testo e regia: Massimo Barilla e Salvatore Arena
attore narrante Salvatore Arena
Messina, Horcynus Festival, agosto 2007
MESSINA Non viene mai nominato Ciccio Franco. Né per una volta viene gridato lo slogan “Boia chi molla” in questo appassionante testo ‘70voltesud scritto a quattro mani da Massimo Barilla e Salvatore Arena e interpretato con delicatezza e pudore da quest’ultimo a chiusura d’un nutrito e molto partecipato Horcinus Festival ’07, giusto di fronte a Scilla che una lingua di mare separa da quello spazio elettrizzante e magnetico che è Torre Faro. Uno spettacolo di 75 minuti giostrato da solo da un Salvatore Arena bravissimo, accostabile ormai dopo questa prova a quei “cuntisti” o affabulatori di storie come Marco Paolini, Ascanio Celestini, Marco Baliani, Mimmo Cuticchio, in grado di ipnotizzare qualunque platea e d’interessarla sino ad emozionarla dall’inizio alla fine. Racconta Arena di cinque giovani anarchici reggini in una scatoletta gialla, un piccola Mini Morris in viaggio verso Roma, in quella notte tra il 26 e il 27 settembre 1970, morti in un incidente automobilistico provocato da un camion guidato da due dipendenti del Principe Junio Valerio Borghese, esponente del MSI che stava organizzando in quegli anni un colpo di stato. S’erano interessati questi piccoli Robin Hood a quel treno che si chiamava La Freccia del Sud e che da Palermo saliva a Torino trasportando gente comune come molti di noi e che giunto a Gioia Tauro deragliava per incanto causando una strage con sei morti e settanta feriti. Arena ce li a vedere uno ad uno questi poveri cristi, così come riusciamo a intravedere il desiderio di verità che accomunava questi giovani che in cinque non facevano cent’anni. Una rivolta quella di Reggio Calabria iniziata spontanea tra la gente che si vedeva scippata del suo capoluogo assegnato dai politici d’allora (Misasi, Pucci e Mancini) a Catanzaro e che invece dopo si scoprirà che quella città dello Stretto era inserita in una strategia della tensione, al pari di Piazza Fontana a Milano, la stazione di Bologna, i morti di Avola, il rapimento e l’uccisione di Moro etc.etc. pilotata da un’allenza stretta tra la destra eversiva di Avanguardia Nazionale, la ‘Ndragheta, i Servizi segreti deviati e la Massoneria. Fatti quest’ultimi raccontati da un appassionato dibattito notturno andato avanti sino all’una e mezza, vivacizzato dalla presenza oltre dal duo Barilla-Arena, dal lucido magistrato Vincenzo Macrì, dal professore d’economia Tonino Perna e dal giornalista e scittore Giorgio Boatti.- L’Horcinus Festival ’07, organizzato con molto entusiasmo da Gaetano Giunta, ha avuto ospiti illustri come Vincenzo Consolo e Rita Borsellino, lo stesso Baliani e il figlio di Rossellini, Renzo, e momenti di grande cinema con le riproposizioni dei film di Roberto Rossellini scelti da Franco Jannuzzi e del cinema arabo diretto da Erfan Rashid.
Gigi Giacobbe
Lo spettacolo di Massimo Barilla, al festival della Fondazione Horcynus Orca, fa luce sull'incrocio perverso tra destra, massoneria e malavita che incendiarono Reggio Calabria Messina
È molto bella, bellissima la Calabria vista di notte da capo Peloro, estrema punta settentrionale della Sicilia. Le luci che sottolineano le pieghe dolci delle coste, il faro di Scilla, i paesi che si intravedono fin quasi a Palmi. Non viene da pensare a Locri né a Duisburg, nell'afa calda sotto la luna. Eppure proprio a capo Peloro, si è stabilita una sorta di «capitale calabrosicula», un luogo bello e fertile dove, dietro una spiaggia di giorno affollata, ha preso posto da qualche anno la Fondazione Horcynus Orca. Un omaggio al libro di D'Arrigo che del suo spirito ha fatto iniziativa culturale e politica. Una comunità elettiva di informatici e scienziati, artisti e amministratori, oltre a diverse istituzioni e enti locali, che a fianco all'attività scientifica e ambientale, da cinque anni promuove ogni estate un festival che non rinuncia affatto a interrogarsi sui mali profondi, oltre che sulla bellezza lussureggiante, di questi posti.
Campo privilegiato è stato soprattutto il cinema. E quest'anno ben due rassegne si sono intrecciate da prima di ferragosto fino a stasera. Una di cinema arabo curata dal giornalista iracheno Erfan Rashid; l'altra dedicata ai «confini» curata da Franco Jannuzzi. Ma quest'anno nelle manifestazioni del festival comparivano pure la musica, la letteratura e il teatro. Con la lettura di scritture mediterranee da parte di Marco Baliani, con l'apice dei brani dello Spasimo di Palermo letti davanti all'autore Vincenzo Consolo e a colei che nel libro compare nelle sue vesti quotidiane di farmacista, Rita Borsellino.
Lo stesso Baliani ha riproposto il suo più famoso «cavallo di battaglia», il racconto di Kleist sull'allevatore di cavalli Kohlhaas, che a quasi vent'anni resta non solo un fondamento del teatro di narrazione, ma un racconto appassionante sul diritto e la giustizia, assai utile ancora oggi.
Era un debutto assoluto invece lo spettacolo che è nato appunto tra le due sponde dello Stretto, '70 volte sud della compagnia Mana Chuma con Salvatore Arena protagonista in scena e Massimo Barilla in regia, autori assieme anche del testo.
Come si capisce dal titolo, al centro del racconto c'è quel fatidico 1970 che portò Reggio Calabria sulle prime pagine dei giornali, con una città intera in rivolta perché penalizzata nelle gerarchie regionali da altre città dai più forti padrini politici (la spartizione famosa tra Catanzaro capoluogo e Cosenza sede universitaria); e quindi la scesa in campo della destra alla testa di quel movimento, e quindi l'attentato al treno di Gioia Tauro e gli altri «piccoli» inspiegabili misteri che sotterraneamente collegarono la catena tragica alla strategia della tensione in tutto il paese.
Fatti criminali e mostruosi, appurati da tempo da storici e magistrati, ma ricoperti ancora da una patina di mistero presso l'opinione pubblica. Arena e Barilla hanno scelto di raccontare tutto questo privilegiando piccoli fatti esistenziali, brevi tranches de vie di persone «normali» che in quella strage a puntate si trovarono coinvolti, e spesso vittime, quasi senza sapere perché. Come i passeggeri inconsapevoli del treno fatto saltare sui binari, o ancor più i quattro giovani anarchici che ne avevano scoperto la causa. E poiché non ricevevano risposta al materiale probatorio spedito a Roma, decisero di portarcelo di persona, su una Mini gialla. Che si fracassò in un misterioso incidente sull'autostrada in Ciociaria, seppellendo le loro giovani vite e le prove che recavano a bordo. E naturalmente l'illusione di una giustizia giusta.
Arena racconta tutto questo con una passione controllata, ma con un metodo infallibile che cattura lo spettatore dentro quella nera spirale. Le vite e gli entusiasmi dei personaggi narrati gli stanno più a cuore dei fatti pubblici che andrebbero studiati a scuola. Dove non lo sono, e infatti molti ragazzi ignorano tutto di quella stagione. Il racconto evita la commozione sistematica, e lascia lavorare la ragione mentre la storia si dipana e il puzzle si ricompone. Con l'ausilio di immagini rielaborate proiettate alle sue spalle, e di qualche canzone d'epoca, la parola si allarga a ragnatela minacciosa, con l'unica forza di poterla oggi narrare. Ma sottolineando il bisogno di fare finalmente luce su quell'incrocio perverso di destra, logge massoniche e malavita organizzata che da allora hanno saldato i propri disegni.
Fortunatamente per chi assisteva allo spettacolo, dopo ne hanno parlato fino a tarda notte il procuratore antimafia Vincenzo Macrì, Tonino Perna e Giorgio Boatti. Una grande lezione, che dava spessore e fondamento alla teatralità e al coraggio civile dello spettacolo.