dramma per musica in tre atti di Francesco Berio di Salsa
musica: Gioachino Rossini, direttore: Renato Palumbo, regia: Giancarlo Del Monaco, scene: Carlo Centolavigna, costumi: Maria Filippi
Progetto luci Wolfgang Von Zoubek
con Gregory Kunde / Ferdinand Von Bothmer, Olga Peretyatko, Mirco Palazzi, Juan Diego Flórez, Chris Merritt, Maria Gortsevskaya, Enrico Iviglia, Aldo Bottion
Coro Da Camera Di Praga
Maestro del Coro Lubomír Mátl, Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Pesaro, Adriatic Arena, dall’8 al 21 agosto 2007
«Otello» metafisico, fischi reali
Juan Florez superstar, il soprano Peretyatko una Desdemona appassionata
Cielo e mare. Onde dipinte sul pavimento e fino alla linea dell'orizzonte, bassa sulle pareti che chiudono la scena lateralmente e sul fondo; poi solo qualche nuvoletta bianca a interrompere l'uniformità dell'azzurro. Il "trompe-l'oeil" evoca l'immensità, ma tutto avviene, come in un sogno claustrofobico, dentro a una scatola che dissimula nove porte e in alto tre balaustre che escono dalle nuvole. La scena è completamente vuota, ma le porte sono semoventi, animate. Si spostano come armadi su rotelle, disegnano spazi mentali e fisici, offrono nascondigli.
Astratto e onirico, manierato nei gesti e nei movimenti dei personaggi fino a un crudo finale. Così il regista Giancarlo Del Monaco (scenografo Carlo Centolavigna, costumista Maria Filippi) vede l'«Otello» rossiniano del suo debutto al ROF (Rossini Opera Festival): uno spettacolo affollato di febbrile seppur trasognato psicologismo fin dalle note della Sinfonia, quando dalle porte escono tanti "replicanti" di Iago, materializzazioni dell'incubo ricorrente di Desdemona. È un "Otello" che tiene presente Shakespeare molto più di quanto non fece il librettista di Rossini, Francesco Berio di Salsa, non a caso accusato spesso - da quasi tutti i commentatori ottocenteschi - di essersi allontanato troppo dall'originale. Sta di fatto che in quest'opera Iago è ben lungi dall'essere il mefistofelico "deus ex machina" della tragedia, così come lo disegnò l'autore inglese e lo scolpì anche Verdi, una settantina d'anni dopo Rossini. Qui la storia si riduce a un triangolo di amore e gelosia in cui Desdemona, sposa segreta di Otello, è ufficialmente destinata dal padre a Rodrigo. È lei il fulcro della drammaturgia, è lei a vivere una tragedia di amore vietato, vagheggiato, obbligato; è a lei che Rossini destina pagine memorabili nel secondo e specialmente nel terzo atto, in cui il belcantismo trova una sostanza espressiva decisamente nuova, preannuncio di una sensibilità che avrà grandi sviluppi sulla scena del melodramma italiano. Desdemona è vittima della propria passione in conflitto con le convenzioni, non di Iago, ma di passione nello spettacolo di Del Monaco ce n'è poca.
Così, alla fine, sul responsabile dello spettacolo - coproduzione del Festival pesarese con la Deutsche Oper di Berlino e l'Opera di Losanna - il pubblico si è diviso: applausi ma anche molti sonori dissensi. Grandi accoglienze, invece, per una compagnia di canto che aveva la sua punta di diamante in Juan Diego Flórez, un Rodrigo svettante, nitidissimo ed elegante stilisticamente, vocalmente indefettibile. Nel ruolo del titolo, l'esperto Gregory Kunde ha speso intensità, mentre altrettanto non si può dire di Chris Merritt, Iago, solo l'ombra dello straordinario tenore che debuttò al ROF nel 1985, con voce usurata e ormai stimbrata.
All'esordio nel ruolo, il giovane soprano russo Olga Peretyatko è stata una Desdemona del tutto a suo agio nell'agilità e nella zona acuta della tessitura, che ha fraseggiato con proprietà ma con cifra espressiva ancora da affinare nell'accorato e nel patetico. Bene il basso Mirco Palazzi, Elmiro padre di Desdemona, e Maria Gortsevskaya, l'ancella Emilia. Sul podio dell'orchestra del Comunale di Bologna, Renato Palumbo ha diretto con accorta energia, cogliendo la complessa cifra stilistica di un melodramma che ha le radici nell'opera seria settecentesca ma preannuncia i fremiti del Romanticismo.
Cesare Galla
Il libretto dell'Otello rossiniano, capolavoro giovanile del pesarese (prima rappresentazione Napoli 1816) racconta il dramma shakespeariano improntato in prevalenza sulle gelosie dei due pretendenti (Otello e Rodrigo). Figura decisiva quella del perfido Jago che giocherà, non con un fazzoletto ma con un biglietto amoroso e una ciocca di capelli, per la rovina di tutti. E' una schermaglia di poteri, non ci sono duetti d'amore, solo, fra le arie acrobatiche, la preghiera accorata di Rodrigo verso l'amata Dedsdemona aria di agilità che ha fatto scattare un'ovazione per l'interprete, il favoloso Juan Diego Florez (in una foto di scena con Gregory Kunde e Olga Peretyatko).
Nell'economia di questa storia, con messinscena scarna e rigida (la scena è di Carlo Centolavigna, gli stupendi costumi di Maria Filippi. Giancarlo Del Monaco ha una formidabile idea, teatralmente efficacissima: moltiplicare Jago in nove personaggi identici, (portano una maschera presa in calco dal trucco di Jago). E' l'incubo, l'insidia da cui tutti dipendono. Nuova e funzionale pure la sistemazione del coro, in due matronei laterali che fuoriescono dalle pareti e dove i coristi rossovestiti, cantano immobili, uomini e donne unificati da identiche cuffiette. Il coro è quello da Camera di Praga diretto in modo prestigioso da Labomir Màti.
La musica di Rossini scorre limpida su questo impianto asessuato. Pensano gli interpreti, con una recitazione eccellente, a raccontarci i sentimenti. E soprattutto a cantare le arie terribili, a cominciare da Gregory Kunde (Otello) grande e fascinoso, per non parlare del citato Florez, beniamino pesarese fin dal debutto nel 1996 e sempre in possesso dei suoi mezzi straordinari nel registro acuto; e poi la bella Olga Peretyatko (Desdemona) che ha superato senza flettere la sua strenua aria di agilità. C'è anche, nel cast, Chris Merrit, che fu grandissimo Otello al Rof nel 1988 e ancora nel 1991. Oggi la sua voce è cambiata, e non in meglio. Interpreta Jago e la voce è spesso sbracata ma il suo personaggio è da ricordare. Altri minori, ottimi, Maria Gortsevskaya (Emilia) e Mirco Palazzi (Elmiro).
Renato Palumbo (presente al Rof dal 2003) sta sul podio dell'orchestra del Comunale di Bologna e fa cantare uomini e strumenti con il suo gesto ondeggiante e cordiale. Momenti grandi nell'ultimo, bellissimo atto.
Alla fine applausi e dissensi, inevitabili, per la regìa. Ma diamo tempo al tempo: potrà avere una rivincita quando riproposta a Berlino e a Losanna.
Carla Maria Casanova
«Otello» andò in scena a Napoli il 4 dicembre 1816, al teatro Fondo, a causa dell'incendio che aveva distrutto il San Carlo pochi mesi prima. Il libretto maturò in ambiente partenopeo, partorito da quel marchese Berio di Salsa, che secondo il giudizio di Stendhal era uomo brillante ma poeta modesto. Nell'«Otello» rossiniano di Shakespeare c'è poco o nulla, il nobile napoletano si servì delle più modeste fonti a sua diposizione. Caduta definitivamente in oblio al primo comparire dell'omonimo lavoro (ma era fuori repertorio già da un po'), oggi grazie al «Rossini opera festival», che l'ha scelta come titolo inaugurale dell'edizione aperta l'altra sera, conosce nuova vita. A Pesaro mancava dal 1998.
E non poca gratitudine per il novello repechage si deve a Chris Merrit, che ha imposto il personaggio di Otello in forza di un'autorevole lettura che ha dominato incontrastata per tutti gli anni Novanta. Vederlo ripiegare sul ruolo di Iago fa tenerezza a dir poco. Tanto più che il tenore americano soffre in più d'un momento. La platea è con lui, ma la stima non basta per duettare con un giovane leone come Juan Diego Flores (nei panni di Rodrigo) nel pieno del suo splendore vocale, e men che mai per reggere passaggi impervi come «No, non temer». A ben vedere sul grande tenore peruviano, che può considerarsi a buon diritto il maggior tenore rossiniano del momento, poggiano gli esiti complessivi di questa nuova produzione che schiera in campo un Otello come Gregory Kunde, artista dal timbro aspro e dalla potenza non sempre perfettamente controllata. Davvero non è impresa facile mettere insieme tre tenori di alto livello. E per la verità anche sugli altri versanti l'avvio è in sordina; bisogna attendere almeno fino al terzetto del secondo atto perché la Desdemona di Olga Peretyatko cresca nella giusta misura.
Tra le parti di fianco non dispiacciono Maria Gortsevskaya (Emilia) e l'Elmiro di Mirco Palazzi. La regìa di Giancarlo Del Monaco merita tutte le contestazioni del caso, Renato Palumbo governa l'Orchestra del Comunale di Bologna con la consueta professionalità assecondando con usata perizia le voci in campo. Talvolta il coro si sottrae ad un adeguato controllo forse perché non felicemente disposto dalla regia. La sua lettura procede senza troppi guizzi e invano si cercherebbero i palpiti di una lettura fantasiosa, o almeno diversamente caratterizzata, ma il direttore governa la partitura rossiniana con piglio autorevole ed incontestabile professionalità.
Alfredo Tarallo
«Otello» ha inaugurato il Rossini Opera Festival. Applausi all'esecuzione delude l'allestimento
Dopo gli anni della riscoperta vengono quelli degli approfondimenti: il Rossini Opera Festival in più d'un ventennio ci ha permesso di conoscere una quantità di capolavori caduti da oltre un secolo, nell'oblio. Ora le grandi opere di Rossini vengono riprese in nuove edizioni, come quella di Otello che ha inaugurato l'altra sera, nell'Adriatic Arena, il cartellone 2007. L'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna era diretta da Renato Palumbo: una bacchetta elastica e attenta alle meraviglie strumentali di questa partitura che Rossini ventiquattrenne, nel 1816, lo stesso anno del Barbiere, presentò a Napoli, cimentandosi con la tragedia di Shakespeare tradotta nel libretto modestissimo di Francesco Berio di Salsa, un condensato di situazioni imperniate sul tema d'amore tra rivalità, gelosie, palpiti, abbandoni, sofferenze. Eppure, da quella piattaforma convenzionale, la musica del prodigioso ragazzo spicca il volo, e traccia sentieri ben precisi per la futura opera romantica.
L'arte del belcanto, ad esempio, è volta inaspettatamente in frenesia, con un senso di cupezza e fatalismo quasi disperati, che permette a Rossini di rendere l'aura della tragedia. E' quanto appare, ad esempio, dall'eccezionale prestazione del tenore Juan Diego Flórez, il trionfatore della serata nei panni di Rodrigo, che trasforma l'arabesco in violenza, mostrando quanta forza espressiva si può sprigionare dall'arte del più florido gorgheggio. E l'Otello di Gregory Kunde gli tiene dietro, magari arrancando, ma con dignitosa efficacia.
L'altra sorpresa che Rossini ci riserva è il personaggio di Desdemona: nell'ultimo atto, squarcio impressionante di musica romantica che abbatte ogni convenzione, Desdemona, accompagnata dall'arpa, canta la «Canzone del Salice», dopo che il canto lontano del gondoliere è risuonato fuori scena, e prima che si scateni la tempesta, durante la quale verrà uccisa da Otello. Ed è un canto che avvicina addirittura Rossini a Schubert, tra solitudine, fatalismo, senso della morte incombente e della felicità che s'invola. Desdemona ha trovato nel soprano Olga Peretyatko, giovane e bellissima, l'espressione autentica dell'innocenza e della malinconia: la solitudine della giovinezza che sta per morire.
Peccato che lo spettacolo di Giancarlo Del Monaco, con la scena unica di Carlo Centolavigna, abbia tolto ogni senso alla intimità della camera da letto in cui Desdemona muore. Se nei due atti precedenti il gioco delle nove porte dipinte con mare e cielo, che si muovono continuamente e si trasformano in armadi, o cabine forse troppo balneari, è ancora accettabile, nell'ultimo, dove l'ambiente è determinante, scenografia e regia appaiono estranee alla tragica naturalezza della situazione rossiniana. E le figure dei cinque o sei sosia di Jago, che si affacciano dalle porte lungo tutta la rappresentazione, restano nella memoria come una trovata che sfiora il comico.
E' per rispetto alla figura di un grande cantante del passato come Chris Merritt che sorvolo sulla sua prestazione nei panni di Jago: e così ha fatto il sensibile pubblico di Pesaro che dello spettacolo ha apprezzato giustamente i bei costumi di Maria Filippi, riservando applausi a tutti ma, al regista, anche qualche protesta.
Paolo Gallarati
Florez porta «Otello» al trionfo
Ma il pubblico boccia la regia
Le prime tre porte si aprono durante lo splendido solo dell'oboe, ma prima che finisca la sinfonia sono già tutte spalancate. Nove, in perfetta simmetria: tre sulla parete di fondo del palcoscenico e altrettante sui due lati; e da ogni porta si affaccia un uomo, sempre identico a quello apparso per primo. Scopriremo che è Jago: ha un volto cattivo, un incedere misterioso e per essere più incisivo si moltiplica. Non perde tempo: prima ancora che il coro intoni il suo «Viva Otello, viva il prode», è già in scena a tessere la sua rete di perfidi inganni, di gelosie. L'opera, l'Otello appunto (inutile dire che è «quello di Rossini» dato che siamo a Pesaro), si propone per intero dinanzi a quelle nove porte. Se non fosse per la straordinaria bellezza della partitura rossiniana, si rischierebbe la noia.
Dall'anno scorso il Festival pesarese (che per la prossima edizione ha in cartellone Ermione, Maometto II e L'equivoco stravagante) s'è allontanato dal centro storico e dunque dal mare, ma il palcoscenico dell'Adriatic Arena è come una distesa di cielo e mare, senza linee d'orizzonte o profili di spiaggia. L'unica alternativa al celestino sono delle nuvolette bianche e quelle nove porte che si aprono e si chiudono, si allontanano dai cardini, e schierate come una fila di ballerine avanzano sul palcoscenico fino a lambire (manteniamo il lessico marinaresco) il golfo mistico dove, per fortuna, l'orchestra fa miracoli. E a questo punto somigliano a cabine per bagnanti. Se non vi lasciaste vincere dalla sensazione di trovarvi in uno stabilimento balneare, potreste intuire le intenzioni registiche di Giancarlo Del Monaco, anche sottoscrivibili da un punto di vista psicologico e simbolico, ma forse meritavano un assetto scenico più accattivante. Non diciamo le vedute pittoriche del Canal Grande, le gondole, gli archi e le altane dei palazzi della Serenissima, ma neppure questo nudo deserto azzurrino e questa totale mancanza di teatralità.
Non c'era neppure da attendere il buio totale, qui al posto del sipario finale, per rendersi conto che al pubblico l'allestimento non è piaciuto: quando Del Monaco, tenuto per mano dagli interpreti, si affaccia alla ribalta, è accolto da un coro di inequivocabili contestazioni. Così come è un'accoglienza trionfale per i cantanti. Ma prima ancora per un Rossini poco frequentato e stupendo che offre un crescendo di intensità e di fascino. Renato Palumbo ha diretto con grande senso del contrasto una quasi impeccabile orchestra del Comunale di Bologna. E il cast ha fornito nel complesso una prova notevole. Infallibile nell'acuto, Juan Diego Florez (Rodrigo) ha strabiliato; Gregory Kunde (Otello) dopo qualche incertezza ha convinto anche lui, e il terzo tenore, Chris Merritt (era lui Jago) si è difeso ma non è più il Merritt di vent'anni fa. Ha una fama, conquistata soprattutto qui a Pesaro, da difendere e gli si poteva risparmiare il confronto (nel duetto del primo atto risulta una lotta davvero impari) con quel mostro di bravura che è Florez. Olga Peretyatko (Desdemona), giovanissima, pare già destinata a una grande carriera.
Virgilio Celletti
Negli annali dei festival i successi (o i fiaschi) prendono il nome da ciò che li ha determinati. Così l’Otello di Rossini che mercoledì ha inaugurato a Pesaro il Rossini Opera Festival, non sarà ricordato come «l’Otello dei tre tenori» - per aver messo in campo tre fra le più grandi star rossiniane al mondo - e neppure come «l’Otello di Giancarlo Del Monaco» - ovvero del figlio di Mario, mitico interprete proprio di Otello (sia pure di quello di Verdi) che qui era il regista dello spettacolo. No. Questo rimarrà per sempre «l’Otello delle porte».
Immaginate infatti una grossa scatola di cartone, tutta stampata a nuvolette e onde marine, come nei quadri di Magritte, dentro alla quale si aprano nove porte - simili a quelle delle cabine negli stabilimenti balneari.
Ecco: Del Monaco ha ambientato tutta la tragedia del moro di Venezia dentro questa scatola. Perché? A sentir lui perché Venezia «è un pensiero di cielo e mare, di nuvole e di acqua», nonché «un simbolo di costrizione urbana»; e perché Desdemona, vera protagonista del dramma, «vi è prigioniera di un gioco maschile spietato». Così le porte, attraversate in un continuo gioco di appostamenti e trappole da nove sosia del cantante che interpreta Iago, simboleggiano il clima di intrighi e doppiezza in cui si svolge la trama. Ora la domanda del lettore sarà: ma «l’Otello delle porte» è stato un successo o un fiasco? Be’: le ovazioni che hanno premiato gran parte del cast, parlano di un trionfo. Mentre ciò che ha accolto Del Monaco a fine spettacolo è stata una marea di inequivocabili fischi e «buuu!».
Noi non ci uniremo a chi ha gridato allo scandalo. L’idea ci è parsa teatralmente efficace - soprattutto nell’accurato gioco dei movimenti dei cantanti - ma sostanzialmente debole. E (quel che è peggio) fuori tema. La musica di Rossini suggerisce ben altri orizzonti che quelli claustrofobici, e alla lunga tediosi, di una scatola di cartone. E quel continuo rimpiattino da una porta all’altra è troppo insistito e fiacco per reggere tre atti di spettacolo. Per non parlare della trovata di piazzare il coro immobile dentro due enormi «cassetti»: lì il pubblico, già infastidito da tutto quello sbattere di porte, ha quasi fatto fatica a non ridere. Motivata invece è sembrata l’idea di concentrare il crudele movimento delle porte (che si muovevano componendo e scomponendo improvvisate quinte) attorno al dolore di Desdemona, la cui celebre «Assisa al piè d’un salice» diventava quasi una scena di follia.Due dei tre, grandi e attesissimi tenori protagonisti hanno però risollevato le sorti della serata. Juan Diego Florez soprattutto (Rodrigo) star sfavillante e applauditissima, e anche Gregory Kunde (Otello), ripresosi alla grande dopo alcune incertezze iniziali. In evidente difficoltà, invece, lo Iago di Chris Merritt, cui sono andati solo applausi di stima; in particolare il confronto con Florez, nel duetto del primo atto, è stato impietoso. Un’autentica sorpresa la Desdemona di Olga Peretyatko: voce forse troppo leggera, ma tecnica inappuntabile e ammirevole disinvoltura scenica. Corretta la prestazione del direttore d’orchestra Renato Palumbo.
Paolo Scotti