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ROBERTO DEVEREUX - regia Alfonso Antoniozzi

"Roberto Devereux", regia Alfonso Antoniozzi "Roberto Devereux", regia Alfonso Antoniozzi

Tragedia lirica in tre atti
Musica Gaetano Donizetti
Libretto di Salvatore Cammarano
Direttore Francesco Lanzillotta
Regia Alfonso Antoniozzi
Scene Monica Manganelli
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Luciano Novelli
Regina Elisabetta Mariella Devia
Sara Sonia Ganassi
Roberto Devereux Stefan Pop
Il Duca di Nottingham Marco Di Felice
Lord Cecil Alessandro Fantoni
Sir Gualtiero Raleigh Claudio Ottino
Orchestra e coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro – Pablo Assante
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice in coproduzione con Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Genova, Teatro Carlo Felice, dal 17 al 29 marzo 2016

www.Sipario.it, 18 marzo 2016

Il titolo è maschio, è il nome d'un favorito che, quando smette d'essere tale, ci lascia le penne. Eppure il "Roberto Devereux" è opera di donne, è una partitura precorritrice e dal coté già verdiano, musica che lancia il cuore oltre l'ostacolo d'una struttura convenzionale, e che nonostante un libretto con qualche falla di senso, descrive a fil di lama, meravigliosamente, due grandi profili femminili. Il primo, Elisabetta, regina infelice che può decidere di vite e di morti, ma non comandare d'essere amata; il secondo, Sara, duchessa di Nottingham, regina di cuori, sposa per forza, colpevole d'essere amata e di amare la persona sbagliata: Roberto appunto, già amante regale e migliore amico dell'ignaro marito.
Genova festeggia l'eroe sfortunato, incastrato da un romantico nodo d'equivoci a loro volta equivocati, e di virtualissime, maledettamente caste passioni. Nel mentre fuori scena lui perde la testa, Elisabetta, sconfitta come donna e regina, perde il trono... La Lanterna accoglie un'edizione nuova di zecca e la maestà lirica di una superba Mariella Devia, la cui interpretazione di per sé sarebbe bastata a decretare il successo della serata. Invece, il titolo che torna al Carlo Felice dopo ventitré anni (nel '93, ad abdicare sul palco c'era Rajna Kavaivanska...), porta con sé voci e idee che ne fanno, tout court, una produzione di pregio, un progetto "pensato" e sensato.
Debutta infatti – in collaborazione con Parma e Venezia - la prima della serie donizettiana dedicata alla dinastia Tudor, una trilogia affidata al pool creativo composto da Alfonso Antoniozzi (regia), Monica Manganelli (scenografia) e Gianluca Falaschi (costumi).
Lo spettacolo, che costituirà l'ossatura anche dell'"Anna Bolena" e della "Maria Stuarda" prossime venture, è un meccanismo virtuoso, è la risultante di un equilibrio sano, tra libertà e rigore. Gli angoli del palco sono smussati da un tondo rialzato che omaggia il "Globe" shakespeariano ed ammicca ad un "teatro nel teatro" con tanto di simbolici tralicci di supporto luci a vista. I riferimenti architettonici sono poeticamente stilizzati ma coerenti con l'epoca, il gotico trova funzionale citazione nei pannelli mobili: un po' quinte, un po' divisori, un po' propagatori di prospettiva.
Il coro, caratterizzato dall'ottima intuizione di vestirlo d'una maschera omologante, quando non in scena diventa spettatore e guadagna uno spalto che guarda verso il cuore circolare dell'azione e verso il pubblico.
L'onestà intellettuale del progetto registico, reso scintillante anche grazie a costumi d'assoluta bellezza, premia la partitura donizettiana: senza gigionerie, l'intreccio procede accompagnando – naturalmente a morte, tre su quattro – i protagonisti di questo dramma romantico che chiede alla quaterna di protagonisti (Elisabetta, in primis) di cavalcare asperità vocali che raramente sono così concentrate e incalzanti.
Chiudendo sullo spettacolo visivo, deduciamo che l'eclettismo (di biografia artistica), in teatro, paga: un basso-baritono di pluridecennale esperienza e successi firma la regia, una giovane artista multitasking che dopo una lunga gavetta nei teatri ha lavorato nel cinema ("Cloud Atlas") e in pubblicità (firmando anche un "corto" d'animazione che è stato candidato all'oscar)... Risultato, una produzione intelligente, elegante e... molto amica della musica.
Musica che ha visto, a sovrintendere buca e palcoscenico, la bacchetta del giovane Francesco Lanzillotta, capace di una lettura tonica ed efficace, al servizio dei cantanti. Quanto al cast vocale, Mariella Devia, anche avesse oggi trent'anni, sarebbe pura meraviglia. Dato che ne ha qualcuno in più, è sempre pura meraviglia, per quanto riesce a trasmettere in scena, ed in aggiunta c'è, dalla platea, palpabile, quel flusso d'ammirazione e d'affetto per una delle migliori interpreti liriche degli ultimi quarant'anni.
Nei panni della regina donizettiana, il soprano ligure ancora una volta ha messo in luce la tecnica granitica su cui può contare, la sensibilità belcantistica, l'intelligenza di usare la voce di petto in funzione drammatica quando necessario, la capacità di produrre suoni filati adamantini, ricostruendo musicalmente il contrasto tra potere ed affetti, serto regale e languore amoroso, forza esibita e fame d'amore, che il personaggio descrive.
Sonia Ganassi è una "Sara" magari non altrettanto elegante, comunque molto convincente; Stefan Pop, tenore rumeno non ancora trentenne, è un "Roberto" di spettacolare prestanza vocale e scenica, davvero un ottimo professionista, su cui puntare. Quanto al Duca di Nottingham, Marco Di Felice, peccato che la qualità emissiva e la buona capacità di fraseggio siano state messa in ombra da un nervosismo che in più occasioni l'ha "sottratto" al personaggio.
Chi ama "Lucia di Lammermoor", ma non ha avuto occasione di intendere questo capolavoro, "minore" ma solo per caso, non perda tempo: Genova, sino a fine mese, a parte la richiestissima attrazione dei suoi pesci in vasca, propone di visitare nientemeno che una Regina, condividendone il dramma (e la sua magnifica colonna sonora).

Giorgio De Martino

Ultima modifica il Sabato, 19 Marzo 2016 00:04

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