Luigi Cherubini
MÉDÉE
Opéra in tre atti
Libretto di François-Benoît Hoffmann
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore MICHELE GAMBA
Regia DAMIANO MICHIELETTO
Scene PAOLO FANTIN
Costumi CARLA TETI
Luci ALESSANDRO CARLETTI
Drammaturgia MATTIA PALMA
Personaggi e interpreti
Médée Marina Rebeka
Jason Stanislas de Barbeyrac
Créon Nahuel Di Pierro
Dircé Martina Russomanno
Néris Ambroisine Bré
Confidantes de Dircé Greta Doveri, Mara Gaudenzi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Turno Prime Opera
Milano, Teatro Alla Scala dal 14 al 28 gennaio 2024
Medea la barbara, la selvaggia, la straniera, in realtà nasce francese. Dal raffinatissimo libretto di François Hoffmann. Splendidi versi, per lo più alessandrini in rima alternata, musicali, dal ritmo maestoso, degni di Molière. Ma per qualche incomprensibile ragione alla Scala era sempre andata finora la mediocre versione italiana di Carlo Zangarini (anche la Medea più grande di tutte, quella della Callas del 10 dicembre del 1953, sempre alla Scala, cantava in italiano e non in francese). Felice, quindi, ancorché tardiva, la scelta del libretto Hoffmann. Splendida la scenografia di Fantin, geometrica, luminosa, in armonia con il penchant modernista del regista. E con la tavolozza dei delicati colori pastello dei costumi della Teti. Precisa, non prevaricante e senza sonorità eccessive la direzione orchestrale di Michele Gamba, impeccabile nella celebre ouverture del primo atto. Perfetto il coro, che quei costumi vestiva. Quanto alla regia, Michieletto è rimasto nei limiti del rispetto del grande capolavoro. Anche se, passi Creonte, ma quel Giasone in doppio petto può suscitare qualche perplessità. Certo, allude all’opportunismo ´borghese’ che spinge Giasone a preferire Dirce, fanciulla perbene nonché figlia di re, alla ribelle e anarchica Medea. Michieletto ha inoltre voluto che venisse proiettato su un velo bianco che avvolge la prima scena l’esametro (in greco) della nutrice di Medea “La casa non c’è più, la casa è distrutta”. Per suo esplicito richiamo è qui, per Michieletto, nella distruzione della casa, la chiave dell’opera. Perché molto più che luogo fisico, la casa è il luogo dell’esistenza umana, del rapporto degli uomini con il mondo. Una volta distrutta (e uccidendo padre e fratello per fuggire con Giasone, Medea l’ha tre volte distrutta) l’uomo (la donna) cade in balia delle forze più terribili della natura e della psiche umana. E ne viene travolto fino alle violenze più atroci e alla follia. Avrà Michieletto avuto in mente le decine di milioni di senza casa dei nostri tempi, yemeniti, siriani, ucraini, palestinesi….i tanti per i quali “la casa è stata distrutta”? Ancora sulla regia: Michieletto ha voluto inserire nel tessuto narrativo due bambini. Sono i figli di Medea che commentano, con voce fuori campo ma fisicamente presenti in scena, la tragedia dei grandi. Una buona idea, una diversa angolazione, quella dell’innocenza, ma che appesantisce un po’ il ritmo della narrazione. Quanto al resto, che dire? Ho visto non la prima, ma la Medea del 17, quando nell’intervallo tra il secondo e terzo atto una voce ha annunciato che la Rebeka (soprano lituana) era stata colpita da un malanno. Nel primo atto era stata semplicemente splendida. Forte e delicata, tenera e spietata, voce pulita dal vibrato morbido, grande e torbida presenza, ha espresso tutta la contraddittoria grandezza del personaggio. Ma nel terzo atto ha dovuto tirare al risparmio rimanendo però padrona della scena. Dirce, antagonista di Medea, è personaggio fragile, tormentata da angosciosi presentimenti, e la soprano Martina Russomanno restituisce molto bene con voce, presenza e recitazione il personaggio. L’aria di Neris, cantata dalla mezzosoprano francese all’inizio del secondo atto (ah, nos peines seront communes…) mi è parsa uno dei vertici della serata. Alata. Sublime. Perfetta corrispondenza di voce gesto e sentimento. Creonte (basso) e Giasone (tenore) mi sono parsi più sottotono. Il primo per i limiti intrinsechi al suo tipo di voce. Il secondo- che pure è apparso convincente nel suo ruolo drammatico - è più tenore di grazia che potente, poco adatto ad un Giasone ‘eroico’. Ma forse adatto ad un Giasone in doppio petto. Attilio Moro