Ionica, il ritorno alla Parola Sacra
Una intervista che evidenzia uno degli intellettuali più interessante della Cultura Italiana: Angelo Scandurra, Poeta ed Editore. Figura importante della Storia della Letteratura Italiana, sulla scia della grande Cultura Letteraria Siciliana: da Quasimodo, Pirandello, Camilleri, per citarne alcuni, a Sciascia, Sgalambro, Bufalino, e Guccione, suoi amici.
La Poesia di Angelo Scandurra la si può considerare, a ragion veduta, colta, impegnata, ontologicamente riflessiva. Aggiungo, dominata dall’ossimoro estremo dell’uso dissacrante della parola in una semantica colta, mai retorica, volta alla ricerca instancabile del vero, ove gli opposti si scontrano, peculiarità storica della Sicilia, nel turbinio possibile di elevare lo Spirito umano.
Roberto Garbarino
Ill. mo Poeta mi parli di Lei della sua Poesia e delle Sue Case Editrici “il Girasole” e “Le Farfalle”.
“Il Girasole Edizioni” e successivamente “Le Farfalle”, nascono dalla mia considerazione di una triade di soggetti: autore, libro, lettore. Perciò, non mi ritengo assimilabile alle prerogative di buona parte delle proposte editoriali attuali: insieme al testo (tessuto portante) debbo sentire il profumo dell’inchiostro, il respiro della carta e, quindi, il palpito della parola che, da idea, diviene pensiero impresso, tangibile; se vogliamo, eterno. Forse, nel profondo, cerco dei compagni di viaggio, per esorcizzare fantasmi e folletti.
Per quanto riguarda la mia poesia credo di essere il meno adatto a parlarne. Comunque, posso condensare il mio concetto relativo a tale aurea forma d’arte, con un’espressione che ho posto ad esergo in una mia raccolta: la poesia è tale quando si fa specchio e non scudo.
Ovviamente spero, con i miei testi, di essere sempre attinente a tale criterio.
Che cosa pensa della Cultura e dell’Editoria contemporanea rapportate al post-modernismo e all’omologazione?
È quasi impossibile trovare delle definizioni che, in maniera sostanziale, possano analizzare il contesto storico-politico-sociale in cui ci moviamo. Sono convinto che l’omologazione, sia per la cultura, che per ogni altra forma di scambio, se non scortata da precise regole, sfoci nel caos, congelando inesorabilmente l’identità e le qualità di ogni essere e di qualsiasi elemento, come purtroppo sta accadendo nel nostro tempo: tutto è uguale e, contemporaneamente, contrario a tutto.
L’editoria, malauguratamente, risente di questa confusione e il lettore (ammesso che questa specie non sia in progressiva estinzione), è sempre più smarrito nel mare magnum di “titoli” che affollano gli scaffali delle mega librerie. È doloroso assistere, in massima parte, alla mercificazione della cultura. Inoltre, l’apporto mediatico che offre mezzi straordinari, ma usati abitualmente in maniera peregrina, accresce la baraonda.
Quali sono, secondo Lei i punti di riferimento della Letteratura Italiana della Filosofia e dell’Arte Italiana?
Per quanto affermato prima, i punti di riferimento si assottigliano sempre più. Mancano i maestri (ne sono rimasti troppo pochi), scarseggiano i luoghi di ritrovo: è crollata, di fatto, la frequentazione della “bottega” dove si cresceva insieme, confrontandosi e scontrandosi inseguendo un ideale, un’utopia. Si dibatteva e, così, si dava una finalità al proprio operato. Era, effettivamente, anche un tempo più lento, che permetteva di “soffermarsi” a riflettere. Oggi tutto avviene all’insegna della velocità. Allora, si cozza inevitabilmente contro muri di gomma e si rimbalza. Per di più è l’epoca che applica, in ogni circostanza, la doppia morale: indice di elusivo malessere.
Può indicare le nuove promesse in tali ambiti?
È impossibile citare dei singoli nomi. Farei sicuramente torto a qualcuno. Mi limito, pertanto, ad una osservazione riguardo le nuove generazioni: noto che la maggior parte degli artisti si esprime con linguaggi piani, confidenziali, da facebook (messaggero ormai imperante). Per fortuna, in contrapposizione, una buona schiera torna al dialetto, a forme arcaiche. Considero questo aspetto un segnale vitale e preciso: si avverte che la parola e i mezzi espressivi in genere, sono inquinati e dissanguati, allora zampilla la necessità di ritornare alle radici, alle matrici generative: dunque è consono ritrovarsi nel proprio laboratorio, fucina di ricerca e creatività.
Quale sarà il futuro della Sicilia?
La Sicilia, come sappiamo, da sempre è terra paradisiaca, culla di civiltà, donna di profumi e sinuosità ammalianti. Ebbene, invece di accarezzare, catturare e assaporare tanta bellezza, la corsa è sempre più operante a maculare tali requisiti unici e mitici. C’è come un assatanato progetto a distruggere, a stuprare tutto, in nome del dio denaro. È un crescendo aberrante e tutti, nel nostro piccolo o grande esistere, dovremmo contrapporci per non sentirci conniventi a tale scempio. Quindi, il futuro, non solo della Sicilia, non appare roseo, ma questo quadro potrà essere ricolorato di speranze, se l’umanità riuscirà a riconquistare l’essenza dei principi universali del vivere.
Un messaggio per future generazioni
L’augurio che faccio, per primo a me stesso, è quello di poterci riappropriare di quelle peculiarità di carne e ossa, quindi di sensibilità e ingegno, che possano restituirci l’unicità di esseri, non come numeri, bensì come rivelazione di creature – sfumature nel mistero dell’universo – per ricreare e non per demolire. In tale contesto ogni espressione artistica (poesia, letteratura, pittura, musica, architettura, scienza,…) dev’essere l’asse portante per conquistare nuove e autentiche offerte di civiltà nella storia dell’umanità.
Roberto Garbarino