di Carlo Terron
con Silvana Filippelli
Milano, Studio Arti Sceniche 4 ottobre 2018
Passeggiando per il Giardino dell'Eden Eva si lascia andare ad una chiacchierata intima con il suo tentatore e amante serpente. Racconta avvenimenti passati, lamenta le mancanze di Adamo e spera in un futuro migliore.
'Eva e il verbo' è una storia lunga quasi sessant'anni, nasce da un'idea di Carlo Terron, drammaturgo e psicologo veronese, nel lontano 1958. Il monologo di stampo femminista, con interprete Silvana Filippelli, mette in scena problematiche sociali e culturali ancora molto fresche nel nostro Paese.
Come sosteneva Zygmunt Bauman, pensatore dell'epoca contemporanea, "Il nome è importante, non solo per i significati che include, ma perché l'atto di denominare non è un dato tecnico, ma descrive un processo culturale e intellettuale di primaria importanza... Le cose esistono, ma non basta indicarle. Per comprenderle occorre che abbiano un nome", la sua riflessione spiega il motivo per il quale Adamo vieta ad Eva di inventare nuove parole. Il suo non è altro che timore di poter assistere ad un'evoluzione culturale ed intellettuale della donna, considerato da lui come l'incarnazione del sesso debole.
Mentre lui si limita a nominare cose materiali, lei, dallo sguardo meno superficiale, inventa nomi capaci di catalogare emozioni, sensazioni, tutto ciò che di intangibile c'è nell'universo. Terra, sasso e nuvola di Adamo si scontrano con sensualità, passione e adulterio di Eva. La concretezza da un lato e l'astrattezza dall'altro.
Eva rappresenta così non solo la donna, mamma e moglie del Vecchio Testamento biblico ma anche gran parte delle donne del nuovo millennio, oscurate dai propri uomini e private dei loro diritti. La subordinazione della donna è una crepa che ancora non riesce a risanarsi nonostante l'evoluzione della nostra specie. In un mondo perlopiù maschilista dove trova posto la donna?
Eva è una figura senza tempo, ultraterrena, che esiste sia nel passato che nel presente. La sua più che una denuncia è una lezione di vita offerta generosamente alle sue future figlie.
Il vero problema degli uomini, secondo la narratrice, sembra essere la morale, parola ideata da Adamo ovviamente. La morale è ciò che indica cosa è giusto e cosa non lo è, un metro di misura oggettivo incapace di spaziare nella psicologia del singolo individuo. Una condanna troppo superficiale da poter applicare a tutti gli umani. "Ma se Dio fosse donna come avremmo vissuto?" si chiede scherzosamente Eva.
Domande alla quale nessuno sa dare una risposta corretta. Il monologo viene recitato, all'apparenza, con tanta leggerezza e favorisce attimi di risate ma, nel finale, è capace di lasciare un amaro in bocca difficile da mandar via.
Francesca Totaro
Il manifesto di Eva
È rosa il fiocco del secondo 'giovedì d'autore', che ha visto Silvana Filippelli omaggiare Carlo Terron a leggio. A tenerle compagnia le sue immagini definite, prospettiche, vive; che colpiscono il pubblico come la punta di una freccia, intrisa di brillante ironia e amaro risentimento. A rivelarsi è Eva, prima donna in senso stretto, spogliata delle sue fattezze bibliche e prossima ai 70 anni. Un serpente alla sua sinistra che sembra prestarle timidamente attenzione, sorridendo di tanto in tanto. Il paesaggio è puro, l'aria bucolica e la mente, limpida, comincia a macinare le prime parole ed espressioni quotidiane. È Adamo l'oggetto di discussione che, giorno dopo giorno, pare perdere il suo quid paradisiaco. Mostra tutti i segni della vecchiaia, resi ancora più pesanti dalla perdita di una gioventù immortale. "Malattia lerce e maligna" così è definita dalla protagonista che comincia, a sua volta, a conservarne indelebili i tratti. Il feeling va così a scemare e anche fare la bestia a due schiene, ormai, non rientra più tra i piaceri coniugali. Adamo è così sempre più dedito ad altri pensieri ai quali, piano piano, dà un nome. "Gioco" è quello da lei proposto, stroncato subito come inutile e poco serio. E non c'è da meravigliarsi del fatto che abbia scelto di confessarsi, piuttosto che con il marito, con un animale (e con un serpente, per giunta!). Eva è stanca di un compagno che la reputa senza dignità e priva di ambizione. E tutto questo perché non è caduta nell'illusione di essere potente, tanto potente da inventare "la morale". Il principio di Le Chatelier insegna che un sistema tende a minimizzare gli effetti di una perturbazione che lo attraversa. E lo stesso fa Eva. Comincia anche lei a cucire lessemi, scomodi ma inevitabili in quel contesto: menzogna, pudore, gelosia e tradimento. Neanche Dio, verso il quale perde gradatamente fiducia, può essere perdonato. Considerato perverso e maschio, la protagonista esterna la sua necessità di una divinità di sesso femminile per poter essere finalmente capita ed ascoltata. Se inizialmente la relazione comunica lo stesso intelligente sarcasmo dello ioneschiano Delirio a due, in un secondo momento vira verso il binomio Titania-Oberon. La donna trova soddisfazione nell'unica attività che le è concessa ma che, almeno, la rende parzialmente felice: l'educazione dei figli. Scossa dalla morte del suo prediletto, Abele, primo lutto della madre Terra, Eva dà inizio ad una lotta per l'uguaglianza, quella di genere, che si trascina ancora adesso. L'iniziale incrocio fra poesia e stand up comedy amplifica, dunque, dopo ogni riga, il suo lato critico. Una scoperta per il pubblico e una riscoperta per l'attrice che denuncia la supremazia maschile voltandogli le spalle. Il serpente, anche questa volta, tace.
Giovanni Moreddu