di Nicola Fano e Antonio Calenda
da William Shakespeare
regia di Antonio Calenda
con Franco Branciaroli, Massimo De Francovich, Valentina Violo,
Valentina D'Andrea, Alessio Esposito, Matteo Baronchelli
scene e costumi di Laura Giannisi
luci di Cesare Agoni
musiche di Germano Mazzocchetti
movimenti scenici di Jacquilne Bulnés
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati, Teatro Stabile d'Abruzzo
al Teatro Sociale di Brescia, 22 ottobre 2019
prima nazionale e al Piccolo Teatro Strehler dal 19 novembre al 6 dicembre 2019
È un viaggio indietro nel tempo quello proposto da Falstaff e il suo servo di Antonio Calenda con Franco Branciaroli nei panni del grasso, spiritoso vecchio cavaliere buontempone sir Falstaff, personaggio shakespeariano dell'Enrico IV e della Bisbetica domata. Lo spettacolo – su drammaturgia composta da Antonio Calenda e Nicola Fano – ha come protagonisti Falstaff e il suo servo, interpretato da Massimo De Francovich che gioca il ruolo scomodo della coscienza o di qualcosa di simile. Il contesto è teatralissimo, è metateatrale: un baule che diventa rifugio sta al centro della scena, simbolo del teatro e delle sue finzioni. Ed infatti il teatro di oltre un quarto di secolo fa capolino nell'impostazione della messinscena. In più punti sembra strizzare l'occhio a certe soluzioni illuminotecniche di Giorgio Strehler e all'estetica di consolidata semantica scenica dello stesso Calenda. Falstaff e il suo servo si offre – per tanto – ad una duplice lettura, meglio fruizione. Da un lato c'è la storia e dall'altro la modalità linguistica utilizzata per narrare quella storia.
In Falstaff e il suo servo la vicenda coincide col personaggio, la drammaturgia è un centone di passi tratti dalle opere del Bardo – anche il celebre prologo dell'Enrico V – che trovano una loro consequenzialità narrativa nel dialogo fra Falstaff e il suo servo che - come nei dialoghi platonici - serve a far uscire l'idea, ad argomentare. E così quello che si delinea è l'immagine di un vecchio crapulone alle prese con la vecchiaia, in cui eccesso e comicità lasciano il passo a un senso di spossatezza e a una certa malinconia di fondo.
Franco Branciaroli in un costume che lo arrotonda oltremisura secondo un'iconografia classica fa del suo sir Falstaff un uomo alle prese con l'età, un uomo che non si dà per vinto, ma che alla fine capitolerà, come tutti, ai dettami della natura e del tempo. Massimo De Francovich è la coscienza inascoltata di quel crapulone, tanto è grosso e goffo Falstaff, tanto il suo servo è secco e raffinato, meglio affilato nell'eloquio e nella mimica. Da tutto ciò fuoriesce un esercizio recitativo e dialogico d'altri tempi, ma condotto con eleganza e misura, misura a tratti eccessiva.
Se questo è il racconto, la forma – come si diceva – richiama il buon vecchio teatro d'altri tempi, quello del rito borgese, del rappresentare la realtà fino al limite della finzione cartonata, in tempi in cui la rappresentazione non aveva che il biancoenero della televisione. Ecco forse ciò che fa Falstaff e il suo servo è proporre con nostalgia e un po' di maniera quel teatro che andava in tv, una televisione che era rito sociale, condivisione, veicolo di trasmissione di una tradizione culturale di racconto che dal teatro in prima serata agli sceneggiati documentava il comune patrimonio letterario di un paese. Ecco a Falstaff e il suo servo è mancato solo il biancoenero.
Nicola Arrigoni