Costumi Alessandra Berardi, Regia e scenofonia Roberto Tarasco,
Produzione Nidodiragno
con Francesco D'Amore, Luciana Maniaci,
Sala Luadamo, Messina dal 22 al 24 marzo 2013
"Biografia della peste" alla Sala Laudamo di Messina.
Avevamo lasciato Francesco D'Amore e Luciana Maniaci un paio d'anni fa alla Sala Laudamo di Messina vaticinando che con Il nostro amore schifo erano nate due nuove stelle del mondo teatrale. Adesso i due artisti, cui piace giocare sui propri cognomi formando il gruppo teatrale "Maniaci d'Amore", hanno presentato, sempre nello stesso spazio, con regia e scenofonia di Roberto Tarasco, costumi di Alessandra Berardi e assistenza tecnica di Agostino Nardella, Biografia della peste: una storia grottesca, scritta e interpretata da loro due, nel Paese dove la morte è incerta e parziale. O meglio, una fiaba a tinte fosche che questa giovane coppia, (lui del 1985 di Bari, lei del 1983 di Messina) - alla maniera quasi di tante intriganti coppie teatrali delle "Cantine Romane" degli anni'60 raffigurate da Leo De Berardinis e Perla Peragallo, Manuela Kustermann e Giancarlo Nanni, Carlo Quartuccio e Carla Tatò, Carmelo Bene e Lydia Mancinelli (a fase alterne quando lei non veniva presa a cazzotti da lui) e certamente ne dimentico altre - cerca d'imprimere un segno nuovo, muovendosi nei labirinti d'una scrittura scenica surreale, stregata, visionaria, forse solo sognata, d'un qualcosa insomma che non possa essere ascritta nel tran-tran della aurea mediocritas. Bisogna dire che in buona parte i due "Maniaci d'Amore" riescono nel loro intento, anche se in questo loro spettacolo hanno esagerato un po' in eccesso, mettendovi dentro un'infinità di references, individuabili in alcuni film d'animazione dell'ultimo decennio come Nightmare before Christmas diretto da Henry Selick, ideato e prodotto da Tim Burton, costui poi regista de La sposa cadavere o come Coraline e la porta magica, un horror/fantasy diretto sempre da Selick e tratto dal racconto di Neil Gaiman e illustrato da Dave McKean. Film che si sommano ai vari Harry Potter e Signori degli anelli, diventati famosi nel mondo della letteratura e del cinema fantasy, giusto per consolare o dare delle risposte a quei tanti miliardi di persone sui misteri della vita e della morte, delle arti arcane e magiche e cosa può esserci dopo che non si è più di questo mondo. L'inizio di questa Biografia della peste è fulminante. Un giovane un po' spastico e un po' normale di nome Cris, uscendo da un panificio viene investito da una macchina e muore. Nel suo paese Duecampane, abitato da "i quasi vivi", le cose non vanno per il verso giusto. Nessuno più muore e anche l'eterna nemica è sull'orlo del fallimento. La morte è diventata incerta e anche Cris è obbligato dalla madre a dimenticare, a pensare piuttosto al matrimonio con la sua Adelina, a quando si consumerà tutto il baccalà comprato con 300 euro. La scena è occupata solo da una sedia a rotelle e da un frigorifero che diventa poi una tavola imbandita e una comoda bara. In un cambio di scena l'azione adesso assume una dimensione fiabesca quasi da sogno e i due protagonisti si trovano nel mondo de "i quasi morti"in cui domina una curiosa forma di peste. In sostanza coloro che vi abitano restano morti 23 ore al giorno e soltanto due abitanti non sono colpiti dal morbo: ovvero Cris e la madre (quasi come nel mito di Persefone). Nell'unica ora di vita è concesso a tutti i semi-morti di gozzovigliare e dedicarsi ad ogni forma di piacere, di migliorare soprattutto la propria biografia. Le cose si complicano quando Cris dialoga con suo padre, raffigurato da un cavolo all'interno d'una sfera trasparente appesa ad una canna da pesca e quando lo stesso padre, diventando Cris suo ventriloquo, dice che vuole morire mangiato, vittima di sarcofagia, divorato da una ragazza non importa se morta, rintracciabile in colei che in quell'ora di vita, invece che darsi alla bella vita, dormirà tutto il tempo e per questo chiamata "La Vegetale". Personaggio vestito dalla stessa Adelina che in chiusura abbraccerà il suo Cris all'interno di quel frigorifero. Fine e viva l'amore che ogni cosa salva. Uno spettacolo da sballo, pure fatato, attraente come i due giovani protagonisti che con un linguaggio fabuloso riescono a fare ridere e raccontare le cose più terribili, spesso vietate o rimpicciolite dal mondo degli adulti.-
Gigi Giacobbe