di e con Anna Zago
regia: Piergiorgio Piccoli
luci e fonica: Franco Sinico
produzione: Associazione Culturale Theama
Grotte di Borgio Verezzi, venerdì 13 giugno 2025
La seconda edizione della rassegna teatrale In & Out giunge al giro di boa con il monologo Clitennestra in cui Anna Zago, autrice ed interprete, crea un mito su misura per Clitennestra andando ad indagare dentro le pieghe della vicenda di una delle donne più terribili della mitologia. E tante sono le sfumature e i risvolti che la Zago propone al pubblico attraverso un approfondito lavoro, come ci ha raccontato al termine dello spettacolo, in cui ha indagato tutte le fonti del mito, non solo i poemi classici e i tragici (Orestea, Ifigenia in Aulide), ma anche Pindaro, Stesìcoro, la Yourcenar… e che è approdato ad un testo densissimo e coinvolgente. Diciamo subito che l’autrice non intende salvare la tremenda e sventurata sorella di Elena, piuttosto le gira intorno per osservarla e raccontarla da tutti i punti di vista: non a caso, ci diceva ancora la Zago, lo spettacolo originariamente era stato pensato con una collocazione centrale dell’attrice e il pubblico disposto a cerchio tutt’attorno. E dalla vicenda di Clitennestra emergono i frammenti laceranti di un’esistenza perennemente trafitta dal dolore che nasce e si consuma in un amore irrealizzato ed impossibile. La protagonista (nata da un uovo, secondo una versione del mito, e quindi inconsapevole del calore materno), ci appare costantemente frustrata nelle sue passioni di madre (ben due i figli che le vengono uccisi da Agamennone), e di moglie: lo stesso Agamennone ucciderà Tàntalo, suo primo marito, e poi la abbandonerà per partire alla volta di Ilio. Cosa rimane a Clitennestra che si dibatte tra i doveri imposti alle donne, il silenzio, l’accettazione del sacrificio come quando deve assistere all’inganno inflitto alla figlia Ifigenia, cui le si farà credere di andar sposa ad Achille ed invece sarà immolata ad Artemide affinché il vento torni a gonfiare le vele delle navi, perché Troia dev’essere presa d’assedio, perché la guerra vuole le sue vittime preventive. Cosa rimane ad una donna cui è stato sottratto ogni ruolo positivo e naturale se non il lento ed inesorabile passaggio, la trasmigrazione verso l’altro da sé, verso il genere opposto e contrario. Clitennestra allora si fa re di Micene e governa meglio del re e si fa essere ferino e uomo nel rispecchiarsi nel cugino Egisto, dapprima sedotto e poi indotto all’assassinio del marito, Clitennestra, appresa l’arte della dissimulazione e della vendetta, saprà metterla in pratica con fredda e spietata risolutezza. Vittima che diventa carnefice, ma, prima di tutto, vittima, ed è su questo aspetto che la Zago insiste, edificandone l’immagine partendo dalle origini, la serie di angherie fisiche e psicologiche cui viene sottoposta e che, se osservate da diversa prospettiva, spostano il nostro punto di vista verso il côté femminile e fanno emergere l’altro lato del mito il ruolo in cui Clitennestra diventa davvero importante. Ma per realizzare quest’ultima operazione che approccia l’aspetto storico-ideologico, la Zago ricorre ad una soluzione interessante: cancella dal mito la componente divina. Tutto nel monologo parla degli esseri terresti (uomini, animali) e non ascende mai alla dimensione celeste e lo stesso sacrificio finale di Clitennestra (la sua morte per mano di Oreste), chiude il cerchio delle vendette intrafamiliari e sfocia nella dimensione processuale (quella delle Eumenidi di Eschilo), in cui però il figlio matricida viene assolto da un tribunale di uomini (senza la presenza dirimente e ingombrante di Atena). A ribadire che è una faccenda unicamente umana: più ancora che gli uomini e le donne dell’antichità riguarda noi, uomini e donne di oggi che, dopo Nietzsche, abbiamo preso consapevolezza della morte di Dio e della nostra solitudine. Lo spettacolo si apre con una voce fuoricampo intervallato da latrati canini che ci avverte della ferinità di Clitennestra, la «donna faccia di cane», kunopis, ed infatti la vediamo entrare, Anna Zago, con indosso una pelliccia animale e una catena che le cinge il collo. È un morto che narra la sua storia, che si trasforma sotto i nostri occhi: toglierà la pelliccia, indosserà una corazzina dorata quando assurgerà al trono, visiterà le ossa dei figli morti, con un ciocco di legno colpirà un simulacro di Agamennone a simboleggiare l’assassinio del marito tornato da Troia con la schiava-concubina Cassandra. Al termine, Clitennestra si rimetterà la pelliccia canina ed uscirà di scena dopo aver condotto il pubblico all’interno delle tenebre della sua e nostra coscienza, al cospetto del Male storico della guerra e della prevaricazione figlia della Ragion di stato, alla condizione femminile di oggi così simile a quella di ieri e di sempre, ma, soprattutto, problematizza la nostra idea di Clitennestra, sottraendola alla visione tradizionale per restituirle dignità e spessore umani. Il personaggio costruito dalla Zago è infatti un fine raisonneur che segue con lucidità una sua logica umana, non la logica del diritto, ma quella di una legge che pone l’umanesimo profondo, ancestrale, a tratti ferino, dinanzi alle regole del mondo maschile. Ne emerge un personaggio quasi dantesco, una sorta di conte Ugolino, dannato ringhiante, rabbioso e belluino che, dimentico del divino, ma memore dei figli perduti, rode con «i denti come d’un can forti» il teschio di Ruggieri. Lo spettacolo si è avvalso dello splendido scenario delle grotte di Borgio che hanno donato una forte suggestione alla vicenda drammatizzata trasportandola con naturalezza in un ambientazione infera; a ciò si devono accompagnare gli adattamenti portati in sede di regia e l’uso raffinato delle luci che hanno dato un valore aggiunto allo spettacolo. Il pubblico ha seguito con grandissima attenzione e gli applausi finali, convinti e prolungati, hanno premiato questa suggestiva proposta e il lavoro intelligente di Anna Zago. Mauro Canova