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CUORE SEMPLICE (UN) - regia Luca De Bei

Un cuore semplice Un cuore semplice Regia Luca De Bei

scritto e diretto da Luca De Bei, ispirato all’omonimo racconto di Gustave Flaubert
con Maria Paiato
scene: Francesco Ghisu
costumi: Sandra Cardini
disegno luci: Marcello Montarsi
Roma, Piccolo Eliseo Patroni Griffi, dal 14 marzo al 22 aprile 2007

Avvenire, 27 febbraio 2008
Il Mattino, 12 febbraio 2008
Il Giornale, 17 aprile 2007
La Repubblica, 2 aprile 2007
Corriere della Sera, 20 marzo 2007
Teatro, una grande Maria Paiato commuove con la purezza della fede semplice di Flaubert

Non è una star, però Maria Paiato (nel suo carnet due Premi Ubu meritatissimi e un Premio Olimpico) è una delle nostre più brave attrici, certo la migliore della sua generazione. Un'artista, la Paiato (classe 1961), in grado di infondere verità e concretezza ad ogni personaggio che affronta. È il turno adesso di Félicité, la docile e ingenua contadina che vive in uno dei racconti più belli di Flaubert Un cuore semplice. Una cronaca lenta, commossa, di alto effetto artistico il racconto del grande scrittore francese (qui ridotto a monologo e diretto da Luca De Bei; è sulla scena del milanese Franco Parenti) dove al centro è appunto Félicité, rozza servente che ha riempito la sua esistenza col devoto attaccamento alla padrona e ai suoi due figli. L'amore per un giovane contadino, che poi l'abbandona, segna la sua giovinezza, poi è l'affetto per un nipote che muore lontano, quindi per un pappagallo che le ricorda i luoghi dove è morto il nipote. La figura della buona ed onesta Félicité assume il senso dell''anima sem- plice' degli occidentali che non reca profonde verità, come è negli scrittori russi, se non quelle del dolore e dell'amore umano. È toccante il finale del racconto. Quando è giunta all'ultimo suo giorno, sul letto di morte le giunge il brusio della processione del Corpus Domini ed è come se, buona cristiana, Félicité partecipasse a quella festa solenne. Il sorriso sulle labbra, nel momento estremo, dice la beatitudine della sua anima. Una visione, insieme con quell'eco religiosa, la consola nel trapasso: un grande pappagallo somigliante al suo Lulù, immagine di fiaba per una creatura, per un'anima senza peccato. È straordinaria Maria Paiato nelle vesti di Félicité. Pulsante di vita vera nel porre gli spettatori di fronte all'umiltà, alla purezza, alla passione: qualità nobili che, quasi per miracolo, l'attrice dà l'impressione di condividere. E per questo la si applaude e quasi si fatica a congedarsi da lei tanto la sua interpretazione ci colpisce e commuove.

Domenico Rigotti

Nel «Cuore» romantico di Flaubert

La sconfitta di Sedan, il crollo del Secondo Impero, l'invasione prussiana, la Comune, la feroce repressione di Thiers... C'è tutto questo dietro «Un cuore semplice», il racconto di Flaubert ora ospitato dal Ridotto del Mercadante nell'adattamento e con la regia di Luca De Bei. E aggiungo subito, e con la massima convinzione, che siamo di fronte a uno spettacolo (lo produce l'Eliseo) d'intelligenza e bellezza rare. «Un cuore semplice» (non a caso scritto in parte per George Sand) è uno - gli altri due sono «Erodiade» e «San Giuliano l'Ospedaliere» - dei «Trois contes», i tre racconti che apparvero nel 1877, tre anni prima della morte dell'autore. Flaubert era stanco, triste e disgustato: e scrivendo «Un cuore semplice», fu come se cercasse una via di fuga, tornando al romanticismo che aveva segnato i suoi anni giovanili, quella prima parte della vita che, in una lettera a Louise Colet datata 27 agosto 1846, aveva definito «passionnée», appassionata, ed «émue», commossa (ma meglio si tradurrebbe intenerita). Infatti, proprio commossa e intenerita è l'esistenza di Félicité, la domestica della quale narra «Un cuore semplice». Nel suo perenne e perennemente inappagato bisogno d'amore, ella prima s'affeziona alla famiglia in cui serve sino al punto di soffocare la propria identità di persona, poi alla Chiesa e infine a Loulou, un pappagallo che, ormai impagliato, nel delirio della morte lei vede volare nel cielo tramutato in Spirito Santo. E lo spettacolo in questione - parlo, insieme, della regia di De Bei e della straordinaria interpretazione di Maria Paiato - un simile quadro non si limita ad illustrarlo, ma, puramente e semplicemente, lo diventa. Lo diventa, innanzitutto, perché riproduce esattamente il «gueuloir», l'abitudine che aveva Flaubert di passeggiare e, contemporaneamente, recitare ad alta voce e talvolta gridare (giusto «gueuler») le frasi delle opere che aveva in gestazione, per verificarne il ritmo e la musicalità. E già la scena di Francesco Ghisu costituisce questa riproduzione: fra il lettino sulla destra (la stasi dell'ideazione), la poltrona al centro (lo spazio della stesura) e l'ampia finestra sulla sinistra (l'apertura verso la comunicazione) s'invera con precisione assoluta la metafora della creazione letteraria rappresentata da Flaubert mentre, nell'eremitaggio di Croisset, camminava, per l'appunto recitando a se stesso i passi del testo che stava scrivendo, sotto i tigli del vialetto che dalla sua casa (l'equivalente del lettino) portava al fiume (l'equivalente della finestra). A sua volta, Maria Paiato si sdoppia nella Félicité che da vecchia parla con la Félicité della vita precedente. Ed è un'ulteriore - e acutissima e lancinante - conferma dell'idea centrale che anima lo spettacolo. La recitazione viene tenuta su un tono costante da basso continuo, che è il corrispettivo del grigiore rassegnato e del dolore tranquillo di quell'esistenza da esclusa; mentre i trilli delle risate, i sussulti della coscienza, i rantoli della disillusione si pongono come una «proiezione» dei guizzi e dei cedimenti (quasi, per l'appunto, proustiane intermittenze del cuore) che agitano la debole fiamma della candela accesa accanto al letto. Ed ecco il miracolo: non distinguiamo più l'attrice dall'autore.

Enrico Fiore

Felicité, una donna triste che vive d’amore e sacrificio

È singolare l'interesse che la nostra scena sta dimostrando nei confronti dei racconti di Gustave Flaubert e no, invece, della sua drammaturgia. È vero, però, che il teatro, tanto amato da Flaubert, gli diede solo delusioni. Il candidato, sul quale egli contava molto, cadde clamorosamente e in Italia fu rappresentato con discreto successo solo da Tino Buazzelli nel 1980, alla vigilia della sua precoce morte. La verità è che il genio di Flaubert era tutto nella narrativa, anche se Il candidato, pur con tutti i suoi limiti drammaturgici, è il ritratto vivo di un modo di far politica che non è per nulla tramontato. A novembre è stato sui nostri palcoscenici il racconto più fortunato con tre allestimenti, ma ora Luca De Bei affronta Un cuore semplice, in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino a domenica e poi in tournée. È il capolavoro di quei Tre racconti che Flaubert scrisse fra mille ripensamenti e con il solito strenuo impegno fra il 1875 e il 1876. De Bei, che lo ha adattato per il palcoscenico, è un autore di grande sensibilità e di una finezza intellettuale rara di questi tempi.
Un cuore semplice è la rappresentazione di una vita qualunque, quella di Felicité, orfana dei genitori, sfortunata nel solo amore della sua vita, che vive tutta l'esistenza per cinquant'anni, fino alla morte, come domestica della signora Auban. Un'esistenza dedicata alla padrona, che presto diventa vedova, ai figli di lei, al proprio nipote, destinato a morire troppo giovane, all'amatissimo pappagallo Loulou e a una fede cristiana vissuta con sincerità e innocenza. Flaubert scrisse una frase per lui inconsueta: «Voglio impietosire, far piangere le anime sensibili, che una di queste sono io». De Bei si è preso qualche piccola licenza, ma ha conservato lo spirito e la poesia di questo «cuore semplice», eppure così capace di amore e di sacrificio. La sua regia ha puntato a rivelare l'interiorità e il meraviglioso candore di Felicité, ma non è riuscita a contenere Maria Paiato che, forse preoccupata di non reggere la scena da sola per quasi un'ora e mezzo, ha colorito il personaggio con toni qualche volta addirittura da commedia e con una recitazione in cui spesso si disperdeva la verità umana del personaggio. Peccato perché la Paiato è, in realtà, una delle poche interpreti in grado di interiorizzare i personaggi e di darcene le emozioni più sottili.

Giovanni Antonucci

Solo un ’attrice immensa può riprodurre la semplicità

Se ci fosse Visconti, un’attrice come Maria Paiato sarebbe ininterrottamente valorizzata in un repertorio classico e moderno, e lei sarebbe – come già lo è per gli intenditori, compreso Ronconi – un mostro sacro popolare, uno scricciolo con la bravura inaudita di Rina Morelli, un’artista comunicantissima all’altezza di ombre dolenti o impulsi radiosi di qualunque tempo. Ora questa teatrante insignita del Premio Ubu per la strenua bravura negli a solo, affronta un altro monologo, la riscrittura–regia che Luca De Bei ha tratto dal racconto Un cuore semplice di Flaubert, ricavandone una sfilza di evocazioni sovrappensiero in schietta seconda persona.
È ovvio che le calzi come un guanto il ruolo dell’istintiva, docile, fantasiosa, spirituale e ingenua domestica Félicité, donna lasciata nubile da un unico uomo, infaticabilmente al servizio d’una padrona e dei figli di lei per mezzo secolo, tutrice amorosa d’un nipote che le muore lontano, accuditrice d’un pappagallo che altrettanto le viene a mancare, e devota a un Dio che infine la chiama a sé immergendola in una trance delirante. Al riparo di luci discrete, e d’uno spazio romito di legni e tendine, il personaggio ripassa le inermi e commoventi stazioni della sua vita. Ma il surplace di eccezionale intensità cui De Bei destina quest’attrice non comune fa infine constatare che abbiamo sentito un exploit suonato solo su una corda, mentre la Paiato è uno strumento anche ben capace di polifonie e di temporali nell’animo.

Rodolfo Di Giammarco

Troppo patetica la serva di Flaubert

Poiché qui, con «Un cuore semplice» del 1876, Flaubert si pone di fronte all' assoluto (ad un'allegoria dell' assoluto), molti ritengono questo racconto il suo capolavoro. È, in ogni caso, un' eccezione alla regola. Il tono del racconto è complesso. «Non è affatto ironico come supponete, scriveva a M.me des Genettes l' autore, ma invece tristissimo e serissimo. Voglio impietosire, far piangere le anime sensibili, poiché lo sono anche io». Sensibile Flaubert? Si direbbe proprio di sì, anche in «Un cuore semplice» mantiene le distanze. Con un tema come quello che affrontava, non vi fosse riuscito, avesse dato campo libero alla sua sensibiltà, sarebbero stati guai. Ecco perché «Un cuore semplice» è così complicato! Ecco perché il suo tono è indecidibile, non si capisce neppure di che cosa parli, al di là delle apparenze: la storia di Félicité, la «servante au grand coeur», quell' ingenua e solitaria serva d' una stessa famiglia per tutta la vita, senza una vita, senza una vita sua. Per Flaubert, che cosa significava raccontare la storia di Félicité? Vi era, nel suo racconto, «pathos, ironia, critica della stupidità, denuncia dell' indifferenza del mondo verso la bontà, inadeguatezza della santità» (Brombert)? Qual è, il suo tono? Ma anche, qual è il suo tema? Poiché compreso nei «Tre racconti», e poiché comune agli altri due, il tema si potrebbe definire quello della santità. Ma il vero tema, il tema profondo (ecco perché parlavo di assoluto) è il dramma dell' autoconsapevolezza. L' uomo pensa, non può non pensare. Ma fino a che punto è consapevole? Nella riduzione del racconto operata da Luca De Bei e resa narrazione-spettacolo da Maria Paiato (foto) al Piccolo Eliseo non vi è traccia, come è naturale a teatro, di questo livello d' esperienza. «Un cuore semplice» vi viene adoperato per il suo offrirsi come ritratto patetico. E chi meglio della Paiato avrebbe potuto in Italia a ciò accingersi? Già questa domanda mostra che tipo di attrice sia la Paiato: ma il suo essere stata incoronata prima attrice dal referendum di Ubulibri è eloquente più sugli elettori che sull' eletta. Non so se inconsapevole, come Félicité; di certo incolpevole, la Paiato è una grande caratterista, difficile pensarla come prima attrice, qualunque cosa ciò significhi. La sua gestualità è ampia. Le spalle ingobbite, alza le mani al cielo, apre le braccia e poi le chiude una dentro l' altra, si passa una mano davanti alla bocca o tutte e due davanti agli occhi, intreccia le dita in grembo (se seduta), leva lo sguardo verso le altitudini. Ma la sua voce, per quanto modulata, piega sempre verso una direzione (triste), in cui gli scatti d' energia appaiono per ciò che sono, tutti di volontà. La voce di Flaubert risucchia dentro di sé quella di Félicité, rendendola bianca, neutra. Quella della Paiato è com' è, nuda, cioè naturalistica e appunto patetica, allegra o triste come la moglie di un eroe risorgimentale.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Lunedì, 12 Agosto 2013 09:44

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