Tre spettacoli, dall'11 al 13 ottobre, al Teatro Antigone di Roma, interamente dedicati a "Gabriella", con due appuntamenti teatrali serali alle 20:30 e la domenica sel 13 ottobre alle 18:00. L'immensa e straordinaria figure di questa grande Donna ed artista, Gabriella Ferri, in un viaggio introspettivo ed intimo della grande voce romana, interpretato da Masaria Colucci, è diretto dalla regista teatrale e cinematografica, anche sceneggiatrice, Francesca Capua, che adatta alle scene il testo di Antonella Antonelli.
Oltre a “La carta d’identità” del 1999, Francesca Capua ha diretto anche altri film: “Daddy” è del 2014
Nota per la sua versatilità, le sue regie tratteggiano elementi di realismo sociale e narrazione emotiva ed intimista, che sa guardare profondamente all'interiorità dei personaggi, passando dal sociale generalizzato alla realtà più intima ed autentica della vita quotidiana, raccontati mentre pone l'attenzione ai minimi dettagli risolvendola però in una resa estetica minimalista che mette al centro il personaggio e non distrae il pubblico dalia sua assoluta centralità.
Ne vengono fuori le relazioni e dinamiche interpersonali, le sovrastrutture mentali, la ricerca interiore della propria identità, e nel contempo il senso di appartenenza ad uno o più substrati culturali e sociali.
Capua racconta di donne, che lottano per la loro affermazione ed autodeterminazione, per la propria resiliente indipendenza, spesso per sganciarsi da ambienti svantaggiati, mentre tentano di autodeterminarsi come "altro".
Ma chi era "Gabriella"? Una Donna catapultata dal primo periodo romano come cantante in coppia con Luisa De Santis, che recuperano insieme in una passeggiata in un mercatino di Roma, un disco malridotto e malconcio del '78, in cui sentono la voce di un ragazzo ma il disco è anonimo e presentato o alla SIAE come tradizionale e arriva Gabriella a cantare quel pezzo in una trasmissione di Mike Bongiorno negli studi di Milano. Quel pezzo era "La società dei magnaccioni". Arriva un enorme successo anche internazionale, da cui Gabriella inizia a sottrarsi, a sparire e ricomparire dalle scene, iniziando a manifestare tutta la drammaticità di quel malessere interiore, come se nei suoi grandi occhi verdi si racchiudesse e trapelasse tutto il grande dolore dell'essere umano.
Francesca, da dove nasce l'idea di mettere in scena "Gabriella"?
L'idea parte da Masaria Colucci, che ha riavuto un testo di Antonella Antonelli, testo in cui si parla dell'ultimo periodo della cantante romana in cui, dopo un lungo periodo in cui fu lontana dalle scene, viene corteggiata artisticamente da un impresario che la convince a riesibirsi. Erano anni in cui la Ferri, che ho conosciuto e con cui ho trascorso del tempo in amicizia per un certo periodo, dopo successi straordinari anche all'estero, nel pieno della sua fama e notorietà, si allontano' dal mondo dello star system. Dopo una prima esibizione del suo ritorno una sera un un teatro al Testaccio, quartiere di Roma in cui era nata, con il pienone del pubblico acclamate in sala, la sera dopo, al secondo spettacolo concordato, dove erano stati già venduti tutti i biglietti, firmati tutti gli accordi, Gabriella non regge il momento e non riesce ad entrare sul palco e va già. Da qui, da questo allontanamento, da questo rifiuto, sa questa incapacità a relazionarsi con il mondo esterno, prende vita la pièce.
Come procede il racconto teatrale?
La partitura drammaturgica è romanzata. Non sappiamo quella sera dove fosse andata questa donna così profondamente addolorata, così profondamente provata da un desiderio fi estrema libertà e da una depressione non governabile, nonostante legata ad un uomo che l'amava tanto e un figlio che l'adorava. Nella pièce però Gabriella , per un caso di pura sorte, quando decide di andare via dal teatrino off del Testaccio, all'uscita incontra una donna, che la segue e l'accompagna. Le due donne, insieme, interpretate entrambe da Masaria Colucci, che di alterna in sottoforma di monologo nelle tue parti, trascorrono quella sera facendo una lunghissima passeggiata notturna arrivando quasi fino al mare.
È il viaggio di Gabriella, metafora di una vita fatta in fondo di successo e di solitudine, di angoscia e di forza, di vigore, di resilienza. Lei ha rappresentato già nel cinema e nel teatro donne emarginate, donne resilienti.
Cos'hanno in comune con Gabriella?
Gabriella è un unicum. La sua fragilità è data dalla dissonanza con la presenza. Lo spettacolo non ripercorre la carriera dell'artista, seppure siano presenti alcuni brani in sottofondo musicale, ma è un mettere in scena la grandezza dell'essere umano e del suo essere artista in tutta la sua profonda complessità. C'è un filo espressivo conduttore, dato dal motivo di "Dove sta Zaza"" che inizia e per tre volte di ripete interrompendosi, mentre arriva nella sua interezza solo nel finale
"Dove sta Zaza" è un esempio di home la Ferri riuscisse a drammatizzare in voce le parole, i pensieri. Trattandosi di un monologo a due parti, da un punto ti vista strettamente tecnico, qual tecnica interpretativa, quale cifra stilistica recitativa ha indicato alla protagonista per evitare monotonia o una certa pesantezza allo spettatore, data anche la drammaticità del contesto psicologico della protagonista? Quale strategia teatrale ha messo in campo per una resa interpretativa equilibrata che non annoi o disturbi il pubblico in sala?
La cura dei piccoli dettagli espressivi ed i tempi. Del resto i tempi sono fondamentali nella messa in scena teatrale. Cambiare e modulare ripetutamente le tecniche espressive, dunque i toni, la modulazione della voce, delle espressioni del volto, il registro della voce, rende eterogenea la rappresentazione dei sentimenti e caratterizza i personaggi.
Da dove nasce l'idea dell'incontro e della passeggiata con una donna del pubblico?
La donna è una spettatrice, una fan di Gabriella. Prende spunto da un aneddoto personale. Ricordo ancora bene l'emozione di quando, in una via di Roma, incrociai per caso Sean Connery e insieme percorrenmo un tratto di cinque metri di strada, prima che entrasse in un negozio. Ne ricordo ancora la forte emozione.
Lei ha diverse volte messo in scena le donne. Qual è il suo pensiero circa lo sviluppo sostenibile del ruolo delle donne nel settore teatrale oggi?
Non è possibile una società di tipo matriarcale e non è possibile una società di tipo patriarcale. Indubbiamente la donna deve faticare ancora in molti settori per una completa parità, tuttavia ci sono stati dei timidi segnali di ripresa. La figura femminile è una figura centrale, la donna è completa e grande nella sua strutturazione mentale a 360⁰ gradi. La donna ha una forza e una capacità di resilienza e di sopportazione del dolore e della sofferenza rappresentato nella sua massima espressione nella maternità. È capace di gestire molti cassetti insieme; a differenza dell'uomo, la donna è multistasking; la donna possiede in sé ogni capacità. Ancora in teatro, quando una donna occupa una posizione apicale o decisionale, non c'è nella percezione esterna naturalezza, ma è un messaggio che viene letto ancora come miracolo o eccezione. Mi piacerebbe molto, per esempio, vedere Re Lear interpretato da Monica Guerritore.
Cosa desidererebbe che provasse il suo spettatore all'uscita di "Gabriella"?
"Gabriella" è una ripresa. L'intero spettacolo è una freccia tirata. La durata finale lascia senza parole. Una volta venne la nipote di Gabriella Ferri che mi disse: "Grazie, perché mi hai fatto emozionare. Mi hai riportato al modo di fare di zia". Ecco, io vorrei che alla fine dello spettacolo, il mio spettatore mi dicesse: "Mi hai fatto emozionare".