basato sui testi di Dieter Roth
regìa di Christoph Marthaler
con Liliana Benini, Magne Håvard Brekke, Olivia Grigolli, Elisa Plüss, Nikola Weisse, Susanne-Marie Wrage
scenografia di Duri Bischoff
costumi di Sara Kittelmann
sound design di Thomas Schneider, musiche di Bendix Dethleffsen
luci di Christoph Kunz, drammaturgia di Malte Ubenauf
produzione di Schauspielhaus Zürich
in coproduzione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Nanterre-Amandiers – centre dramatique national,
Bergen International Festival, Théâtre Vidy-Lausanne und International Summer Festival Kampnagel, Hamburg
Teatro l’Arena del Sole, Bologna, 31 ottobre 2021
Dopo aver visto Das Weinen (Das Wähnen), di Christoph Marthaler viene voglia – forse a sproposito – di scomodare Martin Heidegger quando scrive «Il linguaggio è la casa dell’essere». La traduzione del titolo è «Il pianto (il pensiero)». Ciò che va in scena è pensiero che si fa corpo e al tempo stesso pensiero sul corpo sezionato, franto, parcellizzato. Che cosa succede in quella farmacia in cui si muovono con sfrontatezza cinque farmaciste e un possibile cliente? Le medicine sono ordinate negli scaffali per argomento: stomaco, occhi, respiro, intestino. La più anziana entra, mette un disco sul giradischi con fare sorpreso, poi ad un certo punto tutte insieme intonano «Lacrimosa» del Requiem di Mozart e finiscono col muoversi al ritmo del ticchettio delle biro, preparando la farmacia prima dell’arrivo dei clienti. Improvvisamente entra un uomo, si pesa, sta in attesa di essere ascoltato, ma viene portato via come se fosse una sagoma cartonata… In farmacia si distillano la vita, i suoi riti quotidiani e tutta l’ambivalenza dell’esistenza mediata dal linguaggio.
In quella farmacia è un diluvio di parole, parole che appartengono al poeta ed artista Dieter Roth che il regista svizzero non solo ha conosciuto, ma di cui si è fatto per passione divulgatore della sua opera. Ma Das Weinen (Das Wähnen) non è uno spettacolo su Roth, è qualcosa d’altro, è la prova delle controindicazioni da bugiardino in cui si rischia di incorrere, se si decide di scardinare il linguaggio, di andare in cerca della parola segreta, del suono che riecheggia nell’anima e che dice più del significato. E se il linguaggio fosse corpo, se il suo significante corrispondesse alle parti di quel corpo che sono solo brandelli da curare con farmaci col rischio di effetti collaterali? E se del corpo si fosse perso il significato?
Che cosa fanno quelle farmaciste mentre mettono a posto scatole di medicinali nei diversi scaffali? Si interrogano sull’entità del corpo che parla e sugli effetti collaterali di quei medicinali che insistono su parti di corpo, ma ne dimenticano l’insieme: «a causa di una diffusa resistenza ai principi attivi in tutte le zone del corpo umano dei prodotti a voi prescritti così come di tutti quelli disponibili in questa farmacia, hanno efficacia ormai soltanto: gli effetti collaterali», dicono con gusto del paradosso. Forse Marthaler mette in scena gli effetti collaterali di un linguaggio – mutuato dalla poesia di Dieter Roth – che chiede di essere apprezzato per il suo valore prismatico, per ciò a cui allude e per ciò che sbeffeggia. E non è un caso che l’uomo in abito blazer continui a ripetere: «Prendi una cosa e mettila su una cosa», in un accumulo senza fine, come quello che accade in farmacia: accumulo di sostanze, farmaci per tutto e per tutti che salvano e guariscono fino all’insignificanza. Reificazione del corpo, reificazione del linguaggio, sberleffo verbale… si ride per l’apparente non senso di situazioni che vengono ripetute, con minime variazioni comicissime, si apprezza la bravura dei sei interpreti che sono corpi al servizio del ritmo drammaturgico e scenico, oltre che della voluntas del regista. Liliana Benini, Magne Håvard Brekke, Olivia Grigolli, Elisa Plüss, Nikola Weisse, Susanne-Marie Wrage sono macchine da guerra, prestate al pensiero del regista svizzero.
Eppure per Das Weinen (Das Wähnen) si crede possa valere quanto dicono le farmaciste: «è l’indefinito dietro l’orizzonte che mi fa così indefinito, oppure sono io a fare la cosa dietro l’orizzonte indefinita (come sono io)?». In questo orizzonte sta l’interrogarsi delle farmaciste sul testo e sullo spettacolo che può andar avanti, malgrado il testo sia finito e così sarà. In questo orizzonte sta anche l’etica della professione del farmacista poi disattesa dallo svuotamento degli scaffali della farmacia al ritmo del Lacrimosa, mentre il cliente in blazer rientra vestito di un camice bianco con sandali portando la croce luminosa della farmacia… un Cristo immolato sull’altare della scienza farmaceutica, immolato sull’altare del linguaggio che significa nella sua apparente assurdità.
Si esce frastornati da Das Weinen (Das Wähnen) istintivamente (come si è fatto in questa sede) si cerca una narrazione, che forse non c’è perché non è l’orizzonte in cui si muove il teatro di Marthaler, il suo orizzonte è una linea divorata da una creatività che ci sbeffeggia nella nostra sicumera scientista per dirci che il linguaggio è la casa dell’essere e il linguaggio di Marthaler non accetta categorie assolute, chiede la vertigine: « Hai le vertigini e sbandi, cadi, cadi giù, sì, non solo realizzi una caduta all’ingiù, ma anche, sì, una caduta all’insù! Tra tutte le cadute, quella nuova, sì, no, tra tutte le cadute deve essere la più nuova, non può essere una caduta vecchia e neppure una caduta all’insù, ma sì allora deve essere una caduta cadente, d’altri tempi». È questo il teatro di Marthaler, viene da pensare. Alla fine il pianto del titolo con al fianco l’invito al pensiero si traduce in un lungo e caloroso applauso di un pubblico che pian piano è entrato in quella farmacia che mette in crisi il nostro essere nel mondo, che interroga il nostro linguaggio, insieme a quello del teatro, oppure complice il teatro.
Nicola Arrigoni