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MA PER FORTUNA CHE C'ERA IL GABER - regia Gioele Dix

"Ma per fortuna che c’era il Gaber", regia  Gioele Dix. Foto Luca Armellini "Ma per fortuna che c’era il Gaber", regia Gioele Dix. Foto Luca Armellini

drammaturgia di Gioele Dix
elaborazione da musiche e testi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
con Gioele Dix
e con i musicisti Silvano Belfiore, pianoforte, Savino Cesario, chitarre
regia Gioele Dix
distribuzione Retropalco srl
produzione Centro Teatrale Bresciano, Giovit
con la collaborazione di Fondazione Gaber
Lonigo (Vicenza), teatro Comunale G. Verdi, 24 febbraio 2024

www.Sipario.it, 27 febbraio 2024

Fa venire qualche emozione particolare Ma per fortuna che c’era il Gaber di Gioele Dix che omaggia il grande Giorgio Gaber, per una precisa impostazione che ricorda quella dei suoi spettacoli, lucidamente ironica, indicativa, energicamente sospesa tra realtà tragicomica e spietatezza critica. Lo spettacolo, andato in scena al teatro Comunale Verdi di Lonigo (Vicenza) è in tournée, e non può mancare di affascinare per più motivi. Innanzitutto, oltre a Gioele Dix che sente la responsabilità di quel che propone ma lo fa con grande affetto, troviamo due musicisti di grande qualità a dargli man forte, Silvano Belfiore e Savino Cesario, professionisti di prim’ordine ben conosciuti nell’ambito musicale. Gioele Dix è integerrimo nella sua proposta, che fa con discrezione e amore verso l’artista e la sua opera, e si percepisce. Forse c’è un po’ di timore emotivo, certo è che comunque l’attore milanese riesce a entrare in quell’universo gaberiano, a farcelo rivedere con gran bella soddisfazione e la certezza che, seppur Gaber non è più con noi fisicamente (sono passati ben ventun anni dalla sua morte) le sue canzoni scritte col fido Luporini non invecchiano di sicuro. Meglio ancora, sono come il vino, migliorano e ci fanno sentire sempre più coinvolti, sempre più attenti a scoprire magagne, a riflettere anche su noi stessi come persone, e sui nostri gesti. L’inizio è un classico, e si entra subito nel terreno di Gaber sfrontato e ironico, con I borghesi, seguito da Ci sono dei momenti, altro momento di introspezione che volge e invita a una consapevolezza condivisa, a un’autocritica da rispettare per rispettarci. Non è il primo tributo che Gioele Dix fa al grande uomo di spettacolo, che ha sempre visto come un idolo, perché ogni suo spettacolo, come Dix ci ricorda era un’esperienza particolare, significativa. In questo affettuosissimo omaggio il protagonista con la collaborazione della Fondazione Gaber ha trovato dei testi inediti, delle composizioni scritte che con questa occasione trovano la luce per poter esser gustate, auspicandoci magari, chissà, un disco, proprio perché non vadano perdute nella memoria di una sera. Come ad esempio I cani sciolti, pura materia umana, dove i dubbi e le incertezze su quel che si faceva in certi anni riaffiorano, come del resto la voglia di tentare di cambiare qualcosa. Un messaggio molto forte ancor oggi, che ci conferma anche lo stesso Dix come artista, ponendocelo in una forma ancor più, diciamo, agguerrita di quello che si conosce di lui. C’è poi spazio per un monologo, anch’esso inedito, Ottobre, sulla rivoluzione fisica e intellettuale tanto attesa da certe generazioni e mai arrivata, e per La razza in estinzione, dove fa capolino e si fortifica parola dopo parola la consapevolezza di non esser riusciti a far diventare realtà l’utopia creatasi, quella voglia di ribaltare tutto. E non sono concetti passati, non è storia di un’epoca, semmai è una presa visione della società di questi decenni. Gaber era artista diverso da tutti, lo ricorda bene Gioele Dix, che spazia da un album all’altro con i brani che fra loro legano, come Ora che non son più innamorato, emozionante, spiegando poi come un’altra possibiltà con altro testo, ritrovato tra gli scritti, esista, esisteva. Il rapporto a due, con gli altri, col mondo in fin dei conto è il teatro-canzone di Gaber, e mi vien da dire che è un grande peccato che i giovani di oggi non lo conoscano, o almeno siano pochi, purtroppo. Dix con questo progetto, e con lui i due straordinari musicisti, ci restituisce con orgoglio Gaber, ci convince che si è ancora in tempo per non rimaner stritolati in una società dal tempo incerto. L’omaggio continua con altri brani come I soli, dall’arrangiamento splendido, e altri inediti, La verità ti appare come un miraggio, Che allegria la democrazia, dai titoli incerti proprio perché non incisi. E Un’idea, uno dei brani simbolo del Gaber pensiero, che anticipa di fatto i bis: Il medley con Torpedo blu, Cerutti Gino, Barbera e champagne, Il Riccardo, per finire in grande bellezza e in grande festa con Com’è bella la città e Lo shampoo, tentativi, allora come oggi, di risollevarsi da un mondo e da uno stato mentale proprio complicati. Grande l’entusiasmo del pubblico alla fine.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 29 Febbraio 2024 07:01

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