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VIAGGIO DI VICTOR (IL) - regia Davide Livermore

Linda Gennari e Antonio Zavatteri in "Il viaggio di Victor" regia Davide Livermore. Foto Federico Pitto Linda Gennari e Antonio Zavatteri in "Il viaggio di Victor" regia Davide Livermore. Foto Federico Pitto

di Nicolas Bedos
traduzione Monica Capuani
regia Davide Livermore
interpreti Linda Gennari, Antonio Zavatteri e con Diego Cerami in video
scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
abiti Giorgio Armani
video maker D-Wok, disegno sonoro Edoardo Ambrosio, luci Aldo Mantovani, regista assistente Carlo Sciaccaluga, assistente alla regia Milo Prunotto
Produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro di Napoli Teatro Nazionale
In prima assoluta al teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena, dal 3 al 19 maggio 2024

www.Sipario.it, 6 maggio 2024

La caratteristica forse più interessante del teatro di Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova, è quella, a mio avviso, di utilizzare lo spettacolo (etimologicamente spectaculum, ciò che deve essere guardato)  come strumento estetico per portare alla superficie nel transito scenico ciò che di profondo in esso, nascondendovisi quasi, vuole essere portato al pubblico.

Lo fa con una sorta di suo particolare teatro 'estroflesso', enfatizzando cioè e quasi forzando artisticamente gli aspetti, ante-drammaturgici ma anche profondamente drammaturgici se vogliamo, figurativi e soprattutto musicalmente figurativi dello scenario (quasi fosse una specie di speculum), tra esplosioni di luci e colori e quella singolare liquidità (amniotica?) della scenografia che è il 'suo' (di lui) caratteristico 'mare' in palcoscenico, fino a 'rischiare' talora anche una equivoca 'superficialità', quando la forza figurativa e sonora di quello stesso scenario a volte può 'distrarre' il pubblico dal filo articolato della parola e del discorso drammaturgico che, per suo tramite, viene generato e 'partorito'.

Il viaggio di Victor, del giovane drammaturgo, regista e attore francese Nicolas Bedos, da Livermore portato in scena in una nuova produzione del suo Teatro Nazionale, più che un viaggio nella memoria è un viaggio della memoria, intendolo cioè come una sorta di sguardo sui suoi (della memoria) influssi esistenziali e psicologici e sui suoi meccanismi speculativi, ma insieme mimetici e difensivi, quando è posta di fronte non solo alla 'tragedia' irrecuperabile e inelaborabile (come ogni tragedia del resto) ma anche al dolore 'ordinario', mi si perdoni il termine, del sentimento della vita come continua e reiterata 'separazione'.

Il plot è semplice, e negli ultimi anni anche utilizzato spesso: un uomo ha perso la memoria a seguito di un sanguinoso incidente stradale. Una donna lo assiste in un luogo indefinito, tra ospedale ed un altrove mentale; insieme completeranno il viaggio fino alla dolorosa e catartica consapevolezza della loro vita condivisa.

La scrittura drammaturgica peraltro, nella interessante e nuova traduzione di Monica Capuano, non è mai retorica o enfatica, ma è per così dire sottile, affettiva e insieme 'ragionevolmente' distaccata (tributo ennesimo al transalpino esprit de finesse), ma non disdegna le esplosioni violente di una aggressività reciproca a mala pena trattenuta ed elaborata, nonché le taglienti ferite di una 'cattiva' coscienza.

D'altra parte se tanta drammaturgia moderna, di area germanica o anglosassone, ha scelto spesso di gettarsi nel freddo e doloroso abisso dell'esserci, quasi in un furioso 'corpo a corpo', l'area latina e francese in particolare ha sempre preferito 'pattinare' sulla lastra di ghiaccio di quell'abisso, gettandovi talora il suo sguardo perplesso e sulla difensiva.

La messa in scena di Davide Livermore sceglie dunque il 'conflitto' come pietra di inciampo, a partire come detto da quello tra la superficie rutilante ed estroversa di regia e scenografia e quella oscura del contenuto narrativo, a riprodurre il conflitto drammaturgico tra la semplicità del reciproco racconto dei due protagonisti e le 'introverse' asperità del suo significare.

In particolare la composizione delle immagini/figure, nella reciproca contrapposizione e sdoppiamento, man mano suggeriscono le “macchie di Rorschach”, come noto utilizzate come test proiettivo proprio per 'estrarre' dal profondo le esperienze rimosse, attraverso un'attività di inconscia comparazione, riferimento e suggestione,

Lo scenario, come detto, colpisce per la sua mimetica 'spettacolarità', sostenuta da una scenografia, curata dallo stesso regista insieme a Lorenzo Russo Rainaldi e illuminata da Aldo Mantovani,   complessa e anch'essa doppia, in una specie di continuo rispecchiarsi del profondo con l'esterno, e riempita dalle sonorità sinfoniche 'disegnate' da Edoardo Ambrosio.

I due protagonisti, Linda Gennari e Antonio Zavatteri, 'vestiti' con eleganza dalla Maison Armani, sono misurati e professionali cogliendo nella loro 'geometrica' interpretazione l'indicazione della parola drammaturgica.

Sono infatti gli stessi movimenti registici e di prossemica ad accentuare quel senso di sdoppiamento che l'intero procedere drammaturgico sviluppa sulla scena.

Uno spettacolo di buona fattura per concludere, in ogni suo aspetto. Alla prima la partecipazione del pubblico è stata da sold out. Molti gli applausi a tutto il cast.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Sabato, 11 Maggio 2024 08:47

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