Musica Franz Lehár
Operetta in tre atti
Testo di Victor Léon e Leo Stein
Direttore Constantin Trinks
Regia Damiano Michieletto
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
REGISTA COLLABORATORE Eleonora Gravagnola
SCENE Paolo Fantin
COSTUMI Carla Teti
LUCI Alessandro Carletti
MOVIMENTI COREOGRAFICI Chiara Vecchi
PRINCIPALI INTERPRETI
BARON MIRKO ZETA Anthony Michaels-Moore
VALENCIENNE Adriana Ferfecka
HANNA GLAWARI Nadja Mchantaf
CONTE DANILO DANILOWITSCH Paulo Szot
CAMILLE DE ROSILLON Peter Sonn
RAOUL DE SAINT-BRIOCHE Marcello Nardis
VICOMTE DE CASCADA Simon Schnorr
BOGDANOWITSCH Timofei Baranov *
SYLVIANE Rafaela Albuquerque *
KROMOW Roberto Maietta
OLGA Irida Dragoti *
PRITSCHITSCH Andrii Ganchuk *
PRASKOWIA Sara Rocchi *
NJEGUS Karl-Heinz Macek
* dal progetto "Fabbrica" Young Artist Program del Teatro dell'Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro La Fenice di Venezia
Roma, Teatro dell'Opera di Roma dal 14 al 20 aprile 2019
Che resta della Vedova allegra nella regia di Michieletto? La vedova. I suoi soldi. Lo stato di Pontevedro. Ovviamente, i personaggi dell'operetta di Lehár. Il resto: via. Gli scenari originari poco convincevano il regista. Il quale ha così pensato di ambientare le vicende di Hanna e Danilo in una banca. Un credito cooperativo dove ognuno deposita i propri risparmi. In tal modo, le schermaglie amorose, splendida metafora delle acrobazie diplomatiche compiute fra Stati in perenne competizione fra loro, sfumano cedendo il posto a siparietti da musical o da café chantant.
Cimentandosi con l'operetta, le intenzioni di Michieletto sarebbero quelle di mantenere viva l'ironia del genere e di giocare anche con elementi meta-teatrali. Così, prima ancora che il sipario si apra, ecco entrare in scena Njegus, portaborse della banca e deus ex machina che assurge a simbolo dell'amore. A lui si debbono incontri, affetti, infatuazioni, vicende più o meno intrigate. Un modo per rendere l'operetta meno prevedibile e scontata – secondo Michieletto.
Togliendo l'ambasciata a favore della banca – operazione analoga all'eliminazione della locanda nella sua versione del Viaggio a Reims –, il giovane regista veneto intende porre l'accento sull'egemonia finanziaria che predominano l'Europa e l'Occidente del nostro tempo. Dove sono i mercati a decidere le sorti dei cittadini, del loro lavoro, del loro benessere. In tal modo la vedova Hanna assurge a metafora dei tanti speculatori ora in circolazione, le cui risorse fan gola a chiunque. Non v'è Stato che non necessiti di finanziamenti cospicui per non finire in bancarotta e rinverdire le sorti della sua economia interna. Per questo il direttore Zeta cerca di combinare il matrimonio fra il pigro Danilo e Hanna: affinché quest'ultima depositi i suoi averi nelle casse della banca di Pontevedro, così evitando il dissesto dello Stato.
Fra dialoghi che intermezzano le varie arie, can-can, boogie-woogie, ambientazioni da fine anni Cinquanta, Michieletto non dipinge una società da belle époque dove l'ipocrisia è stemperata in un'apparenza d'impeccabile eleganza. Bensì una dolce vita in cui lascivia, spensieratezza e agiatezza da boom economico regnano sovrani. E l'ironia, la raffinata severità tipiche degli artisti del Finis Austriae nel criticare il mondo in decadenza cui appartenevano: dove sono?
Discreti e non del tutto efficaci gli interpreti. Nadja Mchantaf (Hanna) ha conferito al suo personaggio movenze da donna vezzosa e pettegola. Paulo Szot ha interpretato il suo Danilo in chiave vittoriana, rendendolo poco ironico e men che meno giuggiolone. Le vocalità di entrambi: precise, ben intonate ma non ricche di armonici nel passaggio dei vari registri.
Buona la direzione d'orchestra di Trinks in grado di sottolineare l'ironia, il sarcasmo ed i virtuosismi di Lehár. Aspetto, quest'ultimo, positivo in una regia non così entusiasmante nell'intento di voler trasformare l'operetta in un musical moderno.
Ma perché tutto questo?
Pierluigi Pietricola