Giacomo Puccini
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-wok
CAST
Tosca Anna Netrebko / Saioa Hernández
Cavaradossi Francesco Meli / Otar Jorjikia
Scarpia Luca Salsi
Angelotti Carlo Cigni
Sagrestano Alfonso Antoniozzi
Spoletta Carlo Bosi
Sciarrone Giulio Mastrototaro
Carceriere Ernesto Panariello
Pastore Gianluigi Sartori
Milano, Teatro alla Scala dal 7 dicembre 2019 al 8 gennaio 2020
“In questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, non di proporzioni eccessive né come spettacolo decorativo né tale da dar luogo alla solita sovrabbondanza musicale”. Sono, queste, le parole con le quali Puccini chiede a Giulio Ricordi di intercedere con Sardou affinché gli venga data l’autorizzazione a musicare il dramma dell’autore francese. E si può dire che Tosca, fuor di metafora, rappresenti un cambiamento per il melodramma italiano.
La storia dell’amore di Tosca per il suo Cavaradossi; l’aiuto che questi offre al rivoluzionario Angelotti; le trame di Scarpia che usa il suo potere pur di ottenere i favori amorosi della cantante Tosca; la fine che accomuna i tre protagonisti dell’opera – la morte: sono temi sui quali Puccini avrebbe potuto, da par suo, costruire qualcosa di molto più esteso musicalmente; e i due librettisti – Illica e Giacosa – dar vita a versi in grado di suscitare le più violente passioni fra il pubblico. E invece nulla di tutto ciò. Vi è, in quest’opera, una volontà da parte degli autori di guardare agli eventi con distanza, come a volersi dichiarare ormai lontani dal Risorgimento sia come periodo storico che come tema da affrontare in arte. Ciò che non esclude, beninteso, momenti di passione – come la nota aria “E lucevan le stelle” –: ma si tratta di istanti che, subito dopo, sfumano per tornare ad una certa calma placida, così da favorire la riflessione piuttosto che l’emozione.
Di tale sobrietà Livermore, nella sua impostazione registica, ne ha tenuto conto in minima parte. Ciò che, a mio avviso, non è del tutto sbagliato. Egli ha voluto realizzare uno spettacolo che ricordasse la tradizione del melodramma italiano ma rievocando, al contempo, lo spirito col quale Puccini si adoperò a musicare Tosca.
Sicché ecco troneggiare sul palco della Scala le realistiche e bellissime scene di Giò Forma, mosse da macchinari sofisticati e giganteschi che richiamano alla mente i periodi migliori delle regie liriche di Ronconi. Ma, assieme ad esse, ecco calare dall’alto dei video moderni con su riprodotti il dipinto di Cavaradossi raffigurante Maria Maddalena, e gli affreschi della camera di Scarpia. In tal modo, ecco risolto in chiave scenica il legame fra classicità e innovazione in Puccini.
Legame che, però, sul piano dell’interpretazione dei cantanti – molto bravi vocalmente ma carenti come recitazione – è stato improntato su un eccesso di sobrietà. Ne è conseguita una Tosca della Hernández troppo rigida ed eguale nelle varie situazioni dell’opera, al punto da apparire sempre identica a se stessa. Così come il Cavaradossi di Francesco Meli non sempre ha saputo imprimere la giusta passionalità: il suo “E lucevan le stelle” è stato eseguito in chiave eccessivamente intimistica senza acuti tondi, a voce piena, intrisi di quel furore conseguente alla consapevolezza di non avere più un futuro.
Ne è, comunque, risultata una Tosca discreta ben diretta da Chailly, con rispetto e devozione per Puccini ed il suo genio innovativo.
Pierluigi Pietricola