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ARTEMISIA, RITRATTO DI PITTORA - regia Sandra Collodel

Dario Guidi e Sandra Collodel in "Artemisia. Ritratto di Pittora" Dario Guidi e Sandra Collodel in "Artemisia. Ritratto di Pittora"

Sandra Collodel
di Valeria Moretti
con Dario Guidi
Scenografia Fabiana di Marco
Costumi Esseccì
Musiche John Clouds
Organizzazione Teresa Rizzo
Ufficio stampa Cinzia d'Angelo
Ideazione e messa in scena di Sandra Collodel
Roma, Teatro Flaiano – Roma dal 10 al 13 ottobre 2019

www.Sipario.it, 12 ottobre 2019

L'uomo è l'unico animale al mondo che ha consapevolezza della morte, sosteneva Umberto Eco; e per questo racconta: per colmare quell'assenza di cui, prima o poi, sarà vittima. Parole che riaffiorano alla mente dopo aver visto lo spettacolo Artemisia. Ritratto di Pittora di Valeria Moretti, interpretato da un'istrionica e misurata Sandra Collodel nei panni della celeberrima figlia di Orazio Gentileschi.
Appena calano le luci nell'accogliente platea del teatro Flaiano, ecco su uno schermo apparire, dapprima pian piano e poi a velocità sempre più vertiginosa, alcune delle opere più celebri di Artemia Gentileschi. Man mano che le riproduzioni si succedono, una voce fuori campo in inglese riassume la vita della pittrice. Poi si ode una donna che batte all'asta per una cifra considerevole un'opera di Artemisia.
D'improvviso il palco s'illumina. La scena riproduce una tipica bottega di pittore del secolo quindicesimo. Da un lato il cavalletto dove viene posizionata la tela. Al centro, leggermente defilato, un tavolo sul quale saranno preparati i colori prima d'essere impiegati per il dipinto. Dopo pochi istanti, Artemisia inizia a parlare: dialoga col suo collaboratore, un giovane ragazzo che ha preso con sé per insegnargli i rudimenti della pittura e, in cambio, costui gli fa da cameriere e aiutante. La Gentileschi figlia – come la chiama Longhi – si mostra subito una donna altèra, colta ma popolare al contempo. Ella ha consapevolezza del suo talento e non perde occasione per rivendicarlo. Se pone mano a un dipinto su commissione, vuole essere pagata il giusto e non di meno solo perché donna.
Ma Artemisia ha un dramma che la divora. Quale? Lo si scopre pian piano nel corso dello spettacolo; ed emerge come un ricordo a lungo soffocato che non può più essere represso e nascosto: la violenza carnale subita da Agostino Tassi, maestro di prospettiva, amico di Orazio Gentileschi. Episodio che causò alla pittrice un processo dalla Santa Inquisizione, con relativa tortura della Sibilla, dal quale uscì innocente. Artemisia fu poi obbligata a un matrimonio riparatore per salvare la dignità perduta in quanto iniquamente deflorata e a trasferirsi da Roma a Firenze.
Vicenda tragica, dolorosa, che Sandra Collodel rende con una recitazione equilibrata che si barcamena fra un dolore espresso attraverso un silenzio pieno di dignità che mai cede al pianto, e un desiderio di affermare la propria dote artistica a dispetto di pregiudizi e limiti imposti dalla società d'allora.
Afferma la Collodel che per lei Artemisia è folgorazione. E della pittrice ella ne ha fatto un lampo, che appare per poi defilarsi subito dopo, affidandosi ad un'interpretazione che invece di scendere nel buio d'un'anima lacerata, provata, umiliata, ha preferito guardarla dall'alto immaginando l'intensità di quel buio: più tetro e denso di quello di Caravaggio, reso da una grana di voce e una ritmica verbale ricche di sfumature, ambiguità, dolcezza, illusioni e sogni destinati a non realizzarsi mai.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Sabato, 12 Ottobre 2019 10:32

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