di Carlo Goldoni
regia Lluís Pasqual
con Eros Pagni, Virgilio Zernitz, Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Enzo Turrin, Paolo Serra
scene Ezio Frigerio, costumi Franca Squarciapino
musica originale Antonio Di Pofi, luci Sandro Sussi
Venezia, Teatro Goldoni, 18 e 19 luglio 2007
Milano, Teatro Grassi, dal 9 al 28 ottobre 2007
Teatro Sociale (Brescia), dicembre 2007
Roma, Teatro Argentina, dal 24 marzo al 5 aprile 2009
Luis Pasqual è un esteta. Ma non solo. E' uno dei pochi delfini di Giorgio Strehler che abbia saputo continuarne la poetica senza, per questo, rinunciare a un proprio stile. Infine, è regista capace di traslocare da universi scabri e minimali in tutt'altri mondi, rarefatti ed elegantissimi, adorni di colori, impreziositi dalle luci, accessoriati da dettagli, appunto, strehleriani.
La famiglia dell'antiquario in scena all'Argentina di Roma fino al 5 aprile è parto del secondo Luis, quello levigato, prezioso, solido ma anche effervescente. La pièce si svolge a Palermo. E' frutto di un Goldoni ormai perfettamente conscio, nel 1749-1750, della riforma teatrale che avrebbe poi sviluppato in pienezza: paragoni di classe, dialoghi a distanza fra ceti sociali diversi, interlocuzioni spurie fra padroni e servi, fra borghesi in ascesa e traffichini. Lo spettacolo è interpretato da attori di prima qualità che aiutano la lettura impeccabile e suadente della regia: Eros Pagni (nel ruolo, qui particolarmente patinato, di Pantalon De' Bisognosi), Virgilio Zernitz (il conte Anselmo Terrazzani), Piergiorgio Fasolo (Brighella), Anita Bartolucci (la Contessa Isabella), Gaia Aprea (Doralice, figlia di Pantalone), Aldo Ottobrino (il Conte Giacinto), Nunzia Greco (Colombina), Enzo Turrin (il dottor Anselmi), Paolo Serra (il Cavaliere del Bosco), Giovanni Calò (Arlecchino), Massimo Cagnina (Pancrazio). Quasi inutile annotare che le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino sono la cornice migliore di uno spettacolo così dinamico e insieme levigato, accurato, confortevole. Ci restituiscono un racconto d'antico segno che però brùlica modernamente attorno all'umorale antiquario del titolo e a suo figlio, a una contessa troppo suocera, a un commerciante in ascesa, già saggio come un soldio borghese, alle struggenti maschere dell'infinito carnovale di Goldoni...
Rita Sala
Lluìs Pasqual racconta tutto ciò con una semplicità e naturalezza apprezzabili e godibilisismi. Ciò che accadeva nella Venezia di Goldoni accade ancor oggi e allora ecco che lo sciogliersi della vicenda va di pari passo allo scorrere dei secoli.
La bella scena di Ezio Frigerio che su un fondale dipinto riproduce gli affreschi di una villa palladiana, è un praticabile girevole che cadenza scena dopo scena il passaggio dei secoli, sottolineato da mutare dei bei costumi di Franca Squarciapino che disegnano il viaggio dal XVIII secolo ai nostri giorni. Lluis Pasqual traduce con elegante semplicità il 'vero' della scrittura goldoniana. Tutto ciò si realizza non solo grazie ad un lineare disegno registico, ma anche grazie ad una compagnia ben assortita, in cui non c'è un attore fuori luogo.
Eros Pagni nei panni di Pantalone è un mercante assennato, paterno ma anche determinato. Pagni non sbaglia un'intonazione, non sbaglia un gesto, e quando entra in scena incarna la preoccupazione di un padre, ma anche l'assennato pragmatismo di un mercante. Virginio Zernitz disegna con tenerezza fanciullesca i capricci di quel suo conte innamorato delle anticaglie e che fa di tutto per non vedere inganni, liti e intrighi che gli stanno intorno. Gaia Aprea è invece Doralice, determinata, volitiva, donna goldoniana della borghesia... Ma tutti: Piergiorgio Fasolo, Anita Bartolucci, Aldo Ottobrino, Nunzia Greco, Enzo Turrin, Paolo Serra, Giovanni Calò e Massimo Cagnina mostrano di saper dare vita ai vari personaggi con una credibilità mai scalfita da un gusto per la caratterizzazione che è tenuto sotto controllo, evitando gli stereotipi del teatro delle maschere... Con La famiglia dell'antiquario di Lluìs Pasqual si può godere di uno spettacolo d'impostazione tradizionale che dimostra come sia possibile con attori bravi frequentare i classici facendoli nuovi, senza sostituirsi a essi.
Nicola Arrigoni
La commedia «La famiglia dell' antiquario» scritta da Carlo Goldoni nel 1749, nella messinscena del catalano Lluìs Pasqual è un piccolo gioiello, uno spettacolo brioso, inventivo e sorretto da un' intelligente lettura registica che da un lato fotografa l' eterna stupidità dell' animo umano, dall' altro la crisi di una società nella quale una nobiltà catafratta nei suoi cerimoniali e nei suoi ordinamenti viene sconfitta da una borghesia solida e di «buon senso» che, però, già alla seconda generazione mostra di aver fatto suoi i formalismi stantii dell' etichetta di casta e la spocchia dei giovani «nuovi ricchi» si avvia ad attraversare con la sua grevità i secoli. Più che le manie antiquarie del conte Anselmo, esponente di una nobiltà decaduta e incolta che non sa distinguere l' autentico dal fasullo, o la lite tra la suocera contessa e la nuora, figlia del concreto mercante Pantalone che porta in dote una cifra che risistema le finanze dei nobili squattrinati, è il potere del danaro che si fa protagonista in una corsa nel tempo dal Settecento a oggi segnata dai costumi di Franca Squarciapino, mentre la scena dipinta di Ezio Frigerio, pur nel ruotare del pannello di fondo, è sempre uguale a se stessa, sono solo le forme delle poltrone a cambiare. In una compagnia di bravi attori, l' ottimo Eros Pagni è un Pantalone lucido borghese che porta argomenti concreti da opporre allo snobismo di donne smaniose di apparire come la consuocera contessa cui la brava Anita Bartolucci dà toni di superbia altera e sconfitta, o la figlia che l' altrettanto brava Gaia Aprea disegna con le tinte dell' isteria da rampante di malanimo. Ottimo anche Vigilio Zernitz, un antiquario ridicolo per ignoranza e credulità. Pur muovendosi nell' alveo della tradizione, la felice regia di Lluìs Pasqual non rinchiude l' opera di Goldoni in un museo ma ne illumina la folgorante vitalità. Uno spettacolo da non perdere.
Magda Poli
Pochissimo rappresentata nel nostro e in altri Paesi, la goldoniana Famiglia dell'antiquario oggi riceve una impensabile investitura da parte del catalano Lluìs Pasqual. Prodotto dagli enti pubblici di Venezia e di Genova, voluto dalla Biennale di Scaparro cui quest'anno va attribuito il merito non indifferente di aver creato nell'ex Serenissima un campus aperto ai giovani di tutta Europa che vogliano dedicarsi al teatro, lo spettacolo è una gioia degli occhi e del cuore.
Immaginate di essere tornati al fantastico mondo dell'Arlecchino di Strehler con gli antichi fondali di carta che fingono la dimora di un nobile decaduto. Il quale, respinta l'ombra del fallimento grazie al denaro che la figlia di Messer Pantalone ha portato in dote all'illustre casato, è precipitato per colpa dell'insana smania del collezionismo nel baratro della truffa che gli propina anticaglie in quantità industriale. E figuratevi al suo fianco una sposa bisbetica circondata da sciocchi adulatori e una nuora impertinente decisa a sbarazzarsi della suocera femme galante per mezzo di una nostra vecchia conoscenza: Colombina. Che, sulle orme di Arlecchino servitore di due padroni, s'ingegna come può a ingarbugliare i fili della più accesa tra le diatribe possibili. Fino al provvidenziale arrivo della classe borghese superbamente incarnata da quel Pantalone che, grazie alle risorse istrioniche di un grande attore come Eros Pagni, rimette le cose a posto dopo aver messo alla porta i falsi antiquari millantatori di carabattole da quattro soldi. Di questo intrigo che anticipa in modo sorprendente il tragico quadro dei Corvi di Becque, Pasqual ha fatto una pièce che, grazie alla medesima scena rotante che all'inizio di ogni atto ci spiazza conducendoci da un'epoca all'altra fino al giorno d'oggi, si tramuta in uno spregiudicato apologo brechtiano sostenuto alla perfezione da una straordinaria équipe dove, accanto al consumato mestiere di Virgilio Zernitz e alle furie boriose di un'incantevole Anita Bartolucci, la verve sulfurea di Gaia Aprea accerchiata dagli spiritosi cicisbei Paolo Serra ed Enzo Turrin imprime al vecchio scenario la grazia e il piacere di un amico ritrovato.
Enrico Groppali
Goldoni e la crisi della nobiltà
Campus di studio, drammaturgia contemporanea e tradizione si incrociano nel bel Festival Internazionale che Maurizio Scaparro, direttore della Biennale del Teatro, ha ideato per rendere omaggio a Goldoni nel terzo centenario della nascita. Di notevole interesse gli spettacoli nati da riscritture di opere goldoniane come il Feudatario di Letizia Russo e L' ultima casa di Tiziano Scarpa. Nella tradizione si inserisce La famiglia dell' antiquario che il catalano Lluìs Pasqual porta in scena in uno spettacolo (una produzione Teatro Stabile del Veneto, Stabile di Genova e Biennale) brioso, inventivo e sorretto da una intelligente lettura registica che da un lato fotografa l' eterna stupidità dell' animo umano, dall' altro la crisi di una società nella quale una nobiltà catafratta nei suoi cerimoniali e nei suoi ordinamenti viene sconfitta da una borghesia solida e di «buon senso» che, però, già alla seconda generazione mostra di aver fatto suoi i formalismi stantii dell' etichetta di casta e la spocchia dei giovani «nuovi ricchi» si avvia ad attraversare con la sua grevità i secoli. Più che le manie antiquarie del conte Anselmo, esponente di una nobiltà decaduta e incolta che non sa distinguere l' autentico dal fasullo, o la lite tra la suocera contessa e la nuora, figlia del concreto mercante Pantalone che porta in dote una cifra che risistema le finanze dei nobili squattrinati, è il potere del danaro che si fa protagonista in una corsa nel tempo dal Settecento a oggi segnata dai costumi di Franca Squarciapino, mentre la scena dipinta di Ezio Frigerio, pur nel ruotare del pannello di fondo, è sempre uguale a se stessa, sono solo le forme delle poltrone a cambiare. In una compagnia di bravi attori, l' ottimo Eros Pagni è un Pantalone lucido borghese che porta argomenti concreti da opporre allo snobismo di donne smaniose di apparire come la consuocera contessa cui la brava Anita Bartolucci dà toni di spocchia altera e sconfitta, o la figlia che l' altrettanto brava Gaia Aprea disegna con le tinte dell' isteria da rampante di malanimo. Ottimo anche Vigilio Zernitz, un antiquario ridicolo per ignoranza e credulità. Pur muovendosi nell' alveo della tradizione, la felice regia di Pasqual non rinchiude l' opera di Goldoni in un museo ma ne illumina la folgorante vitalità.
Magda Poli