Musica di Hector Berlioz
Leggenda drammatica in quattro parti
Libretto di Hector Berlioz e Almire Gandonnière
da Johann Wolfgang Goethe tradotto in francese da Gérard de Nerval
Direttore Daniele Gatti
Regia Damiano Michieletto
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video Roca Film
Movimenti mimici Chiara Vecchi
Interpreti
Faust Pavel Černoch
Méphistophélès Alex Esposito
Marguerite Veronica Simeoni
Brander Goran Jurić
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell'Opera di Roma
Nuovo allestimento
in coproduzione con Teatro Regio di Torino e Palau de Les Arts Reina Sofía di Valencia
in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese
Roma, Teatro dell'Opera dal 12 al 23 dicembre 2017
Damiano Michieletto si accinge a mettere in scena La damnation de Faust di Berlioz al Teatro dell'Opera di Roma. Nel personaggio reso celebre da Marlowe, eternato da Goethe e successivamente divenuto mito letterario, egli ha visto una metafora dei nostri giorni: quella del giovane disadattato, inadeguato, che si sente fuori luogo nel mondo. E anche incompreso. Per queste ragioni, e per non essere in grado di superare tale disagio, un ragazzo d'oggi – come Faust e molti altri – può arrivare a tentare il suicidio.
Il mal di vivere del protagonista, è rappresentato da un letto sfatto (con coperte sporche e discinte) sul quale sono poggiati alla rinfusa i resti d'un pasto improvvisato, squallido (un panino, con un hamburger dentro, morso a metà e lasciato nel contenitore); e sul lenzuolo dalla tinta nivea, briciole che comunicano un senso di sporcizia lascivia e trasandatezza.
Il mondo esterno, piatto e privo di colori è rappresentato da una scenografia essenziale, ridotta al minimo: astratta e bianca. In questa realtà, uniforme ed eguale, quali varietà potranno mai agghermigliare la curiosità e gli interessi d'un giovane studioso che ogni cosa vuol conoscere? Dove tutto è piatto e senza colore, non può esservi posto per qualcuno come Faust. Per questo egli viene malamente vessato, umiliato, e violentato dai suoi compagni di classe nella scena della marcia ungherese.
Proprio quando egli sta per togliersi la vita ponendo, così, fine alle sue sofferenze, ecco entrare in scena Mefistofele, che con Michieletto più che demonio tentatore è una fattispecie di psicologo che ordisce trame. Farà vedere a Faust quali possono essere le gioie della vita; gli farà conoscere l'amore nei suoi aspetti più torbidi, incitandolo alla lascivia della passione e dei sensi con Margherita; ed infine, lo farà precipitare giù all'inferno: dannato per l'eternità. Solo lei: Margherita, potrà salvarsi. Ella ha sì commesso il torto di aver ucciso la madre utilizzando di volta in volta piccole dosi di veleno per dar luogo ai suoi incontri lussuriosi con Faust: ma non sono azioni frutto d'un meschino incantamento; bensì un errore commesso per aver troppo amato. E per questo, l'anima di Margherita salirà in cielo, salvata da un coro di spiriti celesti.
Faust (Pavel Černoch) e Margherita (Veronica Simeoni) sono interpretati con un vago senso di timor reverenziale; mentre Alex Esposito dà vita ad un Mefistofele espressivo e, nella sua malvagità, qui e lì lievemente giullaresco.
Michieletto, con questa Damnation de Faust moderna, abbigliata in maglione e blue jeans, che ha rassomiglianze, seppur vaghe, col Giovane Holden di Salinger, fa ricordare ciò che disse Lenau: "Faust è un comune possesso dell'umanità... Il soggetto appare suscettibile d'essere trattato in tal varietà di forme che non è possibile che due poeti s'incontrino". Sinceramente, in questa versione, dell'opera originaria non v'è nulla fuorché la musica e le parole. Michieletto e Berlioz non si sono incontrati. Che peccato.
Pierluigi Pietricola