di e con Gene Gnocchi
Rassegna "Comics" al Teatro Stabile di Catania
Sala Angelo Musco 20, 21 novembre 2010
Catania- Gene Gnocchi ha la faccia (tragica) di un etrusco intarsiata nella pietra; in alternativa, di Rustego (arcigno) di Goldoni, di (scaltro) contadino cechoviano, di liberto romano espiantato dalla periferia (fescennina) dell'Impero : serioso, aggrottato, sguardo furfante (cui scappa da ridere), sorrisetto sardonico e indisponente, da lenone plautino. Da cosa nasce la sua vis comica non "innata" ma più razionalmente progettata, allenata, studiata fra specchio e tavolino?Probabilmente dall'enorme –abnorme- scarto che esiste tra la sua maschera facciale ed il tipo di recitazione, di osservazione (precipitazione del reale) che Gnocchi sa proporci. Direi di più: la stragrande maggioranza dei comici, dei dioscuri del cabaret italiano hanno fattezze che prefigurano con onestà di fondo ciò che si accingono a propinarti. Che so? La ribalderia fescennina di Proietti, l'ambiguità un po' "carognesca" di Montesano, il goliardismo segaiolo, da piattola impenitente di Dario Vergassola, il disarmato esserci-e-non-esserci di Paolo Hendel. In ciascuno dei quali al personaggio corrispondono interprete e phisique du role.
Con Gene Gnocchi, l'"inganno" si materializza e ti rende suo complice in corso dell'opra, nel suo strampalato (snobistico) divagare tra freddure e surrealismi, ghigni tragici ed irritati su angolazioni labiali che prefigurano lo sfottò, la presa per i fondelli senza il ricorso ad alcuna volgarità, esagitazione, insulti in pubblico.Le parabole sceniche di Gnocchi –non sarò certo il solo a notarlo- procedono per "slittamenti" di significati, per paradossi goliardici provvisti di lama di rasoio: che non ti afferra alla gola ma ti lavora ai fianchi, quasi ad affettare minime escrescenze del tuo vivere per progressiva accettazione dell'inerzia mediatica, del luogo comune (apatico) di interagire con l'altro."Cose che mi sono capitate a mia insaputa". Quali? Non le immobiliari donazioni o ristrutturazioni cui si è indotti a pensare per via di Scajola e dell'arrembaggio con cui la comicità (un tempo reclutata dal Biscione) attinge a piene mani dal basso impero politico. Più sottilmente, tutta una sfilza di messaggi subliminali che un signore di mezza età (che fa spettacolo perché "non c'è altro lavoro", "perché i tagli allo spettacolo" gli impongono di autogenerarsi la luce di palcoscenico pedalando un ciclò con dinamo) è costretto ad annoverare dopo un responso medico non richiesto, ma di ipocondriache rivelazioni.
La tecnica del disvelamento (comico-paradossale) è di pura marca anglosassone e da "teatro per pochi intimi" : particolare che meglio enfatizza il contrasto tra viso terragno ed éspit d'arguzia. Dalla ricognizione maniacale, ma veridica, del quotidiano assalto di veline, pubblicità, tende di Gheddafi che somigliano a condomini si evapora in un limbo di freddure, di "paradisi in 3D" dove è Ratzinger a venirti a bussare al citofono (come un qualsiasi Andrea Rivera) perché la papamobile è in doppia fila; e dove Rocco Siffredi ti offre di fargli da controfigura perché il membro gli è stato "decapitato" dal ciack; e la mozzarella acquistata ad Hollywood è pù"economica, saporita" poichè fortificata da strambi calcoli di fusi orari e orologi che "recuperano" il tempo. Tutto può succedere: dovessimo aiutare Obama perché è dal tempo dello sbarco sulla luna che gli americani non pagano il bollo alla navetta spaziale in sosta? Oppure si è costretti a compiacere gli sponsor piroettando buffe contorsioni darvish? Sia come sia, Gene Gnocchi suggerisce e non attende consiglio. Appare e si defila da una quinta laterale da insalutato ospite o sulfurea apparizione a inizio del crudele inverno (che ci attende, senza il paraurti del surreale).
Angelo Pizzuto