria Grasso

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Gennaio 2020 11:18

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