Concertato a due per Alda Merini
Alessio Boni, Marcello Prayer,
Art-City 2019, Palazzo farnese, Caprarola (Viterbo) 7 Luglio 2019
"Le più belle poesie si scrivono – davanti a un altare vuoto, – accerchiati da argenti – della divina follia": pochi ma essenziali versi di Alda Merini, che ben fanno capire la cifra della sua creazione, volutamente priva di metafore per lasciare che il racconto della sua vita venisse fuori in tutta la sua cruda sincerità, senza orpelli, senza mistero. Questa la forza della poetessa dei navigli milanesi. Ma al contempo anche la sua debolezza. Eppure è proprio grazie a questo particolare che si possono portare in scena i versi di Alda Merini, felice intuizione avuta da Alessio Boni e Marcello Prayer che da quasi dieci anni propongono, con successo, Il canto degli esclusi.
Pot-pourri di componimenti messi assieme per figure, ricordi, dolori, piccole e sparute gioie, passioni appena confessate: in poco più di un'ora di lettura teatrale, Boni e Prayer hanno dato vita ad una Alda Merini fragile, elegante, distante da quell'immagine burbera cui gli interventi televisivi ci hanno abituati. È l'intimità della poetessa a emergere, i suoi dubbi, i suoi rimorsi, le sue speranze, le sue tribolazioni, le tante ferite subite eppure così degnamente portate.
In una continua improvvisazione jazzistica, i due interpreti hanno inscenato il dissidio interiore che possedeva la poetessa. Scambiandosi di continuo il ruolo del lato oscuro della coscienza e del super-io, entrambi hanno saputo tratteggiare, di Alda Merini, quell'interiorità così sempre crudelmente soffocata.
Alessio Boni ha adottato uno stile vocale luminoso, tondo, ricco di armonici, modulato in modo da conferire corpo e colore alle poesie. Marcello Prayer ha dato voce ai silenzi ed ai fantasmi che hanno abitato la mente della poetessa, provenienti da un mondo parallelo di cui s'avverte la presenza ma non se ne scorgono i confini da valicare.
Bravissimi, entrambi gl'interpreti, a non sovrapporsi mai, a rispettare le parti di ciascuno. Una lettura teatrale intessuta su un tacito senso del ritmo e sull'ironia.
Aspetto, quest'ultimo, poco noto della Merini, ma che Boni e Prayer hanno saputo rappresentare. Non solo leggendo, in conclusione, alcuni suoi aforismi sulla fede e sulla sua persona, ma cercando di non accentuare i toni drammatici, rendendoli con quella giusta dose di rispetto e intelligenza che in arte si chiama leggerezza.
Ecco l'altare vuoto, gli argenti della divina follia, quella pace dai cui silenzi è possibile dar vita, per la Merini, alla poesia. Elementi che possono passare inosservati alla sola lettura dei suoi versi. Ma che in teatro, con la giusta misura e l'equilibrio nei tempi recitativi, sfolgorano luminosi.
"Vi prego, trattate la mia anima con attenzione" recitava il Sacramozo di Hofmannsthal. Principio attorno al quale Il canto degli esclusi e pian piano venuto crescendo, dando vita non solo ad una lettura teatrale, ma ad una bellissima pagina di poesia, consentendo ad Alda Merini di non maledire più il suo canto perché scesa nel limbo a respirare l'assenzio di una sopravvivenza negata.
Pierluigi Pietricola