di Nino Martoglio
Rielaborazione in due atti di Nellina Laganà
Regia di Gianni Scuto
Scene e costumi: Giovanna Giorgianni
Musiche: Alfonso Carrubba
Luci: Franco Buzzanca
Con: Nellina Laganà, Vitalba Andrea, Fyulvio D'Angelo, Riccardo Maria Tarci, Raniela Ragonese, Carlo Ferreri, Giovanni Santangelo. Produzione: Teatro Stabile di Catania.
Catania, Teatro Musco dal 12 al 18 dicembre 2014
Nino Martoglio, che le immagini ufficiali ritraggono con un bel paio di baffi folti e attorcigliati alla maniera di Vittorio Emanuele II, fu a cavallo dell'800 e'900 l'arguto cantore della "Civita" di Catania: l'antico cuore della città, ricco di palazzi storici, edifici religiosi, stradine e piazze, dense di motti e detti e testimonianze che fanno parte del proprio patrimonio antropologico. Uomo colto, curioso, intelligente, Martoglio fu regista, sceneggiatore, scrittore e poeta italiano, molto stimato dallo stesso Pirandello che alla sua morte, non troppo accidentale pare, avvenuta il 15 ottobre 1921 allorquando precipitò nella tromba del costruendo ascensore dell'ospedale V. Emanuele di Catania, ebbe a scrivere che "Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch'è il Di Giacomo e il Russo per Napoli, il Pascarella e il Trilussa per Roma; il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native che dicono le cose della loro terra...".- Una terra adesso che Gianni Scuto ha messo in scena al Teatro Musco con lo spettacolo La Centona, lo stesso titolo dell'opera di poesie di Martoglio che conoscono tutti i siciliani e non solo, innestandovi schegge dei suoi lavori più significativi quali A Sonnambula, L'aria del continente, Matrimoniu 'nta la Civita, 'u Contra o Il contravveleno, alternandoli sotto forma di rondeau musicali ai divertenti versi incentrati su personaggi del popolino che vive nei cortili, che ama e odia, che piange e si dispera, nonché alcuni carteggi condivisi con Musco e Pirandello. A differenza della Martogliata di Vetrano-Randisi di alcuni anni fa, in cui il duo palermitano ne faceva uno spettacolo astratto, demartogliando lo scrittore di Belpasso d'ogni suo orpello realista, Gianni Scuto utilizza qui una scena naturalista (quella di Giovanna Giorgianni suoi pure i costumi) tutta case e palazzetti, forse il panorama dell'antica Catania e veste i personaggi con abiti dei tempi andati, spiccando tra loro un doppio D'Artagnan (Carlo Ferreri e Giovanni Santangelo) titolo pure del settimanale "serio-umoristico" fondato e diffuso a Catania dal 1889 al 1904 dallo stesso Martoglio, fustigatore dei costumi e difensore dei poveri, quasi che il duo dovesse ripetere le gesta di giustizia e di amore per il prossimo che si favoleggiavano compiute dal più celebre dei quattro moschettieri di Luigi XIV. E' uno spettacolo godibile di 80 minuti quello di Scuto, molto applaudito alla fine, con il sottofondo dell'aria Casta diva della Norma di Vincenzo Bellini, in cui i protagonisti capitanati da una irresistibile e bravissima Nellina Laganà nei panni d'imbonitrice, massara Prudenza, donna Tana e Cicca Stonchiti, riesce a far rivivere le atmosfere di quei quartieri popolari etnei che riproducono uno scilinguagnolo musicale vivo ancora oggi, sostenuta nei suoi interventi dagli altri validi protagonisti incarnati da Fulvio D'Angelo che veste con molta padronanza il ruolo di Don Procopio, da Riccardo Maria Ricci negli abiti aderenti di Cola Duccio e d'un cocciuto pretore e dalle linguacciute popolane Vitalba Andrea e Raniela Ragonese. Forse per motivi economici, Scuto non ha potuto evidenziare l'aspetto cinematografico di Martoglio cinefilo che dedicò a questa arte parecchi dei suoi non molti anni, producendo per la sua Morgana film di Roma e dirigendo quattro pellicole, oggi andate tutte perdute: Il Romanzo con Carmine Gallone e Soava Gallone, l'avventuroso capitan Blanco tratto dal suo dramma Il Palio i cui esterni vennero girati in gran parte in Libia, quindi Teresa Raquin tratto dal dramma omonimo di Émile Zola, ma soprattutto quello al quale restò legata la sua notorietà, il celebre Sperduti nel buio, dal dramma di Roberto Bracco, la prima opera realista del cinema nostrano, considerata a posteriori da molta critica come antesignana del neorealismo, che ebbe un remake sonoro nel 1947, diretto da Camillo Mastrocinque, con Vittorio De Sica.
Gigi Giacobbe