di Richard Strauss
Maestro concertatore e direttore: Daniel Harding
Regia: Luc Bondy
Scene: Erich Wonder, Costumi: Susanne Raschig
Interpreti: Peter Bronder, Iris Vermillion, Nadja Michael, Falk Struckmann, Mark Doss, Matthias Klink
Milano, Teatro alla Scala, marzo 2007
Per il Vangelo di San Marco è solo “la figlia di Erodiade”, una specie di bambina ubbidiente, non certo sensuale baccante. Soltanto lo storico Flavio Giuseppe la nomina come Salome e poi ci informa che morì molto anziana e circondata da figli e nipoti.
Ma per trovare la sensuale scatenata che la musica di Strauss suggerisce dobbiamo arrivare a Oscar Wilde e a pochi altri fra cui Staphan Mallarmé (Hérodiade). La lussuria e quella necrofilia con testa tagliata e bocca baciata (che oggi ci fa un po’ ridere) si sposeranno perfettamente con Strauss in un linguaggio dall’organico orchestrale ricchissimo e dalla densità discorsiva a dir poco provocatoria. Eppure dai libri apprendiamo come Strauss desiderasse sia per Salome che per Elettra un’esecuzione “come se fossero state scritte da Mendelssohn” e non un lavoro sinfonico con voci. Domandatevi pure perché, allora, quell’orchestrazione poderosa e densa di effetti. In verità non si capisce.
Non si capisce anche perché nulla è più mutabile, con gli anni, della recezione musicale e del lessico degli esegeti. Tuttavia anche per l’ascoltatore odierno, abituato a ben altri sound l’effetto ottenuto dal direttore Harding risulta in parecchi momenti alquanto fastidioso. Se è da riconoscere al direttore inglese abilità tecnica nel tenere insieme una partitura di aspra difficoltà ci sembra che i colori, che vanno dal tre volte forte (fff) al tre volte piano (ppp), anche negli acuti avrebbero potuto essere più rispettati.
Ma l’attenzione generale era per la splendida Nadja Michael che ha fatto una Salome dalle movenze sensuali quanto basta (coreografia di Lucinda Childs) e dalla voce vibrante ed espressiva. Una Salome eccezionale che è riuscita a fare accettare la visione della testa di Jochanaan così realistica e con tanto di drappo insanguinato da non essere molto lontana da una caricatura da grand guignol. Ma anche il resto della compagnia era di altissimo pregio pur se, e probabilmente sbaglieremo, è sembrato che ci fosse l’aiutino di qualche microfono. Isterichino e nervosetto era l’Erode del centratissimo Peter Bronder; ma anche Jochanaan (Falk Strukmann), forse un po’ troppo tonante, era efficace e con lui Iris Vermillion (Erodiade) e Matthias Klink (Narraboth). Del resto la regia faceva muovere tutti con coerenza e chiarezza d’azione.
Le scene si direbbe che ormai siano intercambiabili. Si può essere nel Seicento, nell’Impero Romano, nell’Ottocento, in una reggia, in una città in rovina, sono sempre i consueti blocchi di cemento, le consuete luci e i soliti costumi senza tempo e connotazione, validi per tutto. Gli applausi immensi ci hanno dato la conferma che quello che conta sono i fracassi, sia vocali che strumentali.
Mariella Busnelli