tratto da Zio Vanja di Anton Checov
elaborazione drammaturgica Antonello Antinolfi e Francesco Leschiera
regia Francesco Leschiera
con Sonia Burgarello, Ettore Distasio, Alessandro Macchi, Matteo Ippolito, Giulia Pes
scene e costumi Francesco Leschiera, Alice Manieri, Chiara Bartali, Alice Francesca Sabbadini/Mentozero
luci Luca Lombardi
assistente regia Edoardo Visentin
scenografie digitali Dora VisualArt
elaborazioni e scelte musicali Antonello Antinolfi
produzione Teatro del Simposio in collaborazione con Manifatture Teatrali Milanesi
Teatro Litta, Milano, dal 14 al 20 novembre 2016
La fatica di cambiare nello Zio Vanja di Checov
Diciamo subito che la scenografia rappresenta il punto di forza prevalente in Beyond Vanja. E di questo dobbiamo dare merito alle interessanti e originali scelte del regista Francesco Leschiera. Ma facciamo un passo indietro. Entrando nella Sala Cavallerizza siamo introdotti in uno spazio informale dove l'assenza del palcoscenico è sostituita dalla vicinanza o meglio dall'integrazione del pubblico nell'impianto scenico. Un tappeto di foglie autunnali è calpestato dai nostri piedi, un'altalena quasi ci sfiora e un colorato orologio a muro è di poco sopra le nostre teste. E se non fosse per dei pannelli di plastica trasparenti che ci dividono dal centro della scena, ma che saranno oltrepassati dagli attori che si avvicineranno a noi (altro elemento innovativo), quasi ci troveremmo seduti a un tavolo accuratamente apparecchiato attorno al quale poi si svilupperà la storia. In proposito, diciamo che, senza i pannelli e con il tavolo posto orizzontalmente e non verticalmente, l'impatto visivo sarebbe stato ancora più forte di quello che già era, ma sono inezie. A una scenografia così strutturata, si aggiunge un forte odore di incenso che riveste di un significato religioso gli oggetti scenici. Metaforicamente il tavolo potrebbe essere un altare, l'orologio assomiglia a quello di una chiesa che scandisce il tempo lento di una provincia e le foglie secche ci ricordano l'ingresso boscoso di un cimitero.
In questa atmosfera cupa scorrono le vite monotone di Zio Vanja e di sua nipote Sonja. Saranno la giovane Elena accolta in casa perché seconda moglie del professor Serebrjacov, marito della defunta sorella di Vanja, e il medico Astrov a sconvolgere gli equilibri esistenziali dei due. Vanja si innamora di Elena e Sonja perde la testa per il medico che nutre anche lui un amore per Elena ma in questo caso non corrisposto. Da queste passioni nascerà un clima incandescente e insostenibile che metterà a dura prova il carattere degli abitanti di quella casa o di chi vi passa. Soltanto una ferma e irrevocabile decisione di Serebrjacov obbligherà tutti i personaggi a fare i conti con il proprio destino.
"Beyond Vanja" contrappone due mondi distanti fra loro: quello ordinato della borghesia e fatto di duro lavoro e quello disordinato dell'eros. Zio Vanja e il medico Astrov incarnano bene il primo mondo con la loro vita che segue schematicamente il trascorrere inesorabile del tempo verso, forse, una salvezza conquistata con il sudore della fronte come suggerisce e giustificherebbe il clima clericale della messinscena. Elena, invece, è la passione a cui non si può dire di no con la sfortuna, però, che anche la ragazza è trattenuta dalle remore borghesi e da un rispetto frenante e più o meno sincero verso il marito che condizioneranno l'esito delle azioni dei suoi spasimanti. La povera Sonja forse non appartiene a nessuno dei due mondi lasciandoci immaginare il suo amore per Astrov colorato di purezza, più trattenuto, più regolato, più moderato. Insomma più razionale e più borghese. L'amore di Sonja per Astrov è un compromesso fra i due mondi? Quello che è certo è che alla fine vince l'ordine. L'eros ha fatto irruzione ma poi si è ritirato. Vince la sicurezza della civiltà sulla possibilità di essere felici come ci spiega Marcuse in "Eros e civiltà". Vince "La nausea" di Satre a cui tutti noi, forse, siamo condannati.
"Beyond Vanja" ci ripropone, attraverso un riadattamento dello Zio Vanja di Checov che a volte risente di qualche strappo drammaturgico e di un insieme non completamente organico che si riflette anche sulla recitazione, uno specchio in cui possiamo vedere riflessa la nostra incapacità o non volontà di essere felici. Può essere una gradevole presa di consapevolezza perché è difficile dirsi la verità. Ma almeno abbiamo la possibilità di cambiarci, di reinventarci per diventare migliori. Almeno possiamo provare. E poi sia quel che sia. Ce lo dicono i personaggi di Checov con i loro tentativi di cambiamento esistenziale, in quel caso falliti perché così aveva deciso lo scrittore russo nell'interpretazione di una borghesia perdente di fronte al cambiamento, ben interpretati dagli attori su cui spicca la leggerezza di Sonia Burgarello. La regia fa il resto. Ma di questo abbiamo già detto all'inizio della recensione.
Andrea Pietrantoni