adattamento di Francesco Niccolini
liberamente ispirato al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra
drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer e Francesco Niccolini
Alessio Bono - Serra Yilmaz
con Marcello Prayer
e Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, ELena Nico
regia Alessio Boni - Roberto Aldorasi - Marcello Prayer
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
luci Davide Scognamiglio
musiche Francesco Forni
Teatro Umberto Giordano - Foggia, 23-24 febbraio 2019
"Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l'atto più bello che si possa compiere", dice Elémire Zolla. E Don Chisciotte pare condividere in pieno. Questo straordinario personaggio della letteratura, questo mito, cui Cervantes fece il dono d'un'ironia capace d'attraversare, fresca e moderna, i secoli, è fonte perpetua di grandezza, intelligenza, leggerezza, profondità.
È un pazzo don Chisciotte? Un visionario, un imbonitore, un turlupinatore? Nulla di tutto questo, e anche tutto questo. Dipende dalla prospettiva da cui lo si osserva.
Per chi si contenta delle facili formule, don Alonso-Chisciotte è uomo da compatire, caduto in malattia per via dei poemi cavallereschi che ha letto con passione e ritenuti – santo cielo! – in odor d'eresia. Egli non è più in grado di controllare le immagini che la sua fantasia scatena. Per chi, invece, non bada a queste convenzioni, il personaggio di Cervantes è un illuminato che non è più vittima dei giochini stupidi e meschini che gli altri vorrebbero imporgli. È anche un eroe? Certo! perché vive miticamente. Don Chisciotte rivive in sé il mito del prode cavaliere, che combatte le ingiustizie dedicando le sue imprese alla donna che ama: la bella Dulcinea. Per questo, è immune dalle influenze della società. E quando gli altri tentano di dirgli che le sue non son che illusioni, egli risponde che gli affatturati son loro, caduti vittime degli incantamenti del mago Sacripante. Don Chisciotte è invincibile, a tutto immune tranne che alla derisione. Lo sberleffo e l'inganno lo feriscono nel profondo. E quando ciò avviene, eccolo deporre armi, liberare Ronzinante, congedare Sancho Panza e avviarsi – spoglio, misero, ma fiero – alla morte.
Di tutto questo, la riduzione teatrale fatta da Alessio Boni tiene conto. Il suo Don Chisciotte è all'insegna del motto di Savinio: "Il teatro è fantasia"; un florilegio di mirabilia e trovate sceniche bellissime: il cavallo Ronzinante (una macchina straordinariamente animata alla quale ci si affeziona), le immagini oniriche che ha l'hidalgo quando si cala nel pozzo (sagome fluorescenti che brillano in uno scenario buio), gli immancabili mulini a vento.
La recitazione di Boni, realistica appassionata e convinta, contribuisce ad evidenziare l'aspetto giocoso, incantato, leggero e profondo di don Chisciotte, sottolineando gli aspetti ironici cari a Cervantes. Il Sancho Panza di Serra Yilmaz, così terragno, indolente, pratico, attaccato agli elementari bisogni, costituisce un controcanto perfetto alla vivacità del cavaliere dalla fantasia vivace.
Questo spettacolo, la cui drammaturgia ha saputo rendere ottimamente le tinte e le sottigliezze d'un capolavoro della letteratura mondiale, affascina e incanta gli spettatori. Al punto che quando l'hidalgo muore – "Son pronto. Mostrami la strada" – e la scena si rabbuia, l'animo del pubblico è preparato a seguire il prode cavaliere, ripetendo fra sé i versi di Calderón: "La vita è sogno? E allora sogniamo anima mia"!
Pierluigi Pietricola