testo e regia Marianna Esposito
scenografie Stefano Zullo
con Liliana Benini, Alessandro Cassutti, Marianna Esposito, Annalisa Falché, Karun Grasso
assistenza alla regia Diego Paul Galtieri
produzione Compagnia TeatRing
in collaborazione con Mamimò Teatro Piccolo Orologio
con il patrocinio di Milano Loves You e GARIWO
Teatro Elfo Puccini - 23 settembre 2019
La notte in cui tutti i teatri sono pieni. Nonostante si continui a parlare di crisi artistica, di mancanza di fondi e di altrettanti fondi ormai toccati ed ampliamente raschiati ogni notte è la notte in cui tutti i teatri sono pieni. Se provvisto di una sufficiente educazione artistica e privo del ripudio per la pratica da palcoscenico, ciascun essere umano ha qualcosa da ricercare a teatro. Qualcosa di cui ha nostalgia, qualcosa che non conosce ma sa di avere, qualcosa che conosce ma che gli fa paura. E così, anche il senso unico con cui prima guardava il mondo esplode in una raggiera di direzioni. È quindi immediato uscire dai propri confini o, almeno, trasformare il San Daniele, che si sfoggiava come tenda sopraccigliare, in Pata Negra, Eisleker o Jambon d'Ardenne. Lo spettacolo presentato al Teatro dell'Elfo, nella data unica del 23 settembre, "Come se non fosse un fulmine", di TeatRing (fondata da Marianna Esposito), segue questo percorso di sensibilizzazione. La compagnia, nata del 2004, aveva già presentato, sempre nella stessa sala, il suo "Dr. Jekyll e Mr. Aspie" su tutti gli uomini sbagliati, o meglio: che si sentono tali, intrappolati in un'aliena routine. Pezzi mancanti di un puzzle già completo. Frammenti variopinti di un film in bianco e nero. L'esistenza gemellare di Samuel in un sottile confine fra il verismo dei Malavoglia e la sindrome di Asperger. La nuova drammaturgia di Esposito parla invece di uomini giusti per dire "giusti", che incarnano il concetto di correttezza sebbene fuggano dal lex dura lex. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi! Diceva quello. La giustizia, l'arte, la bellezza: sono categorie Frankenstein, vive ma di difficile controllo. Chi stabilisce che uno schizzo su tela sia una vera opera d'arte? Che la bellezza sia oggettiva? Che cosa sia giusto e cosa sbagliato? Sono forse domande che hanno lo stesso senso dell'albero che cade in un bosco ma nessuno lo sente. Fa rumore oppure no? Mettere di comune accordo qualche miliardo di persone non è facile soprattutto perché la matassa della contraddizione è un preinstallato indissolubile nei congegni umani. Lo spettacolo, insomma, invita a riflettere, documentarsi, a scansare le certezze. Lo sforzo di parlare dei Giusti, ingiustamente non annoverati nei manuali di storia, viene apprezzato dal pubblico che risponde con un grande applauso. Allo spettacolo si riconosce la citazione di personaggi secolari come querce e lo stimolo alla documentazione. Impostato come un intreccio atomico di storie che nascono, si evolvono e prendono forma, il processo più interessante, forse perché imprevedibile, è la risoluzione. È il pubblico protagonista che sale sul palco per presentare e mostrare i volti di uomini e donne finora soltanto citati in recitazione. Rita Atrìa, figlia dell'omonimo boss mafioso, decise di collaborare con la giustizia; Miep Gies collaborò a nascondere la famiglia Frank e custodì il diario di Anne; Pietro Bartolo, responsabile di primo soccorso ai migranti a Lampedusa dal 1992. E ancora Etty Hillesum, Gino Bartali, Khaled al-Asaad, Irena Sendler, Dang Thùy Trâm, Luz Long, Milena Jesenskà. Perché gli eroi non nascono tali: l'allele dell'eroismo non è ancora stato identificato. Esseri umani normali come chi, un giorno, ha deciso di acquistare un biglietto in cambio di un paio d'ore di svago. E forse anche chi decide di ricordarsi degli eroi lo diviene automaticamente. In questo senso l'operazione drammaturgica si avvicina a "Noi siamo tempesta", raccolta di storie di Michela Murgia, in cui l'eroe non è più solitario nella sua missione bensì è la maggioranza a portarla avanti. La performance, in questo senso, centra in bersaglio: lo spettatore sicuramente si sente più ricco dopo la visione. Ciò che manca, tuttavia, è un'accuratezza registica e un percorso attoriale delineato, fattori fondamentali per far esplodere la scena che, in certi frammenti, resta in superficie. L'idea di usare un ensemble di microfoni, come parte pregnante della scenografia mobile, è interessante, per queste storie senza voce, ma pareva troppo trattenuta. Di "teatro urgente" parla Marianna Esposito, "come urgente è ricordare a tutti che la scelta individuale ha un peso enorme nella costruzione del futuro comune". La speranza è che il lavoro su "Come se non fosse un fulmine" continui in modo da far brillare questi eroi senza memoria, che il loro timbro esista nelle menti umane a prescindere dal vaglio drammaturgico.
Giovanni Moreddu