di Annibale Ruccello
Interpreti: Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio, Francesco Roccasecca
Costumi: Carlo Poggioli
Scenografia: Luigi Ferrigno
Regia: Nadia Baldi
Consulenza musicale: Marco Betta
Produzione: Teatro segreto Srl
Teatro della Cometa di Roma dal 30 ottobre al 10 novembre 2019
A Napoli non hanno smesso di adorarlo e nel resto del Paese sono in tanti a mettere in scena i suoi testi poetici sulfurei e beffardi scritti in una lingua napoletana, influenzata da quella di Raffaele Viviani, in grado di suscitare ilarità e innescare dei veri e propri drammi. Lui era Annibale Ruccello morto a soli 30 anni nel 1986 sul ciglio d'una autostrada, lasciando con i suoi lavori, diventati cult, un segno indelebile e duraturo. Assieme a Manlio Santanelli e Enzo Moscato ha rappresentato il punto più alto della cosiddetta nuova drammaturgia napoletana perché faceva il blow-up ad una società che si disfaceva sotto il peso d'un populismo galoppante e che si esprimeva "tra la verità del dialetto e la parodia dell'italiano televisivo". Accanto a capolavori come Le cinque rose di Jennifer, Anna Cappelli, non è da meno Ferdinando (Premio Idi per la migliore novità italiana 1985-1986), "il copione più compiuto di Ruccello", secondo Enrico Fiore, oscillante fra il romanzo storico de I Viceré di De Roberto, Teorema di Pasolini, Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Le serve di Genet e per ciò che riguarda il personaggio di Clotilde (è sempre Fiore ad affermarlo) "costituisce una trasparentissima riscrittura della Lèonie della Strada di Swann di Proust". Anche se invero lo stesso Ruccello annotava che "non mi interessa minimamente realizzare un dramma storico...e che accanto a questa lettura più palese e manifesta prende corpo l'analisi e il tentativo fotografico di messa in evidenza dei rapporti affettivi intercorrenti fra quattro persone in isolamento coatto". Raffigurate costoro da Donna Clotilde (una Gea Martire bravissima da non far rimpiangere un'Isa Danieli superlativa cui il lavoro le era stato dedicato) una baronessa borbonica rifugiatasi in una villa d'una non precisata zona dell'area vesuviana, scegliendo d'isolarsi da tutti come segno di disprezzo per la nuova cultura piccolo borghese che si stava affermandosi dopo l'unificazione dell'Italia. Assieme a questa nobildonna, finta malata, che nell'indossare un'ampia sottoveste che si fonde con le lenzuola se ne sta distesa in un lettone provvisto d'ogni leccornia cui può accedere facilmente tirando delle cordicelle che le pendono dall'alto, c'è una cugina povera che l'assiste, donna Gesualda vestita da una splendida e impettita Chiara Baffi in abiti neri, che svolge l'ambiguo ruolo di infermiera-carceriera. Assieme alle due donne fa capolino la figura maschile di Don Catellino (Fulvio Cauteruccio che alterna al napoletano alcune parlate calabresi) un prete coinvolto in vari intrallazzi politici, il cui amore focoso d'un tempo per Gesualda sembra essersi spento, riservando adesso i suoi ardori per il nuovo arrivato che è il finto nipote di Donna Clotilde, Ferdinando, aitante quello di Francesco Roccasecca ma con un filo di voce e non perché affetto da mal di gola ma perché quello era il suo tono, una specie di angelo salvatore o sterminatore che sconvolge la vita degli altri tre. Facendo guarire completamente con le sue quotidiane prestazioni sessuali Donna Clotilde, insediando di continuo Gesualda e non disdegnando le prestazioni di Don Catellino che morirà avvelenato per mano di Gesualda col bene placido di Clotilde. Sembra un racconto pruriginoso di stampo realista o illuminista che, come diceva lo stesso Ruccello "lentamente degrada in un romanzo d'appendice, se non un romanzo vero. E questo degradarsi della forma narrativa va di pari passo con il degradarsi della vicenda e dei personaggi". I quali sembrano perdersi tra odio e desiderio, bramosie sessuali e vendette, sopraffazioni tenerezze e abbandoni, tutti perduti, dannati dentro una storia diversa per ognuno di loro, ma sempre inclemente e perfida. La regia di Nadia Baldi è giocata con buoni ritmi, nonostante le due ore e mezza di spettacolo: la scena di Luigi Ferrigno è corretta e s'illumina di vari colori a seconda lo stato d'animo dei protagonisti. Successo per il cast richiamato più volte sul proscenio dagli applausi del pubblico del Teatro della Cometa di Roma.
Gigi Giacobbe