di Ray Bradbury
versione teatrale tradotta da Monica Capuani e Daniele D'Angelo
un progetto di Luca Ronconi ed Elisabetta Pozzi
con Elisabetta Pozzi, Alessandro Benvenuti, Fausto Russo Alesi, Melania Giglio, Maria Grazia Mandruzzato
e con Stefano Alessandroni, Fortunato Cerlino, Mariangela Granelli, Michele Maccagno, Andrea Simonetti, Carlotta Viscovo
regia: Luca Ronconi, scene: Tiziano Santi, costumi: Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi, suono: Daniel D'Angelo, luci: Sergio Rossi, regista assistente: Carmelo Rifici, movimenti: Alessio Romano
Torino, Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri, dal 21 aprile al 06 maggio 2007
al rogo che commedia
Una fantasticheria di figure animate. Ma dietro, fra incendi e agguati del Segugio Meccanico, c'è il mondo di Fahrenheit 451, il romanzo fantascientifico di Ray Bradbury, del 1953, dall'autore stesso riscritto per il teatro e poi diventato film (nel 1967) ad opera di Francois Truffaut, interpreti Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack e Anton Diffring.
Luca Ronconi debuttò, con lo spettacolo dedicato a questo classico, il 21 aprile dell'anno scorso alle Fonderie Limone di Moncalieri, in occasione della rassegna "Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma". Il lungo viaggio dell'allestimento è approdato il 15 febbraio all'Argentina di Roma, dove replica ancora oggi e domani. Interpreti principali, la sempre ottima Elisabetta Pozzi (corresponsabile del progetto), Alessandro Benvenuti e Fausto Russo Alesi.
L'ambiente di Fahrenheit è un mondo organizzato, lindo, dominato dalla televisione, nel quale è vietato possedere e leggere libri. Contempla e mantiene, anzi, un corpo di vigili del fuoco il cui compito non è spegnere, bensì appiccare incendi, polverizzando, con falò al kerosene, volumi e biblioteche. Eppure la magia della carta stampata riesce a trasfondere brama di sapere anche negli umani votati alla distruzione della Cultura. Che imparano a memoria i testi e diventano, intesi poeticamente, creature-libro. Ronconi non propone né le atmosfere mitiche del romanzo, né, tantomeno, il romanticismo del film di Truffaut. Si affida piuttosto al senso intimo dell'opera che l'immaginario collettivo trasforma in memoria, lontano dal caso al quale si riferisce. Così le pagine di Bradbury diventano, in palcoscenico, commedia, con i relativi connotati, le rughe, le ingenuità, le deformazioni inutili, la fantasia, l'ironia. Un evento pieno di humour critico nel quale la mancata lettura di un libro incenerisce più e meglio di un rogo. E Fahrenheit non è più un incubo, bensì una favola piena di metafore. Scene di Tiziano Santi.
Rita Sala
Luca Ronconi portando in scena «Fahrenheit 451» di Ray Bradbury, ben individua il nucleo forte in una drammaturgia che il tempo ha reso fragile, nella descrizione del rischio di una società senza pensiero, senza cultura, senza memoria, piegata al conformismo. In un inquietante futuro, uno Stato totalitario mette al rogo i libri. Pompieri addetti ai fuochi irrompono nelle case dei lettori e riducono il «pensiero» in cenere. Lo Stato controlla tutto e tutti, e impone ritmi di vita forsennati, per svago su maxischermi nelle case scorrono incessantemente programmi televisivi, reality show interattivi dove ognuno ha il suo quarto d' ora di celebrità. Ma un pompiere, Montag che lavora con il cinico caposquadra Beatty, incontra una donna misteriosa e affascinante e da un possibile amore nasce la voglia di conoscere e capire. Si apre per lui un mondo ignoto, il mondo del sapere sostenuto da uomini che «sono i libri che amano», imparati a memoria e tramandati. I costumi sono tute e abiti d' oggi, la scena, di Tiziano Santi, è una piattaforma di grate di ferro sulle quali divampano incendi, su grandi schermi appaiono immagini di vecchi film in un «blob» ottundente, un mostro tecnologico è a caccia di «sovversivi». Elisabetta Pozzi con bravura e intensità interpreta il doppio ruolo di Clarisse, la misteriosa donna che ama la cultura e di un vecchio pavido «maestro». Inquietante il Beatty del bravissimo Alessandro Benvenuti, tormentato e attonito il Montag di Fausto Russo Alesi, in uno spettacolo che ben racconta la barbarie dell' ignoranza.
Magda Poli
Se roghi furiosi e improvvisi si levano in scena («coup de théâtre» che Luca Ronconi regala sin dall'inizio), se nella sala (e siamo nel vasto spazio delle Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri) si spande un acre odore di kerosene, se alte ardono le fiamme dei libri che vengono bruciati, cataste intere di volumi, nessuna preoccupazione. È pronta a intervenire la squadra di vigili del fuoco capeggiata dal comandante Beatty. Soltanto che i baldanzosi pompieri di Fahrenheit 451 quei roghi non li spengono ma li attizzano. Nella società di Ray Bradbury è reato possedere qualsiasi libro. Al popolo basta per distrarsi e vivere una onnipresente televisione che sforna pazzeschi «reality show» e idioti quiz interattivi. Tutto deve essere ridotto in cenere, ordina il comandante Beatty, l'ex intellettuale passato nelle file degli incendiari. Al cui servizio opera il pompiere Montag la cui giovane moglie, Mildred, è la prima vittima di questo mondo svuotato. Montag che un giorno incontra Clarisse, e da un possibile amore si accende in lui la voglia di capire. Il giovane inizia a vivere in quella confraternita di esseri che «sono i libri che amano», libri imparati a memoria da uomini che vivono in un altrove che Ronconi colloca in platea.
È aspro, amaro l'apologo di Bradbury, e Ronconi - che proprio ieri è stato confermato direttore artistico del Piccolo di Milano - basandosi sulla versione teatrale dello stesso scrittore ce lo racconta con passione. Traducendolo sottoforma di una fiaba grigia e inquietante, costruendo uno di quegli spettacoli popolati di marchingegni quali solo lui sa inventare.
È sicuramente prodigiosa (e minacciosa) la macchina teatrale creata dal regista con il concorso di Tiziano Santi, e però lo spettacolo, produzione di ben quattro «stabili», (in testa quello di Torino) non raggiunge un risultato del tutto soddisfacente. Soffre di elefantiasi e di prolissità. Cosa che mette a dura prova gli attori pur assai bravi. In primis Elisabetta Pozzi, nel doppio ruolo di Clarisse e del vecchio Faber. Eroica poi, la prova di Fausto Russo Alesi il cui Montag riceve richiesta espressiva ma il personaggio deve ancora trovare il giusto fuoco. Così come non convince, nel ruolo di Beatty, il pur solido Alessandro Benvenuti. Da citare nel numeroso cast la presenza interessante di Melania Giglio (Mildred) e soprattutto di Maria Grazia Mandruzzato nelle vesti della vecchia signora Hudson.
Domenico Rigotti
da Torino
Il coraggioso Luca Ronconi, raccolta la sfida di riproporre in teatro su invito di Elisabetta Pozzi il libro cult di Ray Bradbury Fahrenheit 451, divenuto nel'66 l'omonimo film cult di Truffaut e, in data più recente, una logorroica pièce rivisitata senza estro dall'autore della fabula originale, si è sforzato in ogni modo nelle dichiarazioni alla stampa fornite prima dell'andata in scena di minimizzare il valore letterario dell'apologo che si è trovato tra le mani. Nulla di più conforme al vero, anche se forse tanto onesto furore autolesionista avrebbe potuto più utilmente esercitarsi sul rifiuto di metterci mano. Dal momento che la storia del pompiere Montag che, sedotto dalla vivacità culturale della giovane Clarisse, decide di abbandonare la sua professione di incendiario sovvenzionato dallo stato per bruciare i libri responsabili di far pensare l'umanità, per lui si riduce a una favola che - presumibilmente - l'ha interessato solo per l'aspetto formale e l'uso degli effetti speciali indispensabili alla rappresentazione dell'eccentrica parabola. Fondata sul potere fascinoso della parola, l'unica in grado di assicurare al genere umano la dignità che gli spetta in quanto roseau pensant come a suo tempo si espresse Pascal.
Peccato in quanto l'idea di misurarsi con questo tremendo problema, nell'era del crollo delle ideologie e della dimissione promossa dai media, era allettante come era indubbiamente encomiabile la scelta dello Stabile di Torino, e degli altri enti confederati a promuoverne l'allestimento. Ma cominciamo dal principio. Cosa ci mostra Ronconi, per eccellenza mago barocco del Maraviglioso, in questa sua ennesima fatica? Piazza dietro alle paratie rugginose di Tiziano Santi che si alzano a tagliola perdendosi nel cielo del teatro, un pavimento di griglie metalliche da sadica cantina dei supplizi qua e là agìta da altissime vampe di fuoco, fa calare i giallastri camici degli addetti al rogo tramutando chi li indossa in minacciose parvenze d'assalto, fa scendere i suoi monatti da pertiche più cupe di qualsiasi attrezzo di tortura, esibisce a oltranza un metallico robot fornito di due teste canine che si agita grottesco sul fondo e, quando si tratta di indicare a ludibrio massimo della scomunica dell'intelligenza il gigantesco maxischermo televisivo si diverte a proiettarci sopra, accanto a spezzoni di varia provenienza, stacchi di Suspiria di Argento e statici quadri desunti dalla Nostalgia di Veronica Voss di Fassbinder.
Per non parlare dei soliti arredi semoventi che vengono da Diario privato e pile di libri reduci da Infinities. Mentre, per quanto riguarda la Pozzi, splendida come non mai nei panni virili del nonno di Clarisse, si limita a impostarla come Marisa Fabbri dopo averle imposto la maschera di Franca Nuti in Ignorabimus. E gli interpreti maschili? Mai visti così spaesati come in questo trionfo della visibilità pura a cominciare da Fausto Russo Alesi e dal ridicolo Beatty di Alessandro Benvenuti.
FAHRENHEIT 451 - di Ray Douglas Bradbury Teatro Stabile di Torino - Piccolo Teatro di Milano - Teatro di Roma - Biondo di Palermo. Regia di Luca Ronconi. Moncalieri, Fonderia Limone, in tournée
Enrico Groppali