di Ada Celico. Lettura di Silvana Filippelli
Milano, Spazio Studio Sipario 17 marzo 2013
La violenza sulle donne è di tragica attualità. Si tratta d'un fenomeno molto complesso e variegato che coinvolge in modi diversi il mondo intero. Repressione imposta da leggi e consuetudini in larghe parti del mondo dove la lotta per l'emancipazione deve sfidare tradizioni secolari. E violenza contorta, variegata, multiforme nel progredito Occidente che proclama un'uguaglianza dei sessi in gran parte, anche se ancora non del tutto, realizzata. Non è sufficiente cambiare le leggi, può non bastare nemmeno la modifica delle opinioni correnti in senso politicamente corretto. La ragione stessa può rivelarsi fragile barriera quando si scontra con patologie che affondano le loro radici in oscure ossessioni arcaiche. L'ancestrale paura maschile della donna, non più tenuta sotto controllo da una superiorità imposta dalle leggi, emerge incontrollabile quando uno stato di frustrazione trasforma in violenza una fragilità che la vanità deve rimuovere a qualunque costo. E si arriva così ai giornalieri episodi di cronaca nera, di maschi respinti che arrivano a uccidere. Ed è solo la punta dell'iceberg, molto più esteso è lo stillicidio di violenza giornaliera che avvelena la vita quotidiana per anni senza trapelare all'esterno per paura di violenze peggiori, per riguardo ai figli, per la pressione dell'ambiente esterno di cui si teme il giudizio, a volte persino per una oscura complicità che si viene a creare tra vittima e carnefice.
Io e le spose di Barbablu di Ada Celico (ed. Mursia) fa parte dell'ampia letteratura creatasi intorno al problema della violenza. E' un'opera di testimonianza basata su una terribile esperienza personale. La storia inizia con un innamoramento ingenuo da ragazzina romantica, continua con il trauma di scoprire un marito violento che offende, umilia, picchia. E prosegue con un lungo calvario sopportato in silenzio per anni per amore dei figli e anche per un senso di vergogna. Fino alla rivolta finale, alla fuga, alla conquista della propria autonomia, ma sempre nel cono d'ombra della paura d'essere punita dal marito con la morte.
Silvana Filippelli ha costruito un collage di pagine significative del testo. L'opera viene così concentrata in un lungo monologo che valorizza il testo evidenziandone sia la trepida messa a nudo emotiva, sia la denuncia concreta degli ostacoli che si incontrano se si imbocca il cammino della libertà. Molto partecipe la lettura che s'immedesima nelle traversie della protagonista anche per il ricordo di episodi drammatici conosciuti per motivi professionali.
Vittorio Tivoli