scritto, diretto e interpretato da Marco Grossi
Roma, Argot Studio, dal 20 novembre al 2 dicembre 2007
in forma di cunto dietro la maschera
A pensarci bene viviamo tutti la stessa storia. Come ricordava Benigni nella lettura del Quinto canto del Paradiso (trasmessa in televisione giovedì), la Commedia è un - poco allegorico - viaggio nell'inferno delle nostre vite, che va inevitabilmente compiuto per arrivare a... sentirsi meglio. Che è come dire che "dal letame nascono i fior" e che conoscere se stessi è sempre l'esplorazione più importante da fare per sciogliere i nodi. Quindi non c'è da sorprendersi se il povero Edipo, che di quei nodi da sciogliere ha fatto una ragione di vita, sia stufo di lavorarci ancora. Soprattutto che si accorge che sta facendo il lavoro tutto da solo, e che gli altri non fanno che metterci sopra il carico da undici.
Un Edipo stanco è il soggetto dello spettacolo di Marco Grossi all'Argot Studio (fino a domani). Grossi è da solo in scena con una maschera sul volto, scatoloni di legno e un paio di feticci. Sceglie anche lui, come altri della sua generazione, di recuperare l'antica forma narrativa del cunto mescolata all'atmosfera pupara per "dire" un mito in chiave contemporanea, e sintetizza in un'ora la tragica storia del re di Tebe. Va subito detto che ha la stoffa di un attore che può emergere (ha trent'anni, è nato a Teramo da genitori napoletani) per sostanza, preparazione, convinzione, energia. Il suo Pulcinella affaticato è il messaggero che deve riferire una storia al suo padrone al termine di una lunga corsa, e che si spertica per farlo nel minor tempo possibile. A volte, però, diventa irritante e rumoroso (l'Argot non perdona, perché lo spazio è piccolo e il suono concentrato). Ripete, ripete, ripete, come vuole la tradizione del "cunto", ma in tutto questo sudore si perde un po' di vista il senso dell'operazione. E allora certo che Edipo è stanco.
Paola Polidoro