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FEDRA – regia Federico Tiezzi

"Fedra", regia Federico Tiezzi. Foto Luca Manfrini "Fedra", regia Federico Tiezzi. Foto Luca Manfrini

di Jean Racine
Traduzione di Giovanni Raboni
Regia di Federico Tiezzi
Interpreti: Catherine Bertoni de Laet, Martino D’Amico,Valentina Elia, Elena Ghiaurov, Riccardo Livermore,  Bruna Rossi, Massimo Verdastro
Scene: Franco Raggi, Gregorio Zurla e Federico Tiezzi
Costumi: Giovanna Buzzi. Luci Gianni Pollini
Canto: Francesca Della Monica
Movimenti coreografici: Cristiana Morganti
Produzione: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatri di Pistoia, Compagnia Lombardi Tiezzi
Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 14 al 16 marzo 2025

www.Sipario.it, 15 marzo 2025

Appena si entra nella sala del Teatro Vittorio Emanuele di Messina si ha davanti un grande sipario color dell’oro e due piccoli busti classici illuminati ai lati e dopo un po’ un trio di donnine in nero (una è la Fedra di Elena Ghiaurov, le altre due, muovendo enormi ventagli piumati bianchi, sono Aricia di Catherine Bertoni de Laetda e Ismene di Valentina Elia) si esibisce in un numero quasi da cabaret sul proscenio danzando e cantando, quasi sussurrando, un motivo tratto da Les pecheurs des perles di Bizet, lo stesso che solo musicalmente  chiuderà in modo struggente questa tragica Fedra (1677) di Racine secondo Federico Tiezzi nella traduzione di Giovanni Raboni. Quando poi si apre quel sipario dorato si ha quasi l’impressione di trovarsi in una sala museale tutta nera, illuminata da quattro lampadari di cristallo e da faretti direzionali che s’infrangono su altrettanti piccoli busti, dando bella mostra di sé al centro un dipinto di Guido Reni, Atalanta e Ippomene (1618/19), di cui esistono due versioni, una al Museo del Prado a Madrid, l’altra al Museo di Capodimonte di Napoli. La scena di Franco Raggi, Gregorio Zurla e Federico Tiezzi, rimarrà tale per tutti i 120 minuti filati dello spettacolo; verrà sostituito solo il dipinto con una scultura di lupo, quindi con un bonsai in una teca in plexiglass e intorno si noterà un divano dai colori marmorizzati, cambiato poi con una panca imbottita vicino ad un tavolo con sedie verso il finale, in cui comparirà volando magicamente un segmento di neon bianco e gli spazi scenici risulteranno ancora meglio tratteggiati in altezza e larghezza da altrettanti segmenti di neon accesi. Forse la Fedra è l’opera più importante di Racine, (anche se io ci metterei pure l’Andromaca) dove lui gareggia quasi con Corneille a chi possa andare la palma della drammaturgia del secolo XVII. Ma mentre i personaggi di Corneille sono degli eroi, per tutti valga l’esempio de Il Cid, quelli di Racine, raccontati con i versi alessandrini, sono tutti perdenti, travolti da insanabili conflitti interiori - certamente oggi sarebbero buoni clienti per psicanalisti freudiani o junghiani - manifestando una debolezza d’animo e un pessimismo insiti in Racine, che ha  una visione giansenista dell’esistenza, incapace di scegliere il bene e di sottrarsi al destino senza l'aiuto della Grazia di Dio. Occorre dire che rispetto alle tragedie greche e latine di Euripide e Seneca, che vedono Fedra accusare di stupro il proprio figliastro Ippolito, qui, nell’opera di Racine, è la nutrice Enone di Bruna Rossi, con benda nera, quasi da corsara, all’occhio sinistro, a rivelare al re Teseo una tresca inesistente tra la sua seconda moglie e il figliastro Ippolito, accusato di tentata violenza carnale, senza contare che nella sua prefazione Racine confessa che non può e non vuole macchiare un'aristocratica, una regnante, di una siffatta bassezza. Da canto suo Elena Ghiaurov dai biondi capelli, un po’ Marylin un po’ Sharon Stone, appare una Fedra affascinante ricca di glamour, molto brava ad esprimere il suo viscerale amore per il figliastro, ad un tratto mostrandogli il suo seno e lasciando indifferente colui (Riccardo Livermore) che non gliene frega niente di quelle avance. Il giovane infatti mostrando un carattere maturo sembra innamorato solo della sua fidanzata Aricia (Bertoni de Laet) e  non vuole mettere becco nella vita privata di suo padre Teseo, quello di Martino D’Amico che comparirà in lunga palandrana verso la fine, indossando sul viso una sorta di occhiali strani, simili a quelli utilizzati dai dentisti e molto vicini a quelli di alcune forze militari per vedere nel buio della notte luoghi circostanti e probabili nemici, o forse un efficace strumento ottico per non vedere quanto sta succedendo nella sua casa, listata a lutto per il suicidio della nutrice cui seguirà quella di Fedra col veleno. Di foggia clownesca, tutti luccicori i costumi di Giovanna Buzzi, indossati all’inizio da Ippolito e dal Teramene di Massimo Verdastro, suo amico e pure saggio educatore, mentre il nero prevale negli abiti femminili, pure quello indossato da Valentina Elia nel ruolo della confidente Ismene. Spettacolo molto applaudito dal pubblico del Vittorio Emanuele di Messina che Federico Tiezzi riassume così: «È come se, in Fedra, Racine volesse evocare ciò che resta dell’età classica, ricostruendola attraverso reliquie, lampi, frammenti, ma allo stesso tempo ne constatasse l’impossibilità, ne celebrasse la fine. Il risultato è una sorta di requiem allucinato e interiore, mentale e straniante, pieno di dolore e di lontananza.» 

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 16 Marzo 2025 06:08

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